Autonomia? Bene dubbi RossoMori su Partito della Sardegna e su mutuo lavori pubblici
Mentre gli intellettuali dell’isola perdono tempo attorno ad una sterile diatriba sulla bandiera dei 4 Mori, il partito dei RossoMori ha avanzato dubbi ben più legittimi sullo schema di gestione dell’amministrazione regionale in materia di finanze pubbliche.
Come molti lettori sapranno, da Sa Natzione e Sardegna Soprattutto ho avviato una seguitissima critica sulle modalità con le quali la Giunta Pigliaru ha ritenuto essenziale rilanciare il tema dell’infrastrutturazione del territorio, contraendo un debito di oltre mezzo miliardo di euro che dovrebbe gravare sul bilancio della Regione. O meglio, dei contribuenti.
Di recente l’assessore ai lavori pubblici Paolo Maninchedda ha dichiarato che chi è contrario a tale misura sarebbe contrario agli investimenti per mettere in sicurezza il territorio, anche rispetto alle note calamità naturali che negli ultimi anni si sono abbattute sulle popolazioni dell’isola.
Credo che tutti confidiamo nell’onestà intellettuale di Maninchedda ma anche sulla sua preparazione: infatti sarà al corrente che, in qualsiasi Stato serio e trasparente, prima si programmano gli interventi da effettuare, e dopo si valuta il volume degli investimenti che sarebbero necessari a coprire tali capitoli di spesa. In secondo luogo, tale programma non viene tenuto nelle segrete stanze dell’assessorato di competenza, ma dovrebbe poter essere sottoposto alla pubblica opinione, proprio per ampliare quei criteri di trasparenza che oggi tutta Italia (e non solo la Regione) cerca costantemente di aggirare. Al momento in cui scrivo niente di tutto questo è stato concretamente portato all’attenzione degli elettori.
Opportuna inoltre la critica dei RossoMori sul fatto che buona parte delle risorse andrebbero ripartite più equamente fra gli assessorati e non solo verso il dicastero regionale ai lavori pubblici. Benché tale assessorato, per la sua stessa natura, sia quello maggiormente interessato – al pari della sanità – a reperire fondi maggiori per gli interventi che gli competono.
Ciò che abbiamo di fronte oggi è una vecchia politica basata sull’indebitamento pubblico, e su cui non mi trovo affatto d’accordo. Le risorse potrebbero essere reperite in finanziaria da altri capitoli di spesa, senza ricorrere al mutuo. Posto che la Regione sia interessata a capire per quali motivi la nostra sanità costi più di quella lombarda, che ha un peso demografico di gran lunga superiore al nostro. Ma dubito che una Giunta che ha partecipato al mercimonio delle direzioni ASL sia interessata a ridurre il volume degli oltre 3 miliardi di euro oggi assorbiti da questo modello di welfare. E per quanto il sottoscritto abbia più volte criticato il giornalista Sergio Rizzo per il suo attacco alle Autonomie speciali, devo purtroppo constatare che in Italia le Autonomie si sono trasformate in stipendifici pubblici dove voci di spesa come la sanità, i lavori pubblici, gli enti idrici, le partecipate varie e persino la cantieristica forestale, hanno sacrificato la propria efficienza in nome del consenso elettorale.
Per intenderci, rimango contrario anche al regime di essenzialità col quale viene tenuto in piedi l’attuale sistema energetico sardo, bisogna iniziare a discutere dell’elettrodotto SAPEI anche in entrata, onde sviluppare quel libero mercato oggi precluso dall’interventismo politico (evitando così di spendere denaro pubblico per tenere centrali obsolete). Ciò non significa gettare sulla strada le centinaia di impiegati di gruppi come quello ottanese, ma capire che altre centinaia di imprese sarde hanno chiuso i battenti e sono già finite sulla strada per il combinato disposto degli alti costi energetici, della burocrazia e della fiscalità complessiva di Stato ed enti locali. Di recente, intervistato sulla radio del Sulcis per presentare il mio libro, ho sostenuto anche che la Regione stia illudendo i lavoratori dell’ALCOA, auspicando investimenti esteri in perdita.
Il futuro dell’indipendentismo si snoderà attorno al tema della trasparenza, cui i sardi giungono impreparati rispetto ai doveri dei propri eletti nella pubblica amministrazione. Magari sviluppando maggiormente l’istituto referendario, sulla base dell’esempio svizzero.
In quanto al grande partito della Sardegna auspicato da Paolo Maninchedda la trovo una ipotesi più che legittima, ogni operazione politica tendente a sottrarre influenza ai partiti italiani nel nostro territorio sarà sempre la benvenuta. Il problema si presenterebbe nel momento in cui tale compagine politica non sarebbe effettivamente alternativa all’agone politico italiano, né realmente alternativa proprio attorno al tema di rendere snella ed efficiente la nostra pubblica amministrazione: una condizione propedeutica alla conquista della sovranità.
La Giunta Pigliaru ci stupisca, proponga pure di abbassare gli stipendi degli assessori, senza cumuli, sotto ai 50.000 euro l’anno.
Iscarica custu articulu in PDF
U.R.N. Sardinnya ONLINE
Un grande partito dei sardi esiste già, ma chissà perché, siccome non si riesce a farlo morire, allora si cerca di ignorarlo. Come indipendentista convinta, vado controcorrente e affermo che di nuovi partiti ne abbiamo le tasche piene. Non sono le sigle che fanno la qualità della politica, ma l’onestà e la preparazione delle persone. Se Maninchedda non è riuscito col suo piccolo grande partito dei sardi ad avere il successo che sperava, perché mai dovrebbe avere più successo con l’ennesimo partito “sovranista” ”identitario” ecc… ecc….
L’on. in questione ha avuto un grande partito a disposizione con cui giocare, cucirselo addosso e cambiarsi anche qualche regoletta per accelerare i tempi di “ascensione”, ma i partiti sono fatti da persone, non da burattini. Bisogna avere pazienza, comunicare e combattersi le proprie battaglie; la fretta di andare a governare, a comandare, anzi, come diciamo i sardi, sicuramente lo ha premiato, ma costruire un partito è ben altra cosa.
Io propongo di non chiamare più queste formazioni “partito”, ma li chiamerei piuttosto A.F.E.L.T., Associazioni Finalizzate all’Elezione del Leader di Turno. I partiti, sono alberi con grosse radici, non funghetti trallallalà.
Sono d’accordo sull’apertura e sulla chiusura dell’articolo.
saluti