Ottana: prossimo deserto industriale
Di Natascia Talloru.
Il tempo passa, i problemi restano. E’ ancora alta la tensione da parte degli ormai ex-lavoratori che operavano nel polo chimico e energetico di Ottana. L’effetto domino che ha avuto inizio due anni fa con la cassa integrazione di 88 operai della Ottana Polimeri ha preso forma nel tempo, concretizzandosi maggiormente con la chiusura della Ottana Energia. A saltare adesso saranno altri 86 operai che il 18 aprile entreranno in cassa integrazione.
E non bastano le polemiche davanti al palazzo della Regione né le assemblee sotto le ciminiere. E’ di qualche giorno la notizia secondo cui alcuni lavoratori, supportati dai sindacati, hanno scalato 180 metri di altezza per arrivare in cima a una ciminiera, insediandosi in segno di protesta.
La decisione da parte di Terna di revocare il regime di essenzialità alle centrali sarde, tra le quali la centrale termoelettrica di Ottana, potrebbe portare a delle ricadute negative irreversibili su tutto il complesso socio-economico del nuorese. E a piangerne non sarà solo il centro che ospita da circa quarant’anni gli impianti, ma anche i paesi limitrofi e l’intero insediamento di imprese, che contano nel totale 430 addetti diretti più l’indotto.
In passato ponemmo l’accento su quanto potesse essere grave la chiusura della centrale elettrica, verificatasi il 31 dicembre scorso, fatto che avrebbe ulteriormente immobilizzato la fiducia nella riapertura del polo chimico e per il quale si chiese un piano industriale volto ad accorciare la filiera produttiva, effettuando una riconversione verso una produzione bio. Ma a tutt’oggi i nodi appaiono sempre più stretti e le strade lunghe e intricate.
Certamente non si tratta di affari che possano portare a epiloghi chiari nel breve termine e ancora si attendono risposte in merito agli approfondimenti effettuati dai tecnici Terna e dalle autorità competenti. Secondo alcune indiscrezioni la tendenza sarebbe quella di indirizzarsi verso una riconversione a metano e, in particolare, esisterebbe un progetto riguardante un terminale di gas naturale di novemila metri cubi, presentato a Oristano, e funzionale alla centrale stessa.
Le idee sussistono, è il passaggio ai fatti a non delinearsi all’orizzonte e con essi vengono a mancare gli ultimi scampoli di speranza che sono legati, in un raccapricciante equilibrio macchina/uomo, alle sorti della stessa centrale.
Il rischio adesso è che permangano ulteriormente siti inutilizzati, inquinanti, a contornare il paesaggio della zona, senza peraltro che vi siano prospettive per gli ex-operai di essere ricollocati. Come se il territorio e le persone avessero bisogno di questo: un’ulteriore miccia che innescherebbe la partenza di altre pile di valigie dai nostri porti e aeroporti, e da parte dei più caparbi, il principio probabilmente di un coraggio che li porti a rimettersi in gioco, riconsiderando i lavori tradizionali che la Sardegna, ancora, mette a disposizione.
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Redazione SANATZIONE.EU