La Grande Guerra e il sangue dei sardi per l’indipendenza di tante nazioni europee

Adriano Bomboi.

1915-2015: Fra gli innumerevoli commenti inerenti il centenario dell’avvio del primo conflitto mondiale da parte dell’Italia (un anno dopo altre potenze europee), uno dei più sottovalutati riguarda l’esito della guerra sul piano esterno a quello combattuto da migliaia di sardi. Perché se sul piano interno non manchiamo mai di ricordare la sterminata pattuglia di soldati morti che cinge silenziosa le lapidi, i monumenti e le consunte targhe delle nostre cittadine, esistono popoli che anche sul sangue dei sardi hanno fondato la propria libertà.

I negoziati di pace seguiti al termine del conflitto troveranno la loro massima espressione nell’applicazione dei famosi “Quattordici punti” di Wilson, presidente USA, che riconobbe il diritto delle nazioni a costituire propri Stati indipendenti, diventando il fulcro dell’azione diplomatica seguita al crollo di ben quattro imperi: quello austro-ungarico (fino ad allora, forse il più grande esperimento di federalismo culturale e amministrativo del mondo contemporaneo); quello tedesco (che spartiva anche l’ex Regno polacco); quello zarista (a causa degli sconvolgimenti politici interni), e quello ottomano (ormai minato alle fondamenta dal colonialismo occidentale e da un nazionalismo interpanarabico diffuso). Ma più che sul versante meridionale del fronte, quello africano, fu l’Europa centrale lo snodo essenziale del primo conflitto su cui tantissimi sardi persero la vita, nonché, come noto, principale teatro operativo della “Brigata Sassari”.

Oggi Bolzano sceglie di non esporre il tricolore nei suoi uffici pubblici dislocati sul territorio, la guerra infatti rappresenta per i sudtirolesi la perdita della propria indipendenza. Un significato che va ben oltre la necessità di ridurre a mezz’asta, in segno di lutto, bandiere tricolori, quattro Mori, ed altri feticci sacrificati sull’altare di un’ideologia che non nelle nazioni ma nello Stato trovò il braccio esecutivo con cui stroncare la vita di milioni di individui sparsi per tutto il vecchio continente.

I sardi, vittime e carnefici allo stesso tempo, si trovarono in balia di generali, le cui tattiche, all’alba del Novecento, apparivano ormai desuete e ferme ai codici militari ottocenteschi di epoca post-napoleonica. Perché la Grande Guerra rappresentò su vasta scala l’applicazione di tutte le moderne tecnologie allora conosciute: aeroplani, gas, sommergibili (già sperimentati nella guerra di secessione americana) e ordigni sempre più potenti. Uno spaventoso massacro che, tuttavia, con particolare riferimento alle istituzioni austro-ungariche, terminò con la nascita di nuovi Stati indipendenti, in rappresentanza delle diverse sensibilità etniche, linguistiche e culturali che esprimevano proprie aspirazioni politiche. La vittoria mutilata dei sardi, e con l’impegno degli alleati, comportò infatti l’avvento della rinata Polonia (area ex Prussia e Russia), della ex Cecoslovacchia, del mondo jugoslavo, della Romania (area transilvana, ecc.), dell’Ucraina (area galiziana, ecc.), e naturalmente dell’Ungheria e dell’Austria. Quasi tutte perderanno nuovamente la loro indipendenza, anche oltre il secondo conflitto mondiale, a causa dell’imperialismo sovietico diffuso in tutta l’Europa dell’est. Ma la piattaforma bellica, politica, giuridica e diplomatica posta in essere nel 1918 sta alla base dell’attuale Slovenia indipendente, della Croazia, del Montenegro, della Bosnia-Erzegovina, del Kosovo, della Serbia e soprattutto delle succitate nazioni.

I temi dell’articolo sono presenti anche nel libro “L’indipendentismo sardo. Le ragioni, la storia, i protagonisti” (Condaghes 2014).

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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