Un grande partito della sinistra sovranista? C’è già Forza Italia e PD

Di Adriano Bomboi.

Per capire di cosa ha bisogno la Sardegna bisogna partire dai dati e dai fatti. I dati Crenos del XX° rapporto 2013 espongono chiaramente che i sei-decimi della ricchezza regionale sono prodotti dal settore pubblico. A sua volta, il pubblico, stando agli ultimi dati elaborati dall’Adnkronos, porta la Sardegna al terzo posto della classifica delle Regioni che spendono di più in personale a tempo indeterminato, con un volume di uscite che raggiungono i 128,6 milioni di euro annui. Per capirci, Cagliari amministra un territorio che ha meno abitanti di tante altre Regioni d’Italia ma consuma più ricchezza di quanta i privati riescano a produrre. La sola sanità regionale, con i suoi 3 miliardi di euro di finanziaria annuale, costa più dei conti della sanità lombarda. Mentre quasi tutti i partiti della maggioranza regionale hanno partecipato al mercimonio delle direzioni distrettuali ASL, ponendoci seri interrogativi sull’utilità di permettere ancora l’esistenza dello spoils system.

I fatti mostrano una realtà attraversata da pesanti fenomeni assistenzialistici, con un sottobosco in cui il voto di scambio rappresenta l’anello di congiunzione fra la politica locale ed i numerosi enti e partecipate pubbliche, la cui efficienza viene condizionata da perduranti fenomeni di sovradimensionamento, caratterizzati da sprechi e paradossi vari. Pensate, nel Comune di Siniscola la raccolta differenziata si è tramutata in un quotidiano andirivieni di mezzi per ogni singolo bidone di materia prima che viene ritirata direttamente porta a porta nelle strade della cittadina. Dove all’inquinamento dei rifiuti solidi urbani si è sostituito quello delle emissioni di Co2 dei suddetti mezzi, a cui vanno sommati gli ingenti costi di usura, della manutenzione e naturalmente del personale, con dei livelli paragonabili ad una municipalizzata dei trasporti.
Non fa eccezione neppure il ramo del Credito isolano, cooptato da logiche correntizie (a partire dal PD nella Fondazione del Banco di Sardegna); di Abbanoa, o come il caso IGEA, attraversato da gravi fenomeni di peculato; nonché il caso Carbosulcis, dove il centrodestra cooptò una dirigenza priva dei necessari requisiti per la gestione di un bacino carbonifero che non ha più ragioni per stare sul mercato. O pensiamo alle assunzioni riguardanti l’Ente Foreste. E la lista potrebbe continuare a lungo.

Nel frattempo, gli industriali della Sardegna centrale, con riferimento al polo nuorese di Prato Sardo, hanno lamentato l’inconcludenza dei fondi pubblici, per investimenti resi totalmente inefficaci dagli alti livelli di burocrazia che non hanno reso possibile valorizzare l’infrastrutturazione di servizi dell’area. Insomma, quanti chiedevano più soldi pubblici hanno dovuto ammettere di averli gettati in un buco nero, che fra tasse e burocrazia è riuscito unicamente a sottrarre il denaro dei contribuenti senza consentire ai privati la possibilità di creare lavoro, e quindi ricchezza. Perché se in un territorio non circola liquidità, si presentano i due classici supplenti della situazione: il signor “Assistenzialismo” e sua sorella “Emigrazione”. E voi capirete che in un contesto simile parlare di indipendenza diventa un mito.

Come si esce da questa spirale per ridare fiducia a piccoli e medi imprenditori? Come si può contenere l’ondata di questa politica stracciona che oggi affonda le sue radici persino in vasti segmenti dei partiti sardi?
Intanto comprendendo che si tratta di un grave problema culturale, che non investe unicamente la politica ma anche la cittadinanza di cui è espressione. Per certi versi sembra di essere tornati ai tempi in cui Giuseppe Fiori esponeva le sue inchieste sui Baroni della laguna di Cabras o sul malessere del pastoralismo barbaricino. Infatti la miseria economica si muove di pari passo a quella politica, figlia di un analfabetismo di ritorno dal quale pare difficile districarsi.

Oggi abbiamo bisogno di un forte soggetto politico libertario, capace di contenere l’invadenza del settore pubblico affinché il privato aumenti la sua capacità d’investire nel nostro valore aggiunto. E questo valore dovrebbe poter tenere conto della storia, del patrimonio archeologico, della letteratura e del plurilinguismo della Sardegna. Sardisti e indipendentisti devono comprendere che oggi l’obiettivo della grande battaglia per la libertà non si colloca nella sola necessità di tutelare il lavoro, ma di crearlo. Ed è ciò che ormai è venuto meno: il diritto di avviare un’attività, di consolidarla e di espanderla, se possibile. Ecco perché non ci serve un grande partito della sinistra sarda: di assistenza ne abbiamo abbastanza. I responsabili del disastro in cui versa il tessuto sociale dell’isola sono i sardi stessi, a cui vanno sommati gli abusi creati da un ceto politico centralista che ha in Roma il suo orizzonte di riferimento (l’assenteismo festivo di 8 vigili urbani su 10 del campidoglio ne è solo l’ultima testimonianza).

In queste settimane tanti lettori si sono chiesti se la volontà di Paolo Maninchedda per la costruzione di un grande partito sardo sia auspicabile. Ma in pochi si sono chiesti se ciò sia utile prima che fattibile. Personalmente la ritengo fattibile, purché se ne discuta l’utilità. In quanto, come ha sostenuto anche Gianluca Collu di ProgReS, ciò che conta è discuterne a debita distanza dalle logiche elettoralistiche che hanno sinora guidato il Partito dei Sardi presente nella Giunta Pigliaru. Sfortunatamente temo che la strategia del PDS sia collocabile unicamente nel quadro delle dinamiche consiliari che animano l’attuale maggioranza regionale, con riferimento a SEL e parte del PD, e che ciò lasci pochi spazi di riflessione per un serio affrancamento del sovranismo verso un progetto politico maggiormente trasparente, pluralista e liberale: l’unico Partito Nazionale Sardo che potrebbe dare un positivo contributo alle sorti dell’isola.

- Anche su Sardegna Soprattutto.

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