Viaggio nella cultura della conoscenza

Cari amici di Sa Natzione, in questo pezzo affronteremo, se pur in maniera approssimativa, un problema che affligge l’anima e la struttura più profonda dell’uomo e della società: la conoscenza.

Innanzitutto vorrei soffermarmi sulla definizione etimologica generale.
Conoscenza è una parola greca ”gnòsis”, può essere considerata l’atto dell’apprendere di una persona.
Presa coscienza di ciò, bisogna chiedersi cosa voglia dire apprendere e quale sia la natura delle persone in rapporto all’apprendimento.

Con la loro ascesa, a partire dagli anni Ottanta, le neuroscienza cognitive, grazie ai lavori di Harvard e del MIT statunitense, hanno ampiamente dimostrato che il sistema nervoso centrale (SNC) degli esseri umani è programmato per conoscere l’ambiente circostante, adattarsi e modificarlo in funzione dei suoi bisogni e obiettivi.
Ma a questo punto dovremmo, per amore della conoscenza stessa, domandarci che cosa sia un obiettivo e perché le persone, coloro che quindi conoscono, hanno obiettivi diversi tra loro.
C’è chi ama conoscere la Psicologia e la Filosofia, c’è chi ama conoscere l’arte, c’è chi ama conoscere i buoni prosciutti per supplire al proprio insaziabile appetito, c’è chi ama conoscere le belle donne per per bramosia del piacere che la natura impone a certe persone e c’è chi ama conoscere un po di tutto senza trascurare nessun tipo di interesse in particolare.
Stando fermi a questo ragionamento, quindi, vi sono molteplici nature umane, quindi, molteplici conoscenze e differenti modi di conoscere.
Per esempio, c’è chi conosce attraverso il dolore, perché tale condizione rimane radicata nella sua mente. C’è chi conosce attraverso la gioia, perché questa è più sopportabile della prima e meno angosciante per coloro che la vivono. C’è chi conosce in ambedue le maniere, traendo esperienza significativa in relazione a questi eventi.
Trasportati in balia delle onde continuiamo ad avventuraci, seppur in modo semplice, veloce e grossolano, ma con attenzione, nel grande oceano della conoscenza, sperando che le nostre vele reggano il vento, navigando con prudenza.
Seguendo tale direzione, quindi,  tante sono le persone e tante sono le conoscenze.
Ma se la conoscenza è relazionata alle persone che conoscono, questa si sostanzia in tanti modi di conoscere, dunque è concetto multiforme.
D’altronde, esiste un tipo di conoscenza migliore di un’altra o tutte sono necessarie? Oppure alcune si e altre no?
Abbiamo detto che la conoscenza è una, ma anche molteplice e che ci sono persone che preferiscono conoscere una cosa piuttosto che l’altra perché la propria struttura mentale gli necessita tale ricerca e si spingono in direzioni diverse.
Ma soprattutto, conoscere è utile a qualcosa oppure no?
Per esempio, conoscere l’arte del preparare il formaggio o come conoscere le qualità dei funghi per evitare che nella raccolta finiscano a tavola quelle velenose.
Rimanendo saldi nella tempesta potremmo dire con tutta certezza, anche se ci sono tanti tipi di conoscenze e differenti modi di conoscere, che la conoscenza in sé è vitale in ogni condizione.
Se venissi assunto in una fabbrica tessile dovrei conoscere il metodo inerente le mie mansioni; se dovessi verniciare una porta dovrei apprendere la manualità del pennello per far si che la vernice non coli l’oggetto del mio lavoro, e così via.
Ma si possono conoscere tutte queste cose contemporaneamente?

Esistono strutture mentali che hanno capacità di apprendere più cose allo stesso tempo e quindi hanno un approccio polivalente alla conoscenza. Altri che si concentrano nel dettaglio di un solo argomento e sono più specialisti.
Invece altri ancora, purtroppo, che conoscono solo quello ciò vedono e sentono nei mass media, o da altre persone, ripetendone i contenuti, hanno l’ardire di sentirsi esperti e conoscitori in ordine a vari argomenti.

Dunque conoscere è una cosa bella o brutta?
Ma soprattutto: la conoscenza e l’atto del conoscere riguardano lo stesso fenomeno?
Per esempio, se io conoscessi una bella ragazza, tale conoscenza produrrebbe in me bellezza, ma se a posteriori di una relazione la stessa tradisse la mia fiducia, la conoscenza si tramuterebbe in una brutta esperienza. Di conseguenza, per quanto assimilabile ad un solo fenomeno, la conoscenza non risponde a criteri universali di positività o negatività.

Inoltre, ciò che è bello per me è bello per altri può esser brutto e viceversa?
Come ben vediamo l’oceano è grandissimo e vi sono specie variegate.
Ma se conoscere è bello e brutto in alternanza di condizioni e se non si conosce esattamente cosa sia bellezza e la bruttezza perché sono stati mentali soggettivi, che cosa ci rimane da dire?
Che la conoscenza è pur sempre utile e necessaria alla sopravvivenza tanto degli animali quanto dell’essere umano.
Quando l’uomo conosce, infatti, anche se ciò potrebbe non tradursi in certezza assoluta, trae esperienza e adattamento, evitando così numerosi mali e angosce.
Per esempio, conoscendo gli effetti delle sostanze che producono dipendenza a lungo termine ne eviterei l’assunzione, anche se queste producono un piacere temporaneo. O comunque rimandando una scelta diversa ad esclusive valutazioni etiche del caso. E se conoscessi un determinato male che mi affligge, per quanto brutto, potrebbe rivelarsi un’arma vincente per la sua cura.
La conoscenza è sempre utile, bella o brutta che sia.
Avere cognizione di come un oggetto, un contesto, un ambiente od una persona sia, significa avere padronanza, sicurezza e coscienza di ciò in cui ci stiamo imbattendo.

Malgrado condizioni particolari di estremo dolore, alienazione dal mondo e stati confusionali dell’io, altre volte la conoscenza produce enorme gioa e degustazione di piaceri durevoli e puri che concernono l’anima di ognuno di noi e costruiscono le nostre identità.
Ci sono persone che, per esempio, hanno paura di sapere cosa aspetta loro e cosa si potrebbe celare dietro ogni apparenza, tale stato mentale produrrebbe in loro la malattia mortale del proprio io e non riuscirebbero più a risollevarsi, evitando di prevenire una potenziale minaccia alla propria autonomia individuale.
Il grande storico Tucidide disse: «Nella vita i più coraggiosi sono coloro che hanno la percezione di ciò che li aspetta, sia della gloria che del pericolo e tuttavia l’affrontano».
Forse affrontare, indipendentemente da ciò che ci aspetta, è l’approccio esistenziale migliore.
La conoscenza non ha una forma, non ha un metodo. La conoscenza è il metodo del non metodo! E’ il senso della ricerca del senso.
Pensate a chi apprende con la frusta e chi invece apprende con il bacio e le carezze o a chi apprende prima e poi perde ciò che ha appreso. A prescindere dalla qualità della sua conoscenza.
E chi, invece, apprende dopo e ciò che ha appreso rimane radicato nella struttura più profonda della sua personalità.
Che dire di questi ultimi?

Niente di negativo. Quando parliamo di conoscenza non esiste staticità, tutto è scorrevole, dinamico, molteplice e unico allo stesso tempo, brutto e bello, doloroso o piacevole. Resta il fatto che dobbiamo prendere la nostra barca e avventurarci, con coraggio, decisione e umiltà, nel grande oceano della conoscenza. Il viaggio sarà piuttosto lungo e l’oceano non sempre calmo, perché la grande tempesta potrebbe arrivare da un momento all’altro e la nostra barca affondare.
L’esistenza umana è un grande viaggio nel mare delle conoscenze.
Possiamo evitare di cogliere una rosa per paura che questa ci punga?
Bisogna rischiare, bisogna osare.
Bisogna conoscere. Abbiamo un estremo bisogno di farlo.
Se l’uomo non fosse stato incline alla conoscenza l’umanità vivrebbe ancora allo stadio primordiale.

Pensate a Socrate, a Giordano Bruno, Galileo, Martin Luther King, Gandhi e tanti altri illustri della storia: volevano sapere, volevano conoscere. Erano estremamente curiosi. Questi grandi personaggi ponevano costantemente domande a se stessi e agli altri, cercavano e ricercavano. Ma per arrivare dove?
Non sempre conosciamo le mete e delle volte ci avventuriamo in cose più grandi di noi. Addirittura in vicende che si possono concludere con la morte, proprio come successe a Giordano Bruno e Martin Luther King. Ma questo è ciò che determina la grandezza di molti essere umani, credere, sperare e rischiare di conoscere quello che a molti altri sembra impossibile o irraggiungibile.
Grazie alo spirito di questi grandi uomini il brutto può diventar bello e le nostre esistenze meno angoscianti.
Socrate disse che una vita senza conoscenza non vale la pena di essere vissuta, ma disse pure che non è il vivere in sé da tenere in massimo conto, ma il vivere bene è lo stesso che vivere con virtù e con giustizia.
Vivere con l’occhio vigilante della conoscenza è da persone virtuose, curiose, intelligenti.
Rousseau sosteneva che si è intelligenti nella maniera in cui si è curiosi.
Le persone curiose, molto spesso, sono quelle che apprendono di più.
Hanno voglia di cambiare le cose, voglia di curare il male che li affligge e molto spesso questo male si chiama ignoranza.

Gli avvoltoi, pronti a sbranarci, vogliono imporci cosa si può e cosa non si può conoscere!
Così come nella scuola pubblica si impongono dei paradigmi standardizzati, anche  nel passato ad esempio veniva proibita alle persone la lettura dei testi sacri, perché si sosteneva che queste non la potessero comprendere, mentre il potere ne intermediava la conoscenza per manipolarne i comportamenti.
Ribellatevi!
Osate!
Siate coraggiosi!
Non credete a tutto quello che passano le TV e i media!
Attivatevi con il vostro intelletto!
Siate dinamici e mai statici quando conoscete il mondo. Altrimenti tale condizione creerà in voi stagnazione mentale e pregiudizio.
Per comprendere qualcosa occorre dinamicità dell’intelletto.

Bisogna però prender coscienza che la comprensione di un fenomeno può rivelarsi dolorosa, alienante. Può provocare il male peggiore che possa affliggere l’essere umano, persino l’invidia.
Pensate alla fine di Socrate, oppure a Galileo, che rivisitando la teoria eliocentrica di Copernico mise in discussione l’autorità ecclesiastica del tempo. Il suo testo più rilevante: “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, fu messo nell’indice dei libri proibiti per 200 anni e Galileo confinato nella sua abitazione.
Ma pensate anche a Edipo Re di Sofocle, la grande tragedia umana per eccellenza.
In questa vi è tutta l’ansiogena condizione umana che la conoscenza produce e la coscienza di quanto sia doloroso e angosciante l’atto del conoscere.
Per risolvere il grande enigma della Sfinge, il suo intelletto dovette spingersi verso l’ignoto. Edipo prova paura, è angosciato, tormentato, deve spingersi nei limiti dell’impossibile, nei labirinti oscuri della sua mente.
E dopo aver sfidato tali limiti Edipo incontra un dolore infinito, tanto che Nietzsche ha potuto scrivere di lui come “l’uomo che più ha sofferto, per questo egli ha svelato l’enigma dell’uomo”.
L’ignoto ci fa paura!
Quando non conosciamo persone o situazioni, la nostra natura, programmata in tal senso, è restia ad affrontare una sfida, e delle volte preferisce la fuga.
Ma abbiamo il dovere di attaccare l’ignoranza. Il pregiudizio di coloro che ci impongono una condizione di subalternità individuale e collettiva, perché, per dirla alla Popper, tutto è deduttivo e falsificabile. Eleviamoci con il nuovo sapere, la ginnastica, l’arte, la poesia, la musica, la filosofia, riempiamoci costantemente di tutto ciò per uscire da una condizione statica.
L’ignoranza stagna l’intelletto e lo chiude in paradigmi dettati dall’esterno.
Abbiate il desiderio di conoscere, sempre e in ogni momento. Non importa se vi sentirete soli, derisi, trattati da persone eccentriche. Anche la “stranezza” equivale alla conoscenza, nella misura in cui non ha una forma ed è soggettiva.
Se qualcuno vi deride perché avete tale inclinazione e tale amore, seguite il verso di Dante: «Non ragioniam di lor, ma guarda e passa».
Ma soprattutto, tenete bene in mente l’ultimo passo della grande tragedia di Sofocle:
«Abitanti della mia patria Tebe, guardate, questo è Edipo, colui che sapeva gli enigmi famosi ed era uomo potente, la cui sorte per tutti i cittadini era oggetto di invidia; guardate in quale gorgo di tremenda sciagura è caduto. Perciò, considerando il giorno estremo nessun mortale dobbiamo stimare felice prima che abbia oltrepassato il termine della sua vita senza aver mai sofferto alcun dolore».

La conoscenza è dolore perché la vita umana ci pone prima o poi di fronte al dolore.
La Filosofia nasce dal thauma (meraviglia) che in origine significava tormento, angoscia, paura, terrore.
La traduzione di questa parola (meraviglia) ha svuotato in senso debole il suo significato originale, restringendola in un contesto assolutamente fuorviante, considerando la meraviglia come una condizione umana di stupore di fronte all’esistenza.
La Filosofia è un esercizio mentale costante che delle volte può rivelarsi curativo ma molto spesso anche angosciante e tormentoso, per chi non ha una solida struttura mentale per sopportare certe condizioni. Ma non scoraggiatevi! Coloro che vi appaiono sempre felici, dediti a banchetti, feste e cose simili, nella bonaccia più totale e nel grande lago dei paradigmi indottrinanti e implicitamente coercitivi, vivono stati di incoscienza costanti. E quando il dolore arriverà, per loro non vi sarà alcuna ancora di salvezza, perché nella vita non si sono mai curati della conoscenza.

Luca Cretì, Dott. in Filosofia e Scienze dell’Uomo.

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