Pro Lombardia: ‘Ripensare la Grande Guerra, rigettare Cadorna’

“Questa guerra è il grande crogiuolo che mischia e fonde tutti gli italiani. Il regionalismo è finito.”

Benito Mussolini –  1916.

“Se l’informazione corrisponde a verità, le defezioni non potrebbero essere che nuovo frutto della propaganda contro la guerra che si svolge in Sicilia e che ha ridotto l’isola ad un covo pericoloso di renitenti e di disertori, i quali, secondo le segnalazioni del Ministero della Guerra, superano i 20.000. Ma non soltanto la Sicilia è fomite di velenosa propaganda contro la guerra e contro il dovere militare; anche altrove (in Toscana, nell’Emilia, in Romagna, nella stessa Lombardia) si seminano con arte malvagia le teorie antipatriottiche, e nelle truppe di complemento che giungono dal Paese, come nei militari che ritornano dalla licenza, si manifestano gravi sintomi di indisciplina che hanno richiesto le più energiche misure di repressione perché il male non dilaghi. Si è perciò dovuto ricorrere a fucilazioni immediate, su vasta scala, e rinunziare alle forme del procedimento penale, perché occorre troncare il male dalle sue radici e finché si può sperare di arrivare in tempo. Così si procede in zona di guerra con inesorabile severità, ma debbo prevenire che se i sintomi ora rilevati e repressi dovessero permanere, o peggio si estendessero, sarò costretto a determinare estremi provvedimenti e ricorrere alla “decimazione” dei reparti infetti dal contagio, rimettendo in vigore un supremo atto di repressione, che inconsciamente si volle togliere dal codice penale militare, ma che è arma necessaria, oggi più che mai, in mano del Comando, data l’improvvisazione, su larga scala, delle truppe e il veleno che esse attingono dai contatti col Paese.”

Generale Luigi Cadorna – Lettera al presidente del Consiglio italiano – 6 giugno 1917.

“Non si creda agli atti di valore dei soldati, non si dia retta alle altre fandonie del giornale, sono menzogne. Non combattono, no, con orgoglio, né con ardore; essi vanno al macello perché sono guidati e perché temono la fucilazione. Se avessi per le mani il capo del governo, o meglio dei briganti, lo strozzerei“.

B.N. anni 25,  soldato – condannato a 4 anni di reclusione per lettera denigratoria – 1916.

La Prima Guerra Mondiale fu un atroce, inumano e purtroppo riuscito esperimento di nation building che si riverbera ancor oggi nella quotidianità dei popoli facenti parte dello Stato italiano: lombardi, siciliani, veneti, sardi, etc. La dichiarazione di guerra quindi, idealmente, fu destinata a questi popoli, più che a quelli facenti parte dell’Impero Austro – Ungarico; i soldati vennero utilizzati per combattere contro sé stessi e contro la loro stessa identità. Allora, come ora, lo Stato unitario italiano non aveva senso di esistere: le forti contraddizioni interne portarono a due governi di “unità nazionale”, senza dimenticare la precedente guerra alla ribellione nell’ex Regno delle Due Sicilie ignobilmente etichettata come “lotta al brigantaggio”.

Perché si può definire “riuscito” l’esperimento messo in atto dalle elites sabaude? Perché, nonostante il disastroso esito della guerra, fu forzatamente instaurato nella memoria collettiva dei partecipanti un evento di forte impatto psicologico comune; in nessun paese, per quanto piccolo sia, manca una stele con il nome dei caduti. La propaganda di regime ha chiaramente enfatizzato questi sacrifici attribuendo loro un significato distorto: l’invasore doveva essere fermato, il popolo non chiedeva altro che la vittoria nella guerra; vennero confezionati quindi a tavolino canti come La leggenda del Piave, che ancor oggi vengono cantati e ripetuti. Nelle trincee il popolo invece si dava forza intonando canti identitari e locali, come il celebre O surdato nnamurato in lingua napoletana: da una parte l’enfasi della retorica nazionalista italiana delle élites, dall’altra la realtà identitaria (e malinconica, visto l’inquietante contesto) di chi la guerra l’ha davvero combattuta.

Il mostro nato dalla Prima Guerra Mondiale fu, come ben sappiamo, il fenomeno fascista; con la sua violenza si prefisse il compito di ultimare quanto cominciato con le guerre risorgimentali e con il conflitto di trincea.

Una proposta politica Sfortunatamente, a 100 dall’avvenimento, la propaganda italiana enfatizza gli avvenimenti di allora, ben guardandosi dal prendere una posizione di netto rifiuto e distacco; solo nella provincia di Bozen/Bolzano si è potuto vedere un segnale fermo e forte. Da tutte le altre parti (Lombardia, Veneto, Sicilia etc.) a capo chino si obbedisce silenziosamente. È quindi necessario formulare una proposta che contrasti questa propaganda e questa simbologia, almeno da parte di chi si attiva per chiedere l’autodeterminazione della propria terra.

Le nostre vie e le nostre piazze sono ancora, ad esempio, intitolate al generale Luigi Cadorna, comandante supremo dell’esercito italiano fino al 1917; responsabile non solo della propria incompetenza, ma anche di una inumana mancanza di rispetto per i soldati suoi sottoposti. Migliaia di passeggeri ogni giorno, a Milano, utilizzano una stazione (passando per l’omonimo piazzale) intitolata a chi attribuì la celebre disfatta di Caporetto ad una  «mancata resistenza di reparti della II armata vilmente ritiratisi senza combattere e ignominiosamente arresisi al nemico» mostrando disprezzo e irriconoscenza verso chi era costretto ad obbedire ai suoi folli comandi, perdendo la vita.

Avere vie, piazze e quant’altro dedicate a Luigi Cadorna, nel 2015, è un segno di profonda mancanza di rispetto verso i nostri caduti, specialmente di quelli additati come “disertori” e poi fucilati sommariamente.

È assolutamente necessario sottolineare che nella Lombardia (e non solo) moderna non vi è più posto per questa folle propaganda. Abbiamo una storia costellata da personaggi e fatti positivi, prendiamo spunto da essi e celebriamoli.
Da che parte staranno le istituzioni locali che attualmente si riconoscono parte dello Stato italiano? Il Comune di Milano, ad esempio, avrà il coraggio di prendere posizione? Lo avranno in Regione Lombardia, dall’assessore alle Identità Cappellini al Presidente Maroni?

ProLombardia.eu

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Redazione SANATZIONE.EU

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