Dall’Accordo di Milano ai dubbi sull’agenzia sarda delle entrate
Di Adriano Bomboi.
Per anni abbiamo pensato che la sola esazione delle tasse fosse la panacea di tutti i mali, con l’idea di costruire un’agenzia sarda delle entrate, mentre in Alto Adige, con il cosiddetto “Accordo di Milano”, hanno lasciato perdere l’idea dell’esazione ed hanno lavorato per partecipare con lo Stato alla capacità di imposizione. Risultato? I nostri cugini autonomisti hanno ottenuto un risultato, i sardi invece hanno solo ottenuto, dopo infiniti ritardi, delle norme di attuazione relative all’art. 8 del proprio Statuto autonomo. Di che si tratta? Molto semplicemente è stata definita la natura delle entrate spettanti alla Regione (a Bolzano invece, seppur difficilmente, si stabilisce pure il livello e non solo la natura di tali entrate). Entrate che in Sardegna in passato non tornavano indietro, trattenute da Roma, e che costituirono la base della cosiddetta “vertenza entrate”, cioè il contenzioso Regione-Stato per la restituzione dei soldi dei sardi, inizialmente quantificati in circa 10 miliardi di euro. Ciò premesso, tali norme sono comunque un risultato, ma non rappresentano niente di storico, né di riformistico o rivoluzionario, men che meno federale: sono semplicemente atti previsti dal nostro ordinamento istituzionale che non alterano la struttura centralista dello Stato (e ciò non accade neppure nel caso altoatesino, sebbene la sua Autonomia goda di una specifica tutela costituzionale). La Regione non esercita un nuovo potere ma solo un potere già previsto e più volte rimandato.
Dopo gli ultimi accordi, alla prova dei fatti sappiamo che il multimiliardario debito di Roma nei confronti di Cagliari si è ridotto ad appena 900 milioni di euro, che lo Stato restituirà a rate nel corso del tempo (vi lascio immaginare come avrebbe potuto essere accolta una notizia del genere a Bolzano, a Belfast o a Barcellona). Mentre poco chiaro appare il destino dell’agenzia sarda delle entrate (ASE) che si vorrebbe realizzare. Sul tema Giovanni Scanu ha espresso precisi quesiti:
Quali sarebbero le funzioni dell’ASE? Chi riscuoterebbe, e quali, tributi? Chi avrebbe il potere decisionale sugli accordi successivi alla creazione dell’ente? Quanto costerebbe l’ente? Nel caso di specie, si confermerebbe la previsione di spesa per circa 2 mln e nessuna assunzione, con circa 20 dipendenti scelti dal personale già in forza alla Regione? Inoltre, ferma restante la bontà della reversione del gettito, se vera, il passaggio di consegne dall’agenzia delle entrate italiana a quella sarda come dovrebbe avvenire? Quali costi affronteremmo a nostro carico e quanto durerebbe il procedimento? Infine, l’approvazione dell’ASE, proposta dal “Partito dei Sardi” a ridosso della votazione sulla ASL unica che vede il PdS contrario, è una coincidenza?
Al netto dell’ottenimento della norme di attuazione e della restituzione di una piccola parte dei soldi sottratti dallo Stato, l’ASE rimane solamente un progetto di legge (di cui dopo le elezioni sarà possibile vagliarne la reale consistenza politica), che non appare in grado di sostituirsi all’agenzia delle entrate italiane, col rischio di configurarsi come l’ennesimo ente inutile di cui la Regione non avrebbe sicuramente bisogno, salvo emersione di ulteriori novità relative all’accordo dello scorso 16 maggio tra la Giunta Pigliaru ed il Governo. Si confermano pertanto tutte le osservazioni già mosse anche su Sa Natzione da Corrado Putzu e Andrea Nonne in materia di agenzia sarda delle entrate: quelle di pertinenza statale continuerebbero ad andare verso Roma, a prescindere dal varo di un organo la cui mitizzazione rasenta ormai le favole inerenti improbabili ipotesi di zona franca integrale.
Iscarica custu articulu in PDF
U.R.N. Sardinnya ONLINE