Considerazioni sul progetto edilizio di Soru a Funtanazza (Arbus). E non solo
Di Adriano Bomboi.
Lo scorso 4 marzo la seconda sezione del T.A.R. della Sardegna si pronunciò, con ordinanza n. 54, contro il ricorso della Riva di Scivu S.r.l., società della famiglia Soru.
Il progetto della loro società, che venne quindi bloccato, prevedeva il taglio di parte della pineta sita a Funtanazza per l’insediamento di nuove costruzioni destinate a finalità turistiche. Recentemente tale divieto è venuto meno e i Soru avranno la possibilità di avviare il progetto.
Allo stato attuale non si conoscono gli atti che avrebbero ribaltato gli impedimenti precedenti e vi sono pertanto alcune considerazioni da porre in essere:
La prima è che, nella terra in cui si rallentano infrastrutture come la nuova “Olbia-Sassari” a causa della presenza della gallina prataiola, si riesce a dare vita ad un progetto che dovrebbe mutare il volto della marina di Arbus per migliaia di metri cubi.
La seconda è che Renato Soru annunciò in più occasioni la volontà di cedere la proprietà dell’area di Funtanazza, acquisita ben prima del suo arrivo alla Regione, ma ciò non si è mai verificato. Ed i suoi ricorsi dimostrano che non ne ha mai avuta l’intenzione.
La terza è che, con gli opportuni accorgimenti tecnici, la politica riesce ad aggirare una rigida legislazione paesaggistica che essa stessa si era data, impedendo così a numerosi imprenditori il varo di analoghi progetti di edificazione costiera.
La vicenda ha immancabilmente scatenato polemiche politiche. Polemiche che tuttavia non hanno vagliato alcune osservazioni pratiche sul modello di sviluppo che la Sardegna intende portare avanti. Del resto, se un imprenditore nel settore delle telecomunicazioni ritiene opportuno investire sul mattone è perché, tutto sommato, ha compreso che l’edilizia ricettiva ha ancora enormi potenzialità in termini di resa turistica e di crescita economica complessiva dell’isola. Bisogna quindi distinguere tra le speculazioni che tendono a spogliare il territorio senza creare diffuso benessere, e gli investimenti che non devono essere bloccati da una certa visione integralista di tutela dell’ambiente.
Il problema dunque non è il Soru imprenditore che tenta di portare avanti un progetto, ma il Soru politico che non crede pienamente nella rigidità della politica paesaggistica sinora sostenuta, creando legittimi sospetti d’incoerenza e ipocrisia.
Ciò nonostante, la vicenda potrebbe rappresentare un’ottima palestra di dibattito sulla necessità di non consumare eccessivamente il suolo dell’isola, ma allo stesso tempo di far si che intere aree dell’isola non rimangano prive di servizi ricettivi destinati ai grandi numeri del turismo. Quelli, per intenderci, che preferiscono mete come le isole Baleari (che nell’ultimo anno hanno totalizzato quasi 32 milioni di passeggeri), a fronte di una Sardegna in cui il florido settore ricettivo riguarda poche località realmente attrezzate per sostenerlo (come la Gallura).
La faccenda riporta alla mente il caso di alcuni anni fa relativo alla costruzione di un albergo presso la pineta di Santa Lucia di Siniscola, un progetto sostenuto da un’amministrazione di centrosinistra. Per quanto diverso nella sostanza e nell’entità, anche allora la popolazione locale polarizzò le sue posizioni in due schieramenti contrapposti: coloro che volevano salvaguardare la pineta senza acconsentire alla realizzazione di alcun albergo; e coloro che volevano costruire un albergo a spese della pineta, arrivando all’impasse. Purtroppo ben pochi concittadini ritennero opportuno sostenere una terza via: salvare albergo e pineta, poiché il territorio antistante dispone qualitativamente di più chilometri del Principato di Monaco.
In merito al progetto di Funtanazza, da ciò che si è potuto apprendere, le nuove cubature, che sostituiranno l’ultima sezione della terribile architettura democristiana già esistente (la ex colonia “Sartori”), saranno poste oltre la linea dei 300 metri dal mare, il che significa che non si costruirà a ridosso del bagnasciuga. Il dilemma piuttosto è che tale possibilità debba poter essere estesa anche a tutti quegli imprenditori che oggi non hanno lo stesso potere politico di Renato Soru.
Con tale ragionamento non intendo avvallare un indiscriminato modello di consumo del suolo: non possiamo dimenticare che esistono zone della Sardegna dove è possibile riqualificare le soluzioni strutturali esistenti, ma esistono anche zone totalmente prive, per decine di chilometri, dei più elementari servizi di accoglienza. E questo costituisce un incalcolabile danno economico che ricade sulle popolazioni dei Comuni interessati.
Se c’è un errore capitale che i sardi del domani dovranno evitare sarà quello di passare da un estremo all’altro. Cioè da un’epoca, come quella della “Rinascita”, in cui si calarono dall’alto modelli lesivi di speculazione del territorio, ad un’epoca dove un malinteso senso di riscatto del territorio rischia di passare attraverso un approccio di diniego radicale per la realizzazione di qualsiasi infrastruttura.
Pensiamo all’esempio del gas. Attualmente, l’annuncio del Qatar parla di riserve nel sottosuolo sardo per oltre tre secoli. Non sappiamo se si tratti di una bufala, ma se ciò fosse vero, e niente toglie che possa esserlo, disporre di tre secoli di gas significherebbe sviluppare un potere di esportazione verso tutta Europa, con la modifica degli attuali equilibri politici che intercorrono tra Cagliari e Roma. Il nostro indipendentismo è ancora ideologicamente immaturo per comprenderne i potenziali benefici, perché osserva solo i surrettizi potenziali passivi di una servitù controllata da investitori esterni.
Come si arriva ad un modello capace di rispettare l’equilibrio fra ambiente e investimenti? Attraverso una revisione della sovranità, e quindi attraverso una riforma dello Statuto Autonomo regionale. Non attraverso “nazionalizzazioni” ma liberalizzazioni (come esercizi commerciali aperti 24h su 24), da non confondere con l’anarchia. Perché vincoli, fiscalità e burocrazia dovranno essere adeguati a caratteristiche economiche e paesaggistiche che non possono vederci armonizzati alla complessiva normativa statale, ma alle esigenze, anche di mercato, che l’imprenditoria potrà mettere in piedi.
D’altronde, lo stesso Qatar, alla vigilia della scoperta del proprio gas, si interrogò sul futuro geopolitico che avrebbe potuto ricoprire, scegliendo di essere protagonista piuttosto che comprimario di scelte altrui. Nei Paesi Bassi sono riusciti ad attrarre investitori e conoscenze, non speculative, attraverso lo sviluppo del sistema del “ruling” (tanto maggiori saranno le conoscenze profuse settore per settore, tanto maggiori saranno gli incentivi economici rivolti a lavoratori e investitori).
Pensiamoci.
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U.R.N. Sardinnya ONLINE
dal rendering non mi piace, non si capisce perchè si debbano riprendere le linee del vecchio edificio. In questi casi secondo me converrebbe demolire e ripartire con un progetto ex-nuovo. Come al solito in italia vige la mania del ripristino.