A Tempio arriva Piazza Faber: ne parliamo con Luigi Agus, esperto di Beni Culturali
Agus è cattedratico di storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Sassari e professore di storia dell’arte presso l’ISSR Euromediterraneo annesso alla Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna. Tra le sue pubblicazioni si segnalano “San Simplicio in Olbia e la diocesi di Civita” (Rubbettino 2009) e “Rinascimento in Sardegna” (Arkadia 2009).
A cura di Adriano Bomboi.
A Tempio prende corpo la nuova cosiddetta “Piazza Faber”, dedicata al celebre cantautore Fabrizio De André. Poche voci critiche e tanti apprezzamenti al progetto firmato da Renzo Piano, ma l’impressione che se ne ricava è quella di un terribile sfregio all’identità del luogo interessato dal restyling. Che ne pensa?
Proprio l’identità dei luoghi, determinata dalla loro storia, dall’urbanistica e dagli egregi esempi di arte “domestica”, per riprendere una definizione coniata da Vico Mossa, non è stata presa in considerazione da questi archistar ideatori di origami volanti. Già la genesi dell’operazione ha avuto un approccio tutt’altro che professionale. Il fatto che qualcuno da Tempio sia andato a trovare Piano nel suo studio con un book fotografico e quest’ultimo – dalle foto – abbia scelto la piazza e buttato giù l’idea, ci dà la chiave di lettura del tutto: “io sono una firma, vi concedo udienza, prendete quello che vi do e tacete. Perché non ho bisogno di studiare la vostra storia e la vostra urbanistica, dato che siete un popolo provincialotto, mentre io sono uno dei più grandi architetti del mondo”. Piazza Faber nasce così, da un’idea abbozzata lì per lì, senza tenere conto dell’impatto che avrebbe avuto in una piazza centrale con secoli di storia di un centro montano. E che non sia stato fatto uno studio antropologico, storico e artistico lo dimostra il fatto che l’idea pretenderebbe di evocare da una parte le matite (Faber fu soprannominato così da Paolo Villaggio per la sua passione per le matite colorate) e dall’altra le vele, richiamando quel mare che De André amava tanto. Idea lodevole, ma in un centro costiero, non certamente in una città montana fortemente caratterizzata da severe strutture in granito. Altro elemento di cui non si è tenuto conto è proprio il granito, che è una pietra riflettente (per la presenza di mica e quarzo), su cui gli effetti di ombre proiettate sono deleteri e rendono poco, mentre ben diversa sarebbe stata la stessa installazione in una piazza con palazzine bianche o calcaree a vista, pietra che per sua natura è “assorbente”. Insomma un progetto adatto a Capri o qualche isola greca piazzato invece al centro di Tempio in un contesto del tutto fuori luogo. Ultima osservazione tecnica è quella riguardante i cavi tesi da un edificio all’altro, un vero sfregio fatto in barba alla Carta di Gubbio e a decenni di studi sulla conservazione e valorizzazione dei centri storici. Normalmente infatti in contesti simili si procede ad eliminare cavi, lampade e altri elementi di disturbo, mentre qua si va per aggiunta, anche laddove non sia utile. Penso a Siviglia dove nel centro storico sono stati eliminati perfino i cavi della metro leggera, ideando un treno ad accumulo energetico, o a Salamanca dove i cassonetti dei rifiuti sono stati completamente interrati (la spazzatura viene prelevata con appositi macchinari aspiranti), non esistono insegne luminose mentre i cavi sono interrati. Qua si fa l’esatto opposto!
Vari Comuni sardi non sono nuovi alla tentazione di cancellare prestigiose costruzioni del passato per fare spazio a “moderni” quanto discutibili progetti.
In Sardegna lo sfregio dei centri storici e la perdita del patrimonio storico-artistico ha le sue radici nell’età sabauda, più esattamente tra ‘800 e ‘900 e continua ancora, in barba ad una maggiore sensibilità che dovrebbe caratterizzare l’opinione pubblica su questi temi. Se infatti è comprensibile l’abbattimento delle mura medievali nel XIX secolo (ma non sicuramente del castello sassarese), incomprensibili risultano certi scempi perpetrati fino a tempi recenti: dalla facciata barocca in marmo del duomo di Cagliari, demolita nella vana speranza di trovare quella “originale” romanica, alla demolizione della più antica chiesa romanica sassarese, quella di San Biagio, per far posto ad un binario morto della stazione, oggi inutilizzato! Ma si potrebbe continuare citando l’impropria riforma dell’altare maggiore della cattedrale cagliaritana – voluta dall’arcivescovo Mani – con la rimozione del tabernacolo d’argento, la distruzione del sopralzo marmoreo e la perdita delle quattro aquile che lo sostenevano; oppure il dubbio progetto di un privato sul chiostro di San Francesco di Stampace, unico elemento rimasto del più vasto complesso francescano dell’isola, dove si vorrebbero “recuperare” volumi edilizi sopra i porticati gotici! Il caso di Tempio, tuttavia, ha qualche elemento in più. Il primo è il progetto di un archistar, che in quanto tale diviene incontestabile e scevro da ogni possibile osservazione; il secondo è che in realtà quanto si sta realizzando non è il progetto completo, ma un quinto, visto che l’opera completa costerebbe circa 2 milioni di euro, mentre i denari a disposizione sono meno di 300 mila (280.000 euro per l’esattezza). E il resto? Nulla è dato sapere, né a breve termine esistono finanziamenti o sovvenzioni per completare l’opera! Quindi Tempio si ritroverà una piazza con una ragnatela di cavi e qualche vela colorata senza che queste svolgano la funzione desiderata (proiezione di immagini, scritte e suoni). Insomma, casomai lo avesse avuto, un’installazione priva di qualsiasi significato, fatta eccezione per il disturbo visivo e lo spreco di denaro pubblico. Altra cosa di cui non si è tenuto conto è il costo di manutenzione del tutto (le vele, penso microforate, sono semoventi attraverso motorini simili a quelli delle barche), che è elevatissimo. Mi domando come un comune che da anni ha difficoltà a cambiare le lampadine, i marciapiedi a pezzi per assenza di manutenzione ordinaria e i lampioni arrugginiti, possa permettersi un lusso del genere! La questione è del tutto simile – nel suo aspetto più grottesco – a quella del ponte di Calatrava a Venezia: un manufatto inutile (a chi mai sarebbe venuto in mente di costruire un ponte per unire la stazione a piazzale Roma, dove ogni giorno transitano migliaia di persone con valigie e carrelli, con gradini in vetro?!) e costosissimo nella sua manutenzione, tanto che sarebbe convenuto più demolirlo. Ma guai! Come si può pensare di abbattere l’inutile e dannosa realizzazione di un “archistar”?
Come vede la genesi e la tenuta di questo progetto?
Come già anticipato, un’idea buttata lì per lì su una foto senza tenere conto delle storia e dell’identità del luogo e senza, forse, nemmeno sapere che si trattava di un centro montano, con eventi metereologici a volte estremi (neve, piogge, venti fortissimi). Il tutto è poi stato elaborato da un altro studio di architettura, il romano Alvisi-Kirimoto, che ha redatto il progetto esecutivo sull’idea iniziale di Piano. Insomma un progetto che non è nemmeno attribuibile a Renzo Piano in toto, come se anziché un quadro di Picasso ci si accontentasse di una litografia! Forse lo stesso Piano, memore dell’insuccesso del progetto della piazza CIS di Cagliari, ha preferito non farlo direttamente nel suo studio, ma affidarlo ad altri, anche se lui stesso – ho notizia – ha seguito le fasi del progetto.
Lo sperpero dei soldi dei contribuenti saprà compensare anche le opere di manutenzione?
Il fatto che si tratterà di un’opera non finita, quindi illeggibile nel suo complesso, non diminuirà i costi di manutenzione. Si tratta di un costume ormai noto a Tempio, quello di realizzare e poi abbandonare: dalla Palazzina Comando inutilizzata da anni all’ex pretura, chiusa e inutilizzata, fino alla Casa Cossu: uno straordinario immobile con affreschi e mobili di pregio in totale stato di abbandono, dove erano entrati perfino i piccioni che avevano sparso il loro guano ovunque. I costi di manutenzione tuttavia inizieranno da subito (penso al palazzo CIS di Cagliari di Piano i cui costi di manutenzione delle tende automatiche semoventi si aggirano attorno al milione e mezzo annuo), e che naturalmente – com’è costume dei nostri amministratori – non sono stati nemmeno previsti! Vorrò poi vedere cosa succederà alla prima maestralata o alla prima nevicata… Chissà se i nostri spacciatori di origami lo hanno previsto e sanno che anche in Sardegna nevica…
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