Servitù militari: ‘a foras’ non è un programma politico, serve un piano

Servitù militari: in Scozia il governo indipendentista dell’SNP rispetta il ruolo del propri soldati. In Sardegna urlare “a foras” non è un programma politico. Avere cultura di governo richiede una road map per ridurre l’eccesso di basi e poligoni senza alimentare tensioni sociali. Ecco tre parole chiave: ristrutturazione, ridimensionamento e rilancio (dell’economia). Vediamo di cosa si tratta – Di Roberto Melis & Adriano Bomboi.

Da anni in Sardegna si susseguono proteste antimilitariste contro basi e poligoni dislocati sull’isola. Ultimamente anche la Regione ha mostrato la sua contrarietà all’eccesso di installazioni militari, nonostante il parere favorevole del suo assessorato all’ambiente per l’estensione della banchina dell’isola di Santo Stefano che dovrebbe ospitare la portaerei Cavour.

I movimenti indipendentisti sono stati tra i primi a sollecitare attenzioni sul problema. In tempi più recenti, pensiamo all’impegno del deputato Mauro Pili, occupato a denunciare la violenza compiuta sulle coste della Sardegna; o all’azione dei pescatori di Capo Frasca che hanno impedito esercitazioni inquinanti e vincolanti per il naturale indotto della pesca.

Vigilare su ogni sospetta condotta all’interno delle strutture militari è un diritto sacrosanto delle popolazioni che le ospitano. Dobbiamo tuttavia considerare che ogni base ospita militari sardi che operano per portare il pane a casa, così come fanno quella percentuale di civili impiegati negli uffici e nelle officine meccaniche, senza scordare le varie attività che lavorano fuori dalla base, grazie alle famiglie dei militari e degli operai, in un periodo in cui il commercio sardo non naviga in buone acque.

Quindi, è giusto chiudere le basi militari? Più corretto sarebbe parlare di una loro ristrutturazione e di un loro ridimensionamento, accompagnato da un rilancio dell’economia locale.

Ristrutturazione significa revisionare il perimetro e la natura delle caratteristiche operative di alcune basi, ad esempio, il generale Gianfranco Scalas, nel libro L’indipendentismo sardo (Bomboi, 2014), ha proposto un’implementazione tecnologica per ridurre le sperimentazioni dei poligoni di tiro.

Ridimensionamento significa ridurre l’estensione e il numero delle installazioni militari oggi presenti nell’isola, il più alto d’Europa, affinché anche altre Regioni sopportino il peso di questo contributo alla Difesa (della cui efficacia peraltro ci sarebbe parecchio da discutere). Considerando che pure nel caso di un’ipotetica indipendenza della Sardegna nessuno potrebbe privarsi dei servizi di pubblica sicurezza.

Rilancio dell’economia significa immaginare una no tax area nei territori interessati dall’attuale presenza militare, affinché possano consolidarsi investimenti che oggi hanno scarse possibilità di successo. Ciò dev’essere preceduto da un impegno per la bonifica, ove possibile, dei luoghi inquinati.

Insomma, prima di reclamare l’indistinta chiusura dei poligoni, un indipendentismo nato durante la guerra fredda dovrebbe comprendere che soluzioni a problemi simili non richiedono contrapposizione ma dialogo e riforme. Quantomeno se questo indipendentismo si propone di governare oppure di rimanere ai margini della politica per occupare il ruolo di uno sterile ribellismo fine a se stesso. E’ per questo motivo che in alcuni paesi i manifestanti antibasi hanno ricevuto solo urla di dissenso, persino da parte dei proprietari di appartamenti occupati da militari, con locazioni che vanno dai 400 ai 900 euro al mese; e persino da pizzaioli che durante la bassa stagione ricevono per il 90% una clientela composta da familiari di militari e civili operanti nelle basi.

Le strategie dei movimenti antibasi finiscono così per non trovare validi supporti sociali, nonostante abbiano tutte le giuste argomentazioni con cui portare avanti la causa contro queste ingombranti presenze: sia per la mancata valorizzazione civile delle aree occupate, che potrebbero creare utili migliori degli esempi citati; sia per l’inquinamento civile e ambientale che ne deriva, oggi debolmente giustificato dalle buste paga e dai bassi introiti di coloro che vi ruotano attorno.
Capovolgiamo poi per un attimo il problema con un esempio di valorizzazione tra i tanti che si potrebbero esporre: bisogna considerare che alcune navi storiche della Marina potrebbero fungere, come già accade in vari porti del mondo, come attrazione turistica, culturale e museale.
L’indipendentismo deve capire se vuole consegnare alla pubblica opinione solo un’immagine di dissenso oppure se intende offrire contributi ragionati affinché non si creino cittadini di serie A, cioè coloro che non dipendono dalla Difesa; e cittadini di serie B, cioè coloro che a vario titolo dipendono dall’indotto militare.

Un partito indipendentista di successo, come l’SNP per esempio, è giunto al governo della Scozia senza insultare i propri soldati, rispettandone il ruolo, ma allo stesso tempo pretendendo da Londra un ridimensionamento degli investimenti militari nel territorio. Perché gli indipendentisti scozzesi sanno che la pragmaticità consiste nel conciliare popolarità e successo elettorale, senza alimentare tensioni interne, nel rapporto tra diritti e doveri della comunità.

Pretendere l’improvvisa chiusura delle basi militari sarde equivarrebbe a togliere la flebo ad un paziente in attesa di una terapia migliore.
Solo con la proposta di un piano alternativo si può sostenere la chiusura graduale delle basi militari, non prima dell’attuazione – ad esempio – di zone franche che potrebbero aiutare la nascita di nuove attività imprenditoriali, con il conseguente miglioramento delle condizioni reddituali di chi vive attorno al settore militare, e con un aumento dell’occupazione giovanile che potrebbe limitare l’emigrazione.

In qualità di indipendentisti, siamo chiamati ad offrire soluzioni di responsabilità.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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    1 Commento

    • Ma est possibile ki tottu s’intelighentzia Sarda non cumprenda ki si depeus liberai dde s’italia.
      Si no si liberausu dde s’italia, abbarramos colonia.
      E mai possibili ki sa Sardigna la kerene LIBERA dae cale siada sviluppu economicu pro RAGIONE di STATO MILITARE.
      NO ddeis cumprendiu ki su turismu cumporta aumentu dde aereos e custu est unu strobbu a sas ESERCITAZIONI CRIMINALI.
      NO ddu cumprendeis ki prus pagu turistas arribana prus possibilidade dde istrobbu a sas colonnas militares.
      Ma itè non ddu cumprendes ki non ti lassana fai nudda pro ti dominai comenti olint’issos.
      SIghei a ddumandai assistenzialismu e poi lamentaisì ca non c’è traballu in Sardigna.
      SIghei a andare a votare e poi lamentaisì ca issos cumandana.
      Si NO SI liberausu dae s’italia semus suttapostos a issos.
      PROsuBENIdeTOTTU so Sardos e de sa Sardigna
      Referendum italianu SI ses Sardu NO andes
      Astensione 50% +1 Pro si liberare dae su Vassallaggiu italianu
      Pro si liberare de sa suttamissione de s’italia.
      Pro sarvare sa terra de fitzos nostros.
      Pro sa dignidade de su Populu Sardu.
      Pro essere Liberos e Indipendentes.
      Traduzione
      E mai possibile che tutta l’intelligenza Sarda non capisca che siamo una colonia italiana.
      Se non ci liberiamo dall’italia rimarremo una colonia.
      L’italia non concederà MAI l’indipendenza alla Sardegna per RAGIONE di STATO MILITARE.
      Non lo avete capito che lo sviluppo del turismo in Sardegna comporta aumento del traffico aereo e la presenza di molti turisti potrebbe creare problemi alle esercitazione delle guerre criminali.
      Non lo capite ke meno sei indipendente, meglio ti controllano.
      Continua a chiedere assistenzialismo e indennizzi e poi ti lamenti che in Sardegna non c’è lavoro.
      Continuate a votare deleghe per la tua sottomissione.
      Non l’ai ancora capito che ti devi ASTENERE da voto segreto che ti condanna, bisogna astenersi e non andare a votare almeno il 50% +1 per liberarci dal VASSALLAGGIO e la sottomissione.
      Per salvare la terra dei nostri figli
      Per la dignità del popolo Sardo
      Per essere Liberi e Indipendenti.

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