Referendum: da Arborea ad Ottana, partecipazione ed astensione consapevole

Di Adriano Bomboi.

C’è chi ha votato per il mare, c’è chi ha votato contro le trivelle e c’è chi ha votato per la democrazia. C’è anche chi ha votato contro la dittatura, chi contro Renzi ed a favore della foca monaca. C’è pure chi ha votato per l’uselin de la comare, per le mille bolle blu ed il cielo stellato dentro di noi.

Insomma, quando la democrazia viene ridotta in farsa, l’astensione è l’antidoto al dilagare della mediocrità.

Considerate inoltre che il 17 aprile scorso si è tenuto il primo referendum italiano la cui comunicazione si è svolta quasi interamente online.
Nel merito del quesito, quanti erano a conoscenza dell’impossibilità tecnica e di mercato nell’esprimere un parere che metteva insieme due materie diverse quali gas e petrolio? Peraltro in contrasto coi canoni della concorrenza imposti dall’UE.
Si è discusso di tutto tranne che di questo.
Inutile tornarci.
Osserviamo invece il responso delle urne partendo dal primo errore che dobbiamo evitare: la narrazione consolatoria secondo cui esisterebbe una “minoranza illuminata” che si è opposta all’indifferenza della conservazione. Una strada su cui, a detta dei suoi promotori, bisognerebbe insistere.

Il problema dei sostenitori del “si” è che non riconoscono legittimità politica e democratica agli astenuti, che inquadrano solo come “indifferenti” o, peggio, come i NO, “conniventi”. Quest’ultima attribuzione è grave in quanto vera: perché per i SI non possono esistere persone favorevoli a piattaforme di estrazione di idrocarburi finché le rinnovabili non saranno in grado di sostituirle.
Questa mentalità integralista, che sproloquia di democrazia, è la stessa che da anni tiene ai margini l’indipendentismo sardo, ed è quella che ritiene il proprio voto “libero dai condizionamenti del potere”, ignorando magari di essere una vittima anch’essa della propria ideologia. Un’ideologia che spaventa un elettorato maggiormente pragmatico e moderato, che si è ritrovato, paradossalmente, a confidare nel centralismo renziano, che non ama, e nell’arma dell’astensione: cioè uno strumento per disinnescare la forza cinetica degli avversari, inquadrati come “scalmanati” pronti a causare un danno a tutta la comunità. Ecco perché – per la componente informata dell’astensione – non fare nulla è stato un mezzo, anch’esso democratico, per fare tutto: far finire il “branco” (di cui ho parlato in un articolo precedente) verso il baratro.

Secondo errore da evitare: pensare che tutti quelli che han votato “SI” in Sardegna lo abbiano fatto per lo stesso motivo, e sulla base di questa maldestra convinzione, ritenere che esistano i margini per sviluppare una politica unitaria. Come sappiamo infatti c’è chi ha votato contro Renzi, chi genericamente sull’ambiente, etc. Una linea così eterogenea non costituirà mai la base di un solido progetto politico.

Chiediamoci: con una consultazione a quorum si può affermare che i SI avrebbero vinto anche in sua assenza?
Vediamo i numeri dell’isola (Ministero dell’Interno): al netto delle schede bianche e nulle, hanno votato “si” 410.048 persone, contro 33.739 “no”. Ma qual è il totale degli aventi diritto al voto? 1.381.000 elettori circa. Significa che ben 970.952 sardi si sono astenuti. Che significa? Che quasi un milione di persone fosse solamente disinformata o disinteressata è dunque una valutazione priva di serietà. Macroscopiche evidenze denotano che in assenza di quorum, i “no” sarebbero stati di gran lunga superiori ai quasi 34.000 registrati. Difficile tuttavia affermare in quali percentuali, anche perché dal dato complessivo dell’astensione non può essere sottratto il numero di chi ha tatticamente scelto di non aderire. Abbiamo però dei formidabili indizi su base territoriale: sono i casi di Arborea e di Ottana. Nel primo caso la percentuale dei partecipanti al referendum è stata del 57,53% (Fonte: SEO); ad Ottana invece ha trionfato l’astensione, con il 16,54% dei partecipanti (Fonte: Il Sole 24 Ore).
Le due realtà presentano segmenti d’impresa molto differenti tra loro nel settore primario e secondario dell’economia: ad Arborea è presente l’omonimo indotto lattiero-caseario (3A), che della qualità ambientale ha fatto uno dei suoi punti di forza a vantaggio di tutto il territorio. Viceversa ad Ottana esiste una pluridecennale presenza dell’industria chimico-energetica basata sull’uso di fonti fossili. I cittadini di queste due amministrazioni hanno quindi votato sulla base delle rispettive esigenze ed aspettative professionali. Chi temendo di perdere un indotto basato sull’agro-allevamento; chi un indotto basato sulle energie tradizionali.

I lettori più affezionati sapranno che qualche anno fa, per risolvere la controversia della ricerca di gas nell’oristanese, proposi ai nostri politici di risolvere il problema tramite referendum locali, sul modello svizzero, in modo tale che ogni comunità potesse rispondere direttamente alle proprie esigenze circa il modello di sviluppo desiderato. Ovviamente non sono stato ascoltato e la superbia politica ha preferito anteporsi ai cittadini per decidere, in un senso o nell’altro, in loro vece.
Il referendum italiano ha portato alla luce le scelte di comunità tutt’altro che indifferenti o disinformate sul proprio destino, e questo prova che in un’ipotetica Sardegna confederale bisognerà superare tendenze pianificatrici che persino i nostri indipendentisti non hanno mai abbandonato.

In conclusione, non possiamo negare che il secondo modello, ad Ottana, abbia prodotto inquinamento e assistenzialismo, ma su questo aspetto si gioca il futuro della politica indipendentista: vogliamo costruire un modello interventista, col rischio di aumentare i danni, oppure un modello più dinamico basato sulla capacità di attirare investimenti non sussidiati contro fisco e burocrazia?
Il massacro referendario dei SI in Sardegna ha dimostrato che tanti non si sono ancora posti questa domanda, né hanno il coraggio di parlare faccia a faccia con gli ottanesi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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