Progetto Forte Village: come la Regione stanga la crescita dell’industria turistica
Sapete perché nelle piccole isole Baleari ci sono 17 milioni di turisti all’anno e in Sardegna, mediamente, poco più di 5? Non solo per il problema dei trasporti o del fisco, ma anche per la disorganizzazione economica causata dalla politica.
Esempio: a Maiorca, ma persino a Rimini in Italia, se in un giorno di pioggia i turisti non possono recarsi al mare hanno la possibilità di scegliere tra la piscina, l’acquapark o altre tipologie di servizi offerti dall’imprenditoria locale. In Sardegna tutto questo non è possibile, se non in rare eccezioni sparse in poche aree dell’isola. La responsabilità non è dei sardi che “non avrebbero” spirito imprenditoriale per diversificare l’offerta ricettiva, perché spesso la responsabilità è della pubblica amministrazione, con le sue lungaggini. E soprattutto della politica, che vieta all’imprenditoria, anche non sarda e desiderosa di investire, la facoltà di farlo.
Volete un esempio pratico?
La Regione ha ridimensionato il piano di espansione presentato dal polo turistico di Forte Village, resort di Pula. Questo progetto, destinato ad accrescere i servizi per una fascia di utenza medio-alta, prevedeva la costruzione di 15 nuove piscine. L’ufficio “Savi” della Regione ne ha bocciate cinque, previste entro i trecento metri di distanza dal mare, “graziando” le altre dieci, su cui comunque penderà una condizionale di osservanza sulla valutazione di impatto ambientale.
Opportuno riflettere sulle conseguenze politiche ed economiche di questa decisione: sulla riduzione da dieci a cinque, motivata dalla comprensibile necessità di evitare un consumo degli habitat naturali a ridosso del mare, nulla da obiettare. Ma che dire della “generosa concessione” con cui è stata argomentata la possibilità di realizzare le altre dieci? La logica politica che sottende anche al nuovo Piano Casa varato dalla maggioranza Pigliaru è il sintomo della scarsa cultura imprenditoriale che permea una Giunta composta da professori, i quali stanno costantemente dando prova della loro discutibile preparazione. Si, perché l’impressione è che l’ufficio “Savi” trovi bizzarro od eccessivo (stando al termine utilizzato da La Nuova Sardegna nell’articolo del 6 novembre) che in una località di mare possa esistere l’utilità economica di far fare ad un privato così tante piscine.
Eppure, secondo vari osservatori del nuovo Piano Casa, come in merito all’edificazione o espansione di villette private, la nuova normativa non sarebbe poi così difforme da quella varata dalla Giunta Cappellacci, se non più permissiva. Questa dinamica ci suggerisce alcuni penosi aspetti della classe dirigente che amministra l’isola, né tecnica e né politica: il primo riguarda il suo analfabetismo commerciale, poiché non ha i requisiti culturali minimi per comprendere la necessità di non ostacolare oltremisura i privati nella loro complessiva volontà di investimento (e che potrebbe aprirsi anche al settore archeologico). Il secondo riguarda il provincialismo clientelare delle maggioranze che di volta in volta si avvicendano alla guida della Regione. Perché non avendo una idea complessiva dello sviluppo economico territoriale e dei rapporti fra pubblico e privato, alla logica dell’investimento globale prevale sempre la logica del posizionamento discrezionale, cioè il carattere di permissività tipico dei condoni. Paradossalmente, questo Piano Casa finirà per premiare gli amici degli amici, cioè coloro che vogliono espandere le volumetrie dei propri piccoli e improduttivi immobili. Mentre ai veri investimenti rimarrà preclusa ogni maggiore possibilità di creare ricchezza diffusa nel territorio, senza la quale anche l’occupazione non avrà modo di crescere.
Parliamone.
Adriano Bomboi.
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