Mises: Oltre 70 anni fa la pubblicazione di ‘Burocrazia’, un libro di stretta attualità

Di Adriano Bomboi.

Quante volte, attorno ai problemi di un determinato settore economico, avrete sentito i nostri politici affermare che ci “vorrebbero” nuove leggi e più incentivi? Perché invece non meno tasse e meno burocrazia? Siamo così abituati a tali affermazioni da darle ormai per scontate, senza comprenderne sia le reali implicazioni di cui si fanno portatrici, sia gli effetti che ne derivano sulla nostra economia.

L’aspetto grave di questa generale noncuranza riguarda indubbiamente l’orientamento dei nostri politici, i quali ritengono che ogni situazione di crisi sia risolvibile attraverso l’intervento pubblico, il cui braccio operativo è costituito dalla pubblica amministrazione.

Nel 1944 vide la luce uno dei più brillanti saggi di Ludwig von Mises, “Burocrazia”. Il testo, di matrice libertarian, nasceva dalla consapevolezza di un fenomeno ormai largamente diffuso: le istituzioni avevano completamente invaso la vita sociale ed economica degli individui, e ciò non costituiva più un vantaggio teso a servirli, ma un costo. Insomma, i tempi in cui Max Weber aveva delineato gli idealtipi della macchina burocratica erano ormai un velleitario ricordo, perché ancora oggi, nonostante un secolo di innovativi modelli di gestione della pubblica amministrazione, onde potenziarne la resa, permangono alla base i soliti problemi dell’inefficienza, della discrezionalità e della corruzione (spesso con personale in eccesso che svolge mansioni assolutamente inutili, se non dannose, per il cittadino e per i nostri imprenditori o nuovi investitori). In Italia si tratta di problemi ampiamente noti dagli studiosi del settore, pensiamo, fra i vari, a Guido Melis, esperto di storia dell’amministrazione italiana. Mentre altri osservatori ritengono che tali problemi siano riconducibili al mero senso civico (e quindi al livello di qualità del capitale umano) di una popolazione che si dota di un modello di organizzazione sociale per la distribuzione di beni, sanzioni e servizi.
Mises invece andò al cuore del problema: la burocrazia non poteva essere efficiente in quanto non aveva la caratteristica del calcolo economico. Vale a dire, un servizio non poteva rispondere a criteri di efficienza se questi non era determinabile attraverso un libero mercato dei prezzi. Ciò accade perché lo Stato, in qualità di apparato burocratico, impone monopolisticamente dei servizi al cittadino-utente, senza che quest’ultimo abbia possibilità di scelta, né di sanzionarne l’inefficienza, risolvendosi unicamente in una spesa. Ricordiamoci ad esempio dell’Italia prima della privatizzazione del settore telefonico, a quell’epoca non era possibile scegliere di comunicare con operatori più efficienti e con promozioni meno costose. Mises analizzò quindi un ulteriore aspetto capace di influenzare al ribasso la performance amministrativa, cioè proprio il fatto che la burocrazia, a differenza di un prodotto venduto in un libero mercato, non era e non è sottoposta alla valutazione dell’utente ma alla semplice discrezionalità del medesimo ente ed apparato che emana il servizio. Col tempo il settore pubblico si è addirittura introdotto nel settore dei servizi attraverso norme di diritto privato: pensiamo all’ente idrico Abbanoa, di fatto pubblico, dove il cittadino non ha la possibilità di difendersi da sprechi, inefficienze e costi altissimi, senza poterlo abbandonare per scegliere un operatore più onesto. Ciò poiché la politica continua ad imporre monopolisticamente il servizio, evitandone il fallimento, tramite la continua iniezione di denaro dei contribuenti stessi. Ricordiamoci infatti che in un mercato il fallimento è la spontanea decretazione dell’insuccesso di un’impresa, i cui servizi non hanno convinto la volontà dei consumatori. La resa di un servizio non dipende quindi dalla nazionalità o dal settore pubblico che ne eroga l’azione (ved. colbertismo), ma dal rapporto di concorrenza in cui si determinano costi e qualità in libere transazioni. Un rapporto che la tradizione catto-comunista italiana, importata in Sardegna da oltre un secolo a questa parte con la sua cultura clientelare ed assistenzialistica, ha ampiamente contribuito a demolire.

Nell’isola si tratta di osservazioni ad oggi per lo più ignote, tanto nella cittadinanza quanto nella nostra classe politica di maggioranza e opposizione (purtroppo persino in area indipendentista, sardista e sovranista). E magari anche in una discreta parte del nostro ceto accademico e intellettuale. Senza la pretesa che tutti conoscano a menadito autori come Joseph Salerno, Henry Hazlitt, Tibor Machan, Roderick Long e tanti altri pensatori austriaci in ordine sparso, è possibile avvicinarsi al libro di Mises, comprensibile anche ai neofiti in economia rispetto ad altre sue opere note, per scoprire le ragioni di una riflessione completamente nuova nell’approccio a queste tematiche.

Il testo è stato rilanciato negli ultimi anni in Italia da Rubbettino Editore, corredato dalla prefazione di un magistrale Lorenzo Infantino (economista, già autore di “Ignoranza e libertà”, 1999). Non perdetelo.

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