USA: i Neocon contro Donald Trump
Di Luca Tolu.
Ormai da mesi sta maturando una pericolosa spaccatura nel mondo repubblicano. Una divisione che supera le correnti, assumendo connotati più dottrinali che personalistici. Il “Great Old Party” rischia una crisi culturale senza precedenti.
Il “movimento” di Trump, soprattutto in politica estera, ha completamente sparigliato il Partito Repubblicano portando ai vertici posizioni politiche che appaiono in alcuni ambienti del partito destinate a voler pensionare l’eccezionalismo americano.
In questi mesi di campagna politica sulle primarie “Il Foglio” ha approfondito in modo molto interessante questo aspetto. Come analizzato dal corrispondente da New York Mattia Ferraresi, “la forza dell’America – great again – di Trump si mostra non soltanto nei muscoli di un esercito rimesso a nuovo, ma nella cautela, nella capacità di negoziare strategicamente con gli amici e con quelli che soltanto per inettitudine politica sono diventati avversari, vedere alla voce Russia e Cina. […] Il mondo tratteggiato da Trump è a corto di principi universali, è uno scacchiere dominato dai rapporti di forza e dai negoziati, un mondo dove i Bush, i Clinton e Obama sono macchiati dallo stesso peccato originale della geopolitica a trazione morale. Nello scenario del realismo trumpiano, per ottenere il “deal” occorre essere in posizione di vantaggio, cosa che si ottiene curandosi più dei muri che dei finanziamenti esteri, occupandosi prima del deficit che della Libia. Comportandosi, insomma, da nazione guidata da interessi perimetrabili, e non da superpotenza eccezionale chiamata a portare la fiaccola della libertà fino agli estremi confini della terra”.
Nei pochi interventi sulla politica estera di questa campagna per le primarie (su tutti il discorso articolato in un evento organizzato dal Center for the National Interest e il lungo colloquio con il New York Times) Trump ha, infatti, dato voce alla sua diffidenza nei confronti dell’Alleanza Atlantica, ha ripetuto la determinazione di ridurre “l’ombrello protettivo” americano nei confronti degli alleati e in medio oriente ha confermato la volontà di ridurre la sovraesposizione USA. In poche parole la “dottrina Trump” si sintetizza nella volontà di voltare pagina dalle storiche basi bipartisan della politica estera a stelle e strisce che unisce in un unico filo conduttore globalista entrambi i partiti da Wilson a Reagan, chiudendo di fatto un’intera era geopolitica.
Nell’ottica trumpiana l’elemento isolazionista e realista è quindi decisivo. Nei timori di certi ambienti repubblicani, Trump sarebbe pronto a relegare al passato l’idea stessa di leadership USA a livello globale, allontanandosi da storiche alleanze e “derogando” dai valori morali nell’esercizio della politica estera. In poche parole Isolazionismo e Realismo, due dottrine che rappresentano insieme ciò che più si discosta dal Neoconservatorismo. E, infatti, proprio dalle fila neocon parte il “fuoco amico” contro Trump.
Del resto, la stessa cognizione neocon nacque proprio da una risposta a dottrine politiche che derogavano agli aspetti morali. Alla fine degli anni settanta fu proprio una reazione alla realpolitik kissingeriana che consolidò il movimento neoconservatore nato a sua volta da intellettuali fuggiti alla deriva pacifista che aveva colpito il Partito Democratico. I neocon non volevano scendere a patti con i nemici dei valori americani e si opponevano alla distensione. Fu proprio questa spinta culturale, orgogliosamente americanista e interventista, a riportare al successo il Partito Repubblicano dopo la Presidenza Nixon, dando vigore intellettuale alla vittoria di Ronald Reagan e assumendo il ruolo di pensatoio permanente per tutte le successive presidenze e nomination repubblicane.
Oggi, i neocon non sono più ai vertici del Partito Repubblicano, non esistono come corrente organizzata, ma le loro teorie prosperano in alcuni think tank e in magazine come “Commentary” e “The Weekly Standard” oltre che nelle posizioni politiche di alcune importanti figure come John McCain, Mitt Romney e Marco Rubio, spesso circondate da consiglieri neocon. E’ quindi possibile affermare che i neoconservatori, soprattutto dal punto di vista culturale, continuano a mantenere un importante influenza tra i repubblicani.
Oggi, di fronte all’esito ormai scontato di queste primarie, molti neoconservatori hanno preso le distanze dal tycoon newyorkese arrivando addirittura ad alimentare un vero e proprio fronte dei “never Trump” all’interno del mondo conservatore che si divide tra chi, come lo Storico Robert Kagan, a malincuore sosterrà Hillary Clinton e chi punta ad un piano B come William Kristol. Lo stesso Kagan è tra gli animatori di un appello, coordinato dall’ex consigliere del Dipartimento di Stato Eliot Cohen e sottoscritto da 121 esperti di sicurezza e analisti conservatori, come Max Boot, Daniel Pipes, Niall Ferguson e Robert Zoellick, che boccia senza appello la linea politica di Trump impegnando i firmatari a remare contro il suo cammino presidenziale.
Tali esperti hanno le idee chiare. Per Max Boot, la “presidenza Trump rappresenterebbe il suono della campana a morto per l’America come grande potenza”, citando l’obiezione di Trump ad una grande presenza delle truppe americane in Corea del Sud, mentre per lo Storico Niall Ferguson in politica estera “The Donald” potrebbe risultare perfino peggio di Obama.
Sempre nell’ambito neocon l’opinionista Charles Krauthammer ha dichiarato che non voterà Trump, mentre William Kristol pone sia Trump che la Clinton sullo stesso piano considerandoli entrambi deleteri per la leadership globale degli Stati Uniti.
Per tutti il rischio è che, per la prima volta nella storia recente degli Stati Uniti, salga alla Casa Bianca un Presidente portatore di una cognizione solitamente minoritaria nel partito e nel paese, quella riconducile alle tre parole “protezionismo, isolamento e realismo”.
Forse tutto ciò potrebbe rappresentare la base per la discesa in campo di un candidato indipendente alla Casa Bianca? Nelle prossime settimane avremo le risposte.
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