L’indipendentismo sardo dopo Gianfranco Pintore
Appena quattro anni fa moriva Gianfranco Pintore, uno dei maggiori intellettuali indipendentisti sardi. Nel suo “testamento politico” premeva sulla necessità del pluralismo ideologico come programma per un indipendentismo di governo capace di riformare lo Statuto Autonomo regionale, e più attento alla cultura ed al tessuto produttivo dell’isola. Al contrario, oggi abbiamo, da un lato, il “sovranismo” di governo, dedito ad incrementare la spesa pubblica a scapito di chi produce ricchezza. E dall’altro, un indipendentismo che riscopre un’ideologia di sinistra radicale, il cui populismo, peraltro in linea con quello italo-europeo attuale, ci allontana dalle esigenze dei sardi, spingendo verso un ecologismo oltranzista più dedito all’immobilismo economico che ad un’equilibrata sensibilità ambientale – Di Adriano Bomboi.
Nel settembre 2012 moriva Gianfranco Pintore, uno dei maggiori intellettuali indipendentisti sardi. Giornalista e scrittore di pregio, lavorò, tra i vari, con L’Espresso, La Nuova Sardegna e L’Unione Sarda. Membro de “Su Populu Sardu”, poi sardista, fu tra i pionieri della comunicazione in lingua sarda e autore di libri fondamentali per la maturazione del pensiero indipendentista, come “Sardegna, regione o colonia?” (1974), sino ai recenti successi letterari, vedere “Sa losa de Osana” (2009).
I suoi ultimi anni lo videro instancabilmente all’opera anche come blogger, con cui ebbi modo di collaborare nella sua divulgazione politica e culturale: la sua profonda vena democratica, mai piegata ad un facile conformismo, offriva un contributo allo sviluppo di un indipendentismo maggiormente pluralista. Fu proprio in quest’ottica che partecipò, negli anni ’90, alla fondazione del movimento Sardigna Natzione, e più tardi del movimento Fortza Paris. Esperienze politiche che non portarono agli esiti riformistici auspicati, ma che costituirono tasselli fondamentali nella crescita di un indipendentismo culturalmente segnato dalla fine della guerra fredda, ed alla ricerca di nuovi punti di riferimento con cui proporsi ai sardi del XXI° secolo.
Ma cosa rimane a soli quattro anni dalla sua scomparsa?
Se Sa Natzione ha dato un notevole contributo allo sdoganamento di un lessico politico maggiormente liberale, la pratica invece continua ad esprimere un panorama indipendentista pressoché assente da questo ed altri temi, in particolare sul versante delle grandi riforme, svanito dall’orizzonte di movimenti politici in crisi di risultati e di identità. Il dibattito sulla riforma dello Statuto Autonomo regionale come ponte verso la sovranità e come strumento per ridurre od eliminare l’invadenza culturale, fiscale e burocratica dello Stato nei confronti dell’isola, ha conosciuto una pesante battuta d’arresto. In particolare, a seguito del crollo della coalizione di “Sardegna Possibile”, alle scorse elezioni regionali, il movimento indipendentista ha seguito due direttrici tutt’altro che positive in ordine alla necessità di inaugurare una stagione di riforme:
La prima si è sostanziata nel “sovranismo”, una variante del sardismo dedita a consolidare la sua presenza nella pubblica amministrazione a scapito della sua componente riformista. Il costante ricorso all’incremento della spesa pubblica, da parte di sigle come il “Partito dei Sardi”, evidenzia i limiti di una politica dedita a sottrarre ricchezza ai pochi ceti produttivi dell’isola, ed incapace di creare le condizioni per l’ampliamento della capacità di produrre ricchezza. Dinamiche che si traducono nella perpetuazione di logiche assistenzialistiche, in assoluta continuità con le amministrazioni del passato.
La seconda, più recente, si sta sostanziando nella rinascita di sigle indipendentiste di sinistra radicale, peraltro in linea con un trend mediatico e populistico in auge nell’Europa e nell’Italia contemporanea, dove slogan, incompetenza e conformismo si sostituiscono ai contenuti. Il fallimento di sigle indipendentiste dall’ideologia e dai programmi più moderati, unito ad un generale sentimento di impotenza politica, ha infatti indotto numerosi attivisti di quest’area a rifugiarsi verso “soluzioni” nostalgiche incapaci di risollevare la Sardegna dal suo stato di subordinazione economica e culturale. Limiti entro i quali nessuna indipendenza potrà mai essere costruita. La loro dialettica politica persiste nell’errore di ignorare, non solo i fattori culturali che sottendono alla specialità dell’isola, ma anche le ragioni del nostro tessuto produttivo (pensiamo alle esigenze delle partite IVA, dei professionisti, degli artigiani, dei commercianti e degli imprenditori in generale), saldandosi ad un ecologismo radicale incapace di tutelare realmente il patrimonio ambientale dell’isola, ed il cui esito conduce inevitabilmente alla giustificazione dell’immobilismo economico attuale.
Forse sarebbe ora di riscoprire il compromesso che spingeva l’idealismo ed il pragmatismo di Gianfranco Pintore.
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U.R.N. Sardinnya ONLINE
Confesso che il ricordo di Gianfranco Pintore mi ha commosso.
Ebbi modo di conoscerlo personalmente e rimasi colpito dalla
sua concretezza ideologica e dalla sua passione.
Oggi,piu’ che mai , i suoi insegnamenti e i suoi suggerimenti
costituiscono un riferimento idispensabile per costruire il
futuro della nostra gente.
Raffaele Melis Pilloni