Perché la Regione dei professori sbaglia? Dal caso del pecorino ai trasporti

Finanziaria 2017: Nel 2014 si riteneva che la Giunta Pigliaru, composta da professori, avrebbe risollevato le sorti dell’isola. Ma perché questi tecnici, che si presume essere esperti, hanno sbagliato? Per capirlo, osserviamo l’orientamento economico di cui si sono avvalsi: dal mercato del pecorino, in cui si stanno producendo tre precisi danni, alla continuità territoriale aerea, con cui stanno producendo due precisi danni. Vediamo di quali si tratta. Con un’osservazione critica sul pensiero di Franciscu Sedda (PdS)  – Di Adriano Bomboi.

Intanto una premessa: è utile mettere in discussione la mitologia del cosiddetto “governo tecnico”, cioè l’idea che degli esperti, per quanti tali, possano prendere solo e sempre iniziative opportune nell’interesse della collettività. In realtà, qualsiasi eletto, sia in Regione che al Governo, esperto o meno, dovrà effettuare delle scelte. Tali scelte esistono anche in ambito economico, materia composta da diverse dottrine e orientamenti. Ragion per cui un tecnico finirà inevitabilmente per comportarsi come un politico, perché sceglierà la ricetta che ritiene più idonea per i cittadini.
La scelta però potrebbe rivelarsi errata, come ad esempio la pretesa di servire un piatto coreano a base di carne di cane ad un europeo.
Tuttavia, il tecnico ha un vantaggio rispetto al politico inesperto: ha una vaga idea di quello che sta facendo, nonostante la sua ideologia lo porti ad insistere con una ricetta sbagliata, magari perché conviene al proprio potere, in quanto riceve il consenso dei cuochi e di tutta la filiera che sopravvive grazie alle sue scelte.

Ma veniamo al primo punto.

Con la Finanziaria 2017 i consiglieri regionali di centrosinistra hanno dato mandato alla Regione di utilizzare 14 milioni di euro dei contribuenti per acquistare le eccedenze di pecorino prodotte nell’isola e rimaste invendute. Tale scelta ha l’obiettivo di far alzare il prezzo del latte a favore dei pastori e al contempo di distribuire tali eccedenze a indigenti e mense scolastiche. Tutto apparentemente lodevole, peccato che nel mondo reale accada ben altro!
A differenza di questa impostazione neokeynesiana, una linea liberale avrebbe invece cercato di evitare i danni che vengono prodotti:

1) Acquistare con soldi pubblici eccedenze di mercato significa rafforzare proprio le concentrazioni di mercato che pagano poco il prezzo del latte, in altri termini, si premia ingiustamente un determinato monopolio del settore, alimentando il dislivello tra produttori e trasformatori. Il rialzo del prezzo quindi si configura come una semplice droga dagli effetti temporanei, in quanto disconnessa dal reale incrocio tra la domanda e l’offerta del prodotto.
2) Acquistare con soldi pubblici eccedenze di mercato significa sussidiare proprio quei produttori, incapaci di cooperare tra loro e di diversificare il prodotto, che inflazionano il mercato col loro pecorino. In altri termini, vengono pagati per continuare, imperterriti, a produrre ciò che i consumatori non vogliono, danneggiando anche loro stessi, perché alla lunga il prezzo continuerà a calare, circostanza per cui torneranno in piazza a chiedere assistenza. Mentre i keynesiani al potere, dopo aver perpetuato tali condizioni, con tanto di faccia tosta, ripeteranno la retorica sulla “necessità di diversificare e far cooperare il lavoro dell’indotto”. Magari distribuendo ulteriori e inutili sussidi in tal senso. Un po’ come amputare un braccio e distribuire cerotti pensando di poterlo aggiustare.
3) Acquistare con soldi pubblici eccedenze di mercato significa aver sottratto in precedenza tale denaro, tramite il fisco, ad altre imprese e contribuenti che faticano a stare sul mercato. E che faticano ad investire.

C’è una ciliegina sulla torta. I nostri indipendentisti, benché abbiano ragione, come Franciscu Sedda, nel considerare blandi gli aiuti (statali, oltre che regionali) al nostro settore rispetto ad altre rinomate produzioni d’Italia, omettono però di considerare che: a) la nostra situazione è il prodotto della nostra scarsa competitività; e b) che la Sardegna, a differenza delle Regioni settentrionali, contribuisce ben poco, in termini di residuo fiscale, alla fiscalità complessiva dello Stato, da cui arrivano i soldi degli aiuti.
Pertanto, vogliamo essere indipendentisti interessati a sviluppare la nostra economia, affinché possa reggersi sulle proprie gambe? O sterili rivendicazionisti di denaro altrui per pompare le nostre inefficienze? Il dibattito non dovrebbe riguardare la legittimità degli aiuti, ma la loro provenienza e la loro presunta efficacia. Ecco perché non convergo sull’opinione di Sedda.

Veniamo al secondo punto.

Periodicamente, l’assessore regionale ai trasporti, Massimo Deiana, ci informa sulle ultime trovate relative al cosiddetto “coefficiente di riempimento” degli aerei, in regime di continuità territoriale. Di che si tratta? Di uno strumento utilizzato dalla politica, in convenzione col vettore aereo, affinché si abbia un ragionevole numero di passeggeri, per ogni aereo, in un preciso lasso di tempo. Lo scopo, apparentemente lodevole, è quello di massimizzare l’efficienza del servizio. Peccato che nel mondo reale accada ben altro!

Infatti, anche tale forma di interventismo pubblico in economia finisce per creare una distorsione del mercato, con relativo abuso del denaro dei contribuenti:

1) Essendo sussidiato con soldi pubblici, il vettore viene spinto a non abbassare il prezzo dei voli, minando così la competitività generale, inclusa la qualità, nel mercato dei trasporti da e per la Sardegna. Anche in questo caso si finisce per creare posizioni dominanti di mercato, a vantaggio di taluni operatori ed a scapito dei consumatori, dei contribuenti e di altri potenziali concorrenti, che sceglieranno di non investire nel nostro territorio.
2) Sventolare il “coefficiente di riempimento” è un esempio da manuale di come NON si dovrebbe ragionare per gestire un mercato reso rigido dalla politica, perché esprime la classica arroganza dei pianificatori. Ossia la pretesa per cui un politico, o un tecnico (fa lo stesso), sia considerato un valido arbitro del mercato, decidendo al suo posto la soluzione ottimale a favore della collettività. Sfortunatamente, nessun decisore pubblico, né alcun modello matematico, potranno mai prevedere con esattezza le esigenze dei singoli passeggeri, e dunque il loro numero. Si possono fare delle stime, ma il cui esito potrebbe essere determinato più dal caso di molteplici variabili che di accurate valutazioni. In altri termini, il nostro assessore equivale ad un soggetto posto al centro di una stanza buia, con le mani legate dietro la schiena, a cui viene chiesto di trovare l’interruttore della luce.

Cosa ci serve per contrastare questi impiastri? Un seria liberalizzazione del mercato con la chiusura dei rubinetti che alimentano tali assistenzialismi.

La politica regionale, con i suoi tecnici, non è altro che il prodotto culturale del contesto in cui ha sempre vissuto, “studiato” e operato. Un motivo in più per proporre un deciso cambio di rotta nella classe dirigente della nostra isola.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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