Autunno in Sardegna? Al via sagre e manifestazioni locali che non funzionano

Di Maurizio Floris.

Come accade da quasi vent’anni, l’autunno in Sardegna, e particolarmente nelle Barbagie, è espressione di innumerevoli manifestazioni locali di tipo folkloristico, agroalimentare e culturale in generale, delle quali tra le più conosciute ci sono le cosiddette Cortes Apertas.

La prima edizione si è tenuta ad Oliena negli anni ’90, con l’obiettivo di valorizzare il centro storico e i prodotti locali, ma il numero delle località coinvolte è andato costantemente aumentando negli anni e, al momento, se ne contano ormai una trentina.

Abbiamo una domanda basilare con cui confrontarci: qual è il beneficio che ne deriva?
Osserviamolo sotto un profilo economico e di immagine, come se fosse un’analisi di un’agenzia turistica deputata a valutare costi e benefici di un’attività promozionale con cui si è investito nel territorio.

Dall’analisi del programma delle Cortes, la prima cosa che balza all’occhio è la lista dei paesi e le date in cui si terranno le manifestazioni: tutto sembra organizzato un po “alla carlona”, infatti gli eventi sono tutti ravvicinati tra loro, e gli stessi paesi si trovano spesso a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro, dando l’impressione di una ridondanza degli ambienti, pressoché identici.
Vi sono anche inspiegabili casi di sovrapposizione dei programmi nei medesimi giorni, pertanto appare evidente l’assenza di una cabina di regia, e che il tutto venga messo in piedi dalle rispettive Pro Loco locali, su base politica, senza una precisa visione d’insieme connessa allo sviluppo del mercato.

Un altro particolare interessante è che le Cortes sono incredibilmente numerose. O meglio, per essere più chiari, sono troppe!
Il sospetto è che esista una sorta di “competizione” tra Comuni molto vicini tra loro,  quasi che ogni Comune, in ragione dell’iniziativa di quello vicino, senta il dovere di replicarla anche nel proprio.
Pure in questo caso è evidente che manca un obiettivo preciso sulle finalità e sui risultati che si vogliono ottenere.

Terzo limite rilevato: oltre ad essere troppe, come suddetto, sono anche estremamente lunghe.
In alcuni casi con una media di tre giorni. Ma per visitare minuscoli paesi, di circa 2000 abitanti, un solo giorno sarebbe più che sufficiente, e questo non indurrebbe nel visitatore un senso di non indispensabile ripetitività.

Quarto limite: comunicazione provincialistica. Il sito principale dell’organizzazione, patrocinato persino dalla Regione Sardegna, è solamente in italiano. Così ogni brochure e carta promozionale dei programmi. Il che lo rende praticamente ignoto a qualsiasi (vero) programma d’investimento che un nutrito tour operator internazionale potrebbe pianificare.

Ciò nonostante, la macchina organizzativa parla sempre di successo, snocciolando dati opinabili che non tengono conto di un ultimo ma non meno importante quesito: a chi è rivolto questo maxi-circuito festaiolo? Apparentemente solo ai locali, non certo ai turisti d’oltremare, eccetto una minima percentuale casualmente trovatasi in loco per terze ragioni, e su cui non esistono dati certi.

In buona sostanza, il bilancio, in termini economici, culturali e di immagine che l’isola riesce a catalizzare da tale mobilitazione è abbastanza sconfortante: nessuno. O quasi.

Analizzando gli eventi dal punto di vista economico, non si rileva alcun allargamento del mercato, in quanto l’indotto e il denaro circolante proviene per la quasi totalità dai “locali”, ed in minor misura dal restante panorama regionale.

Va indubbiamente segnalato che per i venditori ambulanti di specialità tipiche e gastronomiche l’evento rappresenta comunque un’opportunità di guadagno, e questo è sicuramente positivo, ma complessivamente non si fa alcun passo in avanti perché, come si suol dire, si pesta un po’ l’acqua nel mortaio.
Da segnalare inoltre il valore dei numerosi cittadini, artigiani e commercianti locali di tali paesi che, a fronte dei vari limiti politici, non mancano mai di offrire con passione il frutto del proprio lavoro.

In buona sostanza, la strutturazione di queste manifestazioni non ha la capacità di risvegliare il torpore economico del territorio, né rappresenta un richiamo turistico di ampio respiro. Pertanto, a nostro avviso, cosi organizzate hanno un’utilità ed una redditività estremamente limitata.

Ma quali soluzioni potrebbero essere messe in campo per riuscire a rilanciare questi eventi in modo che siano capaci di ampliare il volume dei visitatori e, nel migliore dei casi, allungare la breve stagione estiva?

In primis sarebbe necessario affidare ad una macchina organizzativa commerciale una cabina di regia, onde pianificare in modo armonioso e redditizio le varie manifestazioni, evitando doppioni, sovrapposizioni e grossolani errori organizzativi.
Ciò eviterebbe l’approssimazione politica che ha sinora svilito la bellezza delle nostre comunità, isolandole da un’opportunità di sviluppo.

Appare evidente la necessità di sforbiciare il numero delle “Corti” coinvolte.
Una manifestazione zonale al mese, da settembre, con una proiezione di circa 12 settimane, sarebbe più che sufficiente. Opportuno infatti concentrarsi più sulla qualità che sul numero degli eventi.

La programmazione potrebbe estendersi anche a località marine, che certamente hanno a loro volta delle bellezze e prodotti tipici straordinari da proporre. Il ché salderebbe parte del volume turistico estivo ad un’immagine alternativa e virtuosa delle esposizioni sostenute.

La durata potrebbe aggirarsi sui due giorni, in modo da giustificare una traversata dell’isola.

Le comunità coinvolte, tra quelle situate in in zone diverse, potrebbero diversificare l’offerta. A tal proposito, sarebbe opportuno introdurre una rotazione tra i Comuni, in modo da poter svolgere, negli anni, le manifestazioni in luoghi differenti.

Un dettaglio estremamente importante da non sottovalutare è invece quello di prendere in considerazione solo i Comuni che presentino concreti patrimoni culturali, ricettivi e turistici.

Non citiamo volontariamente i nomi di taluni paesi per evitare diatribe inutili del tipo “cos’ha X più di Y”, o anche “non siete mai venuti a X, se no avreste visto bla bla bla…”.
In realtà, conosciamo più che bene la totalità dei Comuni al momento interessati dalle Cortes Apertas, e pur avendo delle preferenze (come tutti), esistono obiettivi parametri di valutazione che ne elevano alcuni squalificandone altri. Ovviamente niente impedisce alle località di minor pregio di rinnovarsi, di curarsi meglio e di proporsi con una veste turistica appetibile.

Tale circuito dovrebbe avere ineccepibili caratteristiche basilari: evitare zone sporche o indecorose, o con gravi carenze organizzative.
Mostrare le bellezze del paese, quindi, almeno intorno al percorso delle Corti, richiederebbe la necessità di bandire le strade disastrate, gli immobili di recente costruzione, spesso denotati da un panorama regionale denso di impresentabili facciate a mattoni e blocchetti, non intonacati, o persino chiese munite di esterni abbandonati a se stessi. Insomma, urge un minimo d’investimento sul decoro, sulla falsariga di quanto accade alle località visitate dal Tour de France, od altre ricorrenze sportive e culturali, obbligate a rinnovarsi per l’onore di un passaggio agli occhi dei visitatori.

Si parla di decoro pur ricordando, ovviamente, che diverse località marittime hanno già intrapreso analogo percorso.
In questo senso, la rotazione pluriennale tra le Corti darebbe il tempo alle comunità di riassettare il proprio spazio urbano/architettonico, in ragione del potenziale ritorno economico ottenibile.

Gli esempi internazionali e le manifestazioni di grande successo, capaci di attirare decine e anche centinaia di migliaia di turisti, non mancano. Possiamo citare i mercatini natalizi di Montreux, in Svizzera (24.000 abitanti e 400.000 turisti da tutto il mondo nella sola manifestazione del 2014, che ha portato nelle casse locali un ritorno economico di circa venti milioni di Franchi, a seguito di un contributo pubblico di soli 230.000 CHF).
Naturalmente la Sardegna non è la Svizzera: quanto è vero. Ma ciò è dovuto soprattutto ai caratteri del profilo organizzativo.
Visti i milioni di turisti che arrivano in Sardegna nel corso dell’estate, non si può certamente affermare che la nostra isola non sia una meta turistica ambita, lo è almeno quanto la Svizzera.

Il punto focale è che nel nostro interno manca un capitale sociale capace di valorizzare cultura e ambiente locale, e solo un circuito commerciale potrebbe consentirci di recuperare alcuni ritardi, se non quelli di origine strutturale (vedere trasporti). Occorrono proposte capaci di creare l’interesse anche di chi non vive in Sardegna, in modo da attrarre persone e capitali.

Inutile, del resto, inflazionare i nostri spazi con repliche folcloriche, magari made in China, o di costumi e maschere (talvolta arbitrariamente ricostruiti/e), che fanno perdere, data la loro sovraesposizione, la curiosità, o quella sorta di alone “misterioso” che potrebbe invogliare un turista a spostarsi per assistere ad una specifica manifestazione.
Ovunque al mondo esistono tradizioni, ma non bisogna svenderle. E’ importante saperle gestire e valorizzare per far sì che non siano solo un modo di tramandare dei prodotti artigiani fini a sé stessi, con il relativo bagaglio dei valori e costumi di una società. Ciò può invece costituire anche un biglietto da visita ed un invito agli esterni ad interessarsi per scoprire tali storie, permettendo in questo modo di sviluppare un’offerta capace di resistere al tempo e creare occupazione in aree economicamente depresse, evitando oltretutto lo spopolamento di tali comunità, e quindi garantendo la sopravvivenza delle tradizioni in questione.

Ci vuole giudizio, lungimiranza, visione d’insieme e, ovviamente, la ricerca di un certo risultato, del tutto assente nella proposta interna all’isola. Perché le precarie condizioni economiche in cui versa ne sono un’ulteriore conferma.

In tal senso, l’idea dei fautori del Canton Marittimo su una tutela da parte di veri esperti in campo turistico (nel loro caso sono gli svizzeri, la cui fama è inoppugnabile, ma anche nelle Baleari si trovano dei veri think-tank nel campo turistico) appare interessante e forse sarebbe il caso di approfondirla. Nessuno si senta toccato personalmente, ma spesso l’impressione che se ne ricava nell’osservare tali eventi è quella di un dilettantismo gravante sull’offerta turistica sarda, la quale, in una precisa area geografica, denota scarse qualità formative e professionali di marketing. Un supporto esterno e contestualizzato potrebbe dare il via ad un nuovo sviluppo, che è necessario come l’acqua in territori disastrati da decenni di disoccupazione e influenza italica.

Il tutto in attesa e nella speranza di poter un giorno decidere noi stessi del nostro turismo, senza doverci ulteriormente sobbarcare il Titanic Italia con la sua infinita inefficienza e burocrazia.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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    1 Commento

    • Una cosa importante, anzi a parer mio fondamentale, le Cortes e le varie manifestazioni similari con altro nome, da Prendas di Ittiri a Zente in faina a Benetutti a Idda de manos bonas a Nule..ecc ecc…dovrebbero chiudere al NERO, all’abusivismo,più che Cortes Apertas queste manifestazioni sono diventate Serrandas Arziadas, si vende di tutto e di più senza alcuna regola, anarchia massima, alla faccia di chi per poter tirare fuori la giornata deve sottostare a mille e più adempimenti, no HACCP, no Duap..non Asl, no ricevute fiscali…. nero nero a 360°…e quanto a tipicità e tracciabilità meglio star zitti!!! Quindi valore aggiunto ZERO promozione ZERO stimolo per nuove attività ZERO guadagno, non scontrinato,(dei pochi cari mannos) ASSAJE!!! Così non va!!!

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