Arrestato il sindaco di Borore, partecipò al convegno su sovranità e indipendenza
Di Adriano Bomboi, scritto per il social di opinione “Zero”.
Il titolo è volutamente tendenzioso: Tore Ghisu, primo cittadino di Borore, non è stato arrestato per aver partecipato alla tavola rotonda sulla sovranità tenutasi nel 2014, è stato posto agli arresti domiciliari perché avrebbe pilotato degli appalti pubblici verso i classici “amici degli amici”.
Tralasciando i profili penali della vicenda, che spettano alla Magistratura ed alla difesa dell’imputato, a noi rimangono quelli attinenti alla riflessione etica, politica ed economica. Poiché il fatto rappresenta l’ennesima coltellata a quel gattopardo del demosardismo: una cultura politica popolarista, a cavallo tra PCI e sardismo, che nella seconda metà del Novecento, poi declinata in nuove forme fino al presente, ha espresso i canoni del potere politico manifestatosi nel territorio.
Si tratta di canoni corporativistici, in cui il rapporto tra burocrazia ed amministratori si è configurato nella capacità di elargire risorse pubbliche ai propri fiduciari, in cambio di un sostegno elettorale per la riconferma del solito ceto di potere distribuitosi in lungo e in largo presso le amministrazioni dell’isola (chi volesse approfondire questi temi potrebbe studiare la teoria della scelta pubblica di James M. Buchanan, Nobel per l’economia, trovandovi sorprendenti analogie con il tessuto politico-clientelare della Sardegna).
Ma quali sono esattamente le considerazioni etiche, politiche ed economiche del caso?
1) Quella etica riguarda immancabilmente la posizione dei contribuenti sardi, i quali, attraverso il fisco, si vedono sottrarre i propri soldi per stipendiare un’organizzazione istituzionale ed amministrativa il cui lavoro non consiste unicamente nella formale capacità di offrire servizi ai cittadini, ma nella sostanziale proprietà di soddisfare sé stessa.
2) Quella politica riguarda il sovranismo, in particolare il Partito dei Sardi, ed in secondo luogo l’indipendentismo. Il primo non comprende che la musica sta cambiando: l’era di internet ha rinnovato la coscienza civica della trasparenza, alimentando anche un rinnovato interesse della Magistratura nella necessità di sanzionare l’illegalità, quella sostanziale. Continuare ad attribuire tali processi al populismo o ad un temporaneo fenomeno emotivo costituisce la principale miopia politica di Paolo Maninchedda, politico esperto ma completamente a disagio nel confrontarsi con i nuovi schemi fragili e dinamici di variazione del potere. La sconfitta politica di Nuoro, in cui il PDS era alleato della conservazione, e l’attuale arresto di Ghisu, alleato del PDS (solo per citare due casi tra i numerosi esempi di condotta dedita all’indebitamento pubblico che si potrebbero fare), dimostrano che il Partito dei Sardi dovrà rinnovare profondamente la propria strategia. E potrà farlo ricorrendo meno alla spesa pubblica, e più alla virtuosità della trasparenza. Abbiamo infine l’eterogenea galassia dell’indipendentismo, la cui colpa mortale oggigiorno è quella di non fare politica. Nonostante i numerosi fatti di cronaca a danno delle finanze dei contribuenti, i nostri indipendentisti non sembrano aver ancora nulla da dire. Né paiono propensi a stimolare campagne politiche dedite a riformismo e trasparenza istituzionale. Diciamo che c’è gente più sveglia nei cimiteri che nelle nostre numerose e inutili sigle indipendentiste.
3) Quella economica riguarda la scarsa capacità di sviluppo di un territorio ammorbato da decenni di clientelismo e assistenzialismo. Basta aprire un qualsiasi quotidiano regionale per trovare le dichiarazioni di questo o quel politico reclamare all’Europa, all’Italia, alla Regione, a Plutone od a qualsiasi ente locale più finanziamenti e sovvenzioni per questo o quel problema. Come se l’Italia non avesse appena registrato l’ultimo record del debito pubblico, e come se la Sardegna non sia distrutta dal 65% di Pil generato da spesa pubblica (che alimenta corruzione), a fronte di un’economia prevalentemente incentrata sui servizi. Nessuno pare rendersi conto che la Sardegna va a rotoli perché si produce sempre meno, e nessuno pare ritenere utile alleggerire il peso del settore pubblico a danno dei privati, gli unici in grado di poter avviare investimenti per creare occupazione non assistita, ma che in questo contesto non vedremo tanto presto. E se svezzassimo il pargoletto?
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