Spopolamento interno? In Sardegna 804 agriturismi, in Alto Adige 3098

Di Adriano Bomboi.

Stando ai dati 2014 offerti dalla Regione Sardegna, nell’isola abbiamo 804 agriturismi. Secondo il censimento ISTAT in Alto Adige ci sarebbero invece 3098 agriturismi.
La Sardegna ha 377 Comuni distribuiti in 24.100 kmq, l’Alto Adige 326 Comuni in appena 13.606 kmq.

A cosa è dovuto un simile divario? E quali opportunità economiche abbiamo in questo settore?

Per rispondere alla prima domanda si potrebbe obiettare sull’inutilità di comparare due Regioni storicamente e geograficamente diverse. Il Trentino-Alto Adige si trova in una fondamentale posizione di transito che nei secoli ha saputo favorire la crescita economica dell’agro-allevamento come strumento con cui soddisfare i bisogni di una località che ha tassi di urbanizzazione di gran lunga più densi rispetto alla nostra isola, circondata dal mare. Ma ciò basta a giustificare la bassa quantità dei nostri operatori di settore? Probabilmente no.
Ad un’attenta analisi della situazione non sfugge come questo divario non abbia solo motivazioni culturali ed economiche ma anche e soprattutto politiche, in ragione della normativa che sancisce i limiti e le forme di questa tipologia ricettiva.

Il primo elemento da prendere in considerazione è proprio la legislazione statale e regionale, che presenta un problema già noto ai teorici federalisti e indipendentisti, ed insito nella struttura istituzionale dell’Italia: il centralismo. Alto Adige e Sardegna hanno un’analoga legge regionale ed un unico grande limite statale. Quest’ultimo parte persino dal Codice Civile, il cui articolo 2135 stabilisce che è imprenditore agricolo non solo colui che opera nella cura e nella produzione agricola del fondo, ma anche chi esercita le attività connesse al fondo. Questo semplice articolo, di fatto, esclude tutti coloro i quali non siano imprenditori agricoli desiderosi di investire nel settore, nonostante potrebbero comunque approvvigionarsi da terzi agricoltori, pur non producendo autonomamente i cibi somministrati ai clienti. Tale limite danneggia anche gli agricoltori sprovvisti di servizi di ricezione, che vedono così perdere un potenziale e proficuo sbocco commerciale delle loro produzioni (ricordatevi di questo dettaglio quando sentirete parlare i nostri politici di “rilancio dell’agricoltura e lotta allo spopolamento interno dell’isola”).

Il secondo elemento attiene all’ultima normativa statale di settore, che fornisce le linee guida alle Regioni sulle formalità da adempiere in materia agrituristica. La legge 96/2006 recepisce il principio del Codice Civile ed inasprisce i paletti entro i quali si può parlare di agriturismo. L’articolo 4, comma 2°, introduce il fattore della dimensione dell’azienda come elemento distintivo di un agriturismo. In questo caso, il legislatore, al posto di orientarsi semplicemente sulla provenienza dei cibi somministrati, seguì una valutazione semplicistica per cui, per evitare di confondere la natura di un agriturismo con quella di un albergo, si è deciso che in tutta Italia questi debbano avere dimensioni simili. Alle Regioni spettò così il compito di definire ulteriormente i paletti legislativi affinché si potesse parlare di azienda agrituristica. A ciò si è aggiunto il limite per cui sarebbe “agriturismo” solo un manufatto edilizio che sorge sulla base di una costruzione precedente. Non ci vuole molto a comprendere che tale scelta avvantaggia le località munite di una maggiore urbanizzazione rispetto a quelle località rurali che hanno maturato condizioni storiche e sociali diverse. Da notare inoltre che, sempre secondo l’ISTAT, la Regione con il più alto numero di agriturismi è la Toscana, con ben 4.108 aziende di settore. La sua estensione è analoga a quella della Sardegna, con la differenza di un peso demografico che raddoppia oltremodo rispetto all’isola (ricordatevi di questi dettagli quando sentirete parlare i nostri politici di “rilancio dell’agricoltura e lotta allo spopolamento interno dell’isola”).

Il terzo elemento attiene all’ultima normativa regionale del settore, e qui si scoprono cose pazzesche che gettano un’ombra sulla competenza dei consiglieri regionali sardi. La legge 11-2015, approvata appena pochi mesi fa, presenta gli stessi limiti della legislazione altoatesina, nonostante il legislatore sardo abbia avuto la possibilità, non sfruttata, di variare al rialzo alcuni criteri di limitazione dei coperti dispensabili dalle nostre aziende. L’art. 7 è un emblema della camicia di forza con cui il nostro settore agrituristico non sarà mai posto in condizioni di estendere il proprio business (basti pensare alla quota massima di 1800 coperti mensili). Non sia mai che crescano troppo. Magari Stato e Regione preferiscono alimentare il land grabbing delle energie rinnovabili sovvenzionate con soldi pubblici!

L’idiozia della politica sarda consiste infatti nell’aver prodotto una legge agrituristica con condizioni analoghe a quelle di un territorio che invece ha caratteristiche socio-economiche diverse da quelle dell’isola. E qui sorgono diverse domande:
1) il legislatore sardo ha semplicemente voluto copiare (male) la normativa di una delle Regioni più virtuose del settore?
2) il legislatore sardo ha una visione d’insieme del mercato e delle differenze geografiche e socio-economiche in cui si sviluppano tali attività tra una Regione e l’altra?
3) il legislatore sardo è stato mosso da puro spirito riformistico o ha giocato un ruolo il conflitto d’interessi su cui il timore di concorrenza degli albergatori avrebbe ben volentieri messo il naso? (ricordatevi di questi dettagli quando sentirete parlare i nostri politici di “rilancio dell’agricoltura e lotta allo spopolamento interno dell’isola”).

L’ultimo anello della catena alimentare di una politica centralista che sta ingessando e cannibalizzando la nostra economia è rappresentato dai Comuni, che in ultima istanza, PUC inclusi, hanno avviato inconfessabili pratiche clientelari con cui favorire l’avvio di un dato agriturismo, svincolandone la possibilità a Tizio piuttosto che a Caio. Ricordatevi pure di questo dettaglio…

Conclusioni? Previa risoluzione di terzi limiti fiscali, burocratici e dei trasporti, la Sardegna ha tutte le carte giuste per espandere in misura considerevole l’industria ricettiva rurale, anche con una vasta proiezione internazionale di mercato. E avrebbe tutto il potenziale per sfidare realtà territoriali ad oggi più agguerrite e attrezzate della nostra.

Liberiamo il mercato dalla politica, con le sue leggi votate alla sussistenza del sottosviluppo, e creeremo ricchezza, salvando una discreta percentuale delle nostre zone interne ed evitando a tanti giovani il problema dell’emigrazione.

Vogliamo meno cartelli stupidi recanti la scritta “Comune denuclearizzato” e più diritto di fare impresa.
Vogliamo meno sussidi, meno vincoli e più mercato.

Segnalo infine che proprio nello stesso mese in cui i nostri campioni regionali approvavano la nuova legge sul settore, il Guardian britannico escludeva la Sardegna dalla top ten dei migliori agriturismi d’Italia. Per ulteriori limiti che investono la qualità dei nostri agriturismi rimando ad un fortunato articolo di Sa Natzione del 2013 (“Ecco la rete delle strutture ricettive in Sudtirol. E in Sardegna?”).

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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    2 Commenti

    • Il divario è dovuto al fatto che l’Alto Adige è una delle regioni più belle del pianeta mentra la Sardegna, mare a parte, è un ce***.

    • [...] alcuna comprensione delle basilari differenziazioni di mercato, peraltro argomentate nell’articolo di Sa Natzione dello scorso settembre). – il secondo, più serio, riguarda la distruzione della concorrenza a cui andrebbero incontro i [...]

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