L’isola rovinata da politici neokeynesiani, sempre all’assalto di soldi pubblici
150 milioni di euro contro lo spopolamento da sperperare in programmi inutili, altri 190 milioni già buttati al vento sul Master & Back che ha spinto dei giovani sardi ad emigrare. E poi un mutuo da un miliardo di euro per infrastrutture mai terminate. Sui trasporti paghiamo convenzioni per allontanare la concorrenza, mentre oggi si chiedono persino altri 20 milioni di euro per darli agli allevatori. Tra soldi per questo o per quell’altro settore, la storia dell’isola è contrassegnata da una cultura stracciona dedita all’uso dei soldi altrui per stipendiare assistenzialismo e consenso politico. Ma quante aziende e quante attività commerciali sono fallite a causa della tassazione per spesare queste avventure? – Di Adriano Bomboi.
Dal secondo dopoguerra ad oggi la storia della Sardegna è l’emblema del fallimento di una precisa politica economica, quella neokeynesiana: cioè la tendenza ad utilizzare soldi pubblici, anche senza copertura, per cercare di risolvere i problemi più disparati. Tutti questi tentativi non hanno risolto i problemi e spesso li hanno peggiorati (praticamente nell’isola si è creata la dinamica descritta da Herbert Spencer, filosofo liberale che mise in guardia i governi dall’eccesso di misure suscettibili di creare gli effetti opposti a quelli inizialmente sperati).
Pensiamo agli anni dell’industrializzazione selvaggia, con miliardi di lire dei contribuenti gettati al vento per installare poli produttivi che sono entrati in crisi non appena le condizioni di mercato subivano stravolgimenti epocali. Ad esempio, la crisi petrolifera degli anni ’70, causata dalla variazione del prezzo del greggio innescata dai sauditi, compromise di fatto la produttività di un’area come Ottana, contribuendo allo sviluppo di politiche assistenziali.
Per essere più chiari, politici e sindacalisti, col solo fine di preservare il proprio consenso elettorale, ed al posto di battersi per un abbattimento di tasse e burocrazia per rilanciare l’economia, hanno preferito tenere in vita aziende improduttive a carico dei sardi, condannando alla stagnazione un intero territorio.
Nel presente la situazione non è cambiata. Pensiamo al progetto “Master & Back”: negli anni della Giunta Soru si è avviato l’abuso di 190 milioni di euro pubblici per formare all’estero dei giovani sardi al fine di consentire loro il rientro nell’isola per trovare o crearsi un lavoro.
Il risultato? Ben il 62,5% di questi sardi ha scelto di non rientrare, stabilendosi all’estero, in quanto il mercato locale non era e non è in grado di assorbire tali maestranze. Abbiamo pagato una nuova generazione di sardi per emigrare. D’altronde, come si può pensare di assumere qualcuno, o di aprire una nuova attività, in un territorio dove tasse e burocrazia, stando alle ultime stime di Confesercenti, portano alla chiusura di due negozi al giorno?
L’ultima trovata, che vede immancabilmente l’economista neokeynesiano Pigliaru come suo promotore, prevede l’uso di 150 milioni di euro dei contribuenti per cercare di arrestare il fenomeno dello spopolamento interno dell’isola. Soldi che verranno spesi in progetti di nessuna efficacia, probabilmente a vantaggio dei soliti signorotti locali con le loro corti, considerando che l’oppressione fiscale e burocratica continua a non essere messa in discussione e nessuno avvierà durature attività economiche di pregio in territori da cui il buonsenso consiglia solamente di fuggire.
Pensare poi che una lieve deburocratizzazione regionale sia sufficiente per ridurre il peso dello Stato è pura fantasia (tra l’altro riproponendo i contenuti della legge 241 del 1990).
Consideriamo inoltre che la Giunta Pigliaru si è già distinta per l’apertura di un mutuo da quasi un miliardo di euro col fine di creare lavoro e infrastrutture (ma abbiamo ancora condutture idriche colabrodo e arterie viarie mai terminate). Un altro sperpero di soldi dei contribuenti che i sardi dovranno comunque ripagare a fronte di cantieri che si svilupperanno stagionalmente ed a macchia di leopardo (magari in prossimità di alcune scadenze elettorali). In Svizzera su questa scelta avrebbero fatto un referendum.
O pensiamo pure alle convenzioni sui trasporti, dove la politica spesa con decine di milioni di euro precisi operatori di mercato alterando la concorrenza, stimolando posizioni dominanti e spingendo i prezzi al rialzo. Praticamente paghiamo alcuni vettori ed alcuni armatori affinché combattano la concorrenza di servizi più efficienti dei loro.
E questi sono solo alcuni dei tantissimi episodi che ogni anno, da destra a sinistra, vedono i nostri politicanti sgomitare per la richiesta di questo o quel finanziamento destinato a questo o a quell’altro settore. Nonché a sussidi e misure di aiuto che finiranno unicamente per cronicizzare le difficoltà poiché mancano misure capaci di liberare il mercato dai vincoli che ne stanno annientando la produzione di ricchezza, e dunque la possibilità di avere nuovi investimenti.
Siamo in presenza di una Regione ostile allo sviluppo, corresponsabile del dissesto economico in atto e impregnata di una cultura stracciona dedita a mettere le mani nelle tasche dei sardi. Una politica di basso livello avvezza all’uso dei soldi altrui per stipendiare le proprie avventure elettorali. Soldi che provengono dalle tasse dei pochi che ogni mattina si alzano per lavorare al fine di stipendiare quella serie di tax-consumers che da Cagliari sino ai nostri piccoli paesi scaldano un considerevole numero di poltrone.
Spiace osservare che tra gli ultimi caduti in questo vizietto ci sia persino Efisio Arbau de La Base, il quale ha proposto di usare 20 milioni di euro per destinarne 10.000 ad ogni azienda dedita all’allevamento, dietro il miraggio di creare nuova occupazione. Eppure, non molto tempo fa, in qualità di consigliere regionale, Arbau si era positivamente distinto per essere tra i pochi ad aver contestato i vitalizi incassati da altri suoi ex colleghi. Ma questo è niente in confronto agli sperperi della sanità, su cui ci sarebbe da scrivere un libro ad hoc.
Insomma, in Sardegna è sempre Natale: l’assenza di cultura liberale porta inevitabilmente i nostri politici all’abuso del salvadanaio di un impersonale contribuente, perché quando i soldi sono di tutti, allora “non sono di nessuno”. E si può pescare dal mucchio, come se i soldi scendessero dal cielo, alimentando una famelica spesa pubblica.
Questa cultura rappresenta il pilastro fondamentale su cui si fonda l’assistenzialismo dell’isola, unitariamente al clientelismo della sua politica.
Il ragionamento ci porta ad un quesito fondamentale: quanti lavoratori, quante aziende e quante attività commerciali si sarebbero salvate se questi politici non le avessero tassate portandole al fallimento?
Le nostre università, direttamente collegate al potere politico, si guardano bene dall’effettuare seri studi per rispondere a questa domanda. Impossibile poi quantificare i potenziali investimenti mancati.
Iscarica custu articulu in PDF
U.R.N. Sardinnya ONLINE