Maninchedda lancia un’OPA sulla Giunta Pigliaru. I pro e i contro

Paolo Maninchedda e l’amministrazione in deficit spending? Un danno. Eppure, i pro e i contro della sua iniziativa da assessore dimissionario, in prospettiva, non sono meno positivi o negativi di quell’indipendentismo che oggi non governa ed esalta il pauperismo come formula di buongoverno. Tutti ambienti politici che necessitano di profonde riforme – Di Adriano Bomboi.

Il Paolo Maninchedda di cui ho memoria non fa mai niente per niente. E a leggere le sue ultime dichiarazioni pare tutt’altro che stanco. La stanchezza infatti sarebbe la ragione che lo ha portato alle dimissioni dall’assessorato regionale ai lavori pubblici.

Una ragione densa di contenuti e che mi sento di condividere: Maninchedda denuncia la cappa di vetro posta dallo Stato italiano agli interessi dell’isola. Una cappa di elefantiaca burocrazia che annichilisce l’impegno del singolo funzionario, diluendolo in un excursus di procedure, rallentamenti e responsabilità che minano l’efficacia del risultato finale e la soddisfazione degli utenti.

Lasciamo stare per un attimo ogni supposizione sulle ragioni occulte che accompagnerebbero la scelta dell’assessore dimissionario: il Partito dei Sardi ha posto a Pigliaru una condizione necessaria per la permanenza in maggioranza, ossia quella di aprire una concreta azione di rivendicazione politica sui tanti tavoli aperti dalla Regione rispetto allo Stato italiano. Il momento è propizio: oltre metà legislatura, Pigliaru pare diventato l’ombra di sé stesso e il piccolo partito sovranista ha l’opportunità di capitalizzare ulteriormente lo stallo in cui pare piombata la Giunta regionale, anche in ragione di potenziali concorrenti esterni che potrebbero avvicendarsi alle prossime elezioni regionali.

Comunque vada, la sua iniziativa può suscitare interessanti dibattiti attorno alla gestione dei processi amministrativi che regolano la vita della nostra comunità (tra le tante, le inadempienze dell’Anas).

Per contro tuttavia abbiamo un Partito dei Sardi che non è estraneo alle logiche di potere che paiono sposarsi con la lentezza dei processi incriminati. Né qualcuno nella storia ha mai costruito uno “Stato autonomo” dilatando la spesa pubblica e scaricando sulle spalle altrui un debito che con la nostra disastrata economia sarà ben difficile riassorbire. Una pratica, quella del deficit spending, alquanto comune nella condotta politica di Maninchedda e dei suoi collaboratori. E quasi tesa a presentare come straordinaria l’ordinaria amministrazione.
Bisognerebbe inoltre valutare se le richieste poste a Pigliaru dal PdS non si configurino come battaglie di retroguardia: pensiamo all’incaponimento di Franciscu Sedda sulla sedicente “agenzia sarda delle entrate”, che a condizioni attuali ormai non sarebbe niente più che un inutile e costoso carrozzone per un’isola segnata dal sottosviluppo economico, da cui ne consegue un basso gettito fiscale. E per di più senza concreti poteri di imposizioni fiscale, che infatti spettano sempre allo Stato centrale.

E che dire della sanità? Mentre il PdS si batte per una legittima tutela dei presidi sanitari minori, lo stesso non avviene per una sostanziale verifica dei costi determinati da precise logiche di potere che, ancora oggi, come ai tempi della DC, interessano i nostri distretti sanitari. Siamo quindi ben oltre un problema di spoils system, come testimoniano anche le difficoltà incontrate dal sardista Angelo Carta nell’ottenimento delle informazioni relative all’incremento delle spese per il bilancio sanitario, e le dimissioni del piddino Roberto Deriu dall’impegno in tal senso.
L’ultimo rapporto Crenos sulla situazione dell’economia sarda non manca di indicare anche nella sanità pubblica uno dei limiti più critici di cui dovremmo occuparci. Ma forse non vogliamo occuparcene proprio perché il maggior capitolo di spesa dell’isola è connesso al disagio economico patito da cittadini e imprese, e ciò da luogo ai mali del clientelismo e dell’assistenzialismo.

Per farla breve, il problema non è quello posto da Luciano Marrocu, per cui i “sardi non saprebbero gestire un’Anas sarda”, il punto, caro Maninchedda, mi rivolgo direttamente a te, è che i sardi dovrebbero fidarsi più del mercato e meno dell’interventismo politico per pianificare ogni settore. Una dinamica che, al lato pratico, da sempre, finisce per espandere il settore pubblico a danno del privato, allontanando sempre più ogni ipotesi d’indipendenza perché porta ad una cronicizzazione della povertà (non che la variopinta compagine indipendentista che avversa il PdS, dedita a glorificare il pauperismo, sia suscettibile di portare a risultati diversi).

Per capire in che bassezza culturale siamo sprofondati basti osservare le ultime trovate romane: il governo è arrivato a fare la guerra ad Airbnb e Flixbus, mentre Moby Lines è stata sanzionata dall’Antitrust per pratica commerciale scorretta, dopo che lo stesso Stato, grazie alla convenzione sui trasporti, rimpingua le casse dell’armatore a suon di milioni di euro dei contribuenti.
Opposizioni a questa china? Nessuna.

Ecco perché, al Maninchedda che si dichiara “libertario e socialista” preferisco di gran lunga solo quello libertario, con cui sarebbe possibile avviare una collaborazione. Peccato che il primo, a differenza dell’ultimo, non l’ha ancora visto nessuno.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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    1 Commento

    • “Né qualcuno nella storia ha mai costruito uno “Stato autonomo” dilatando la spesa pubblica e scaricando sulle spalle altrui un debito “…

      parliamone, i piemontesi hanno scaricato i costi del risorgimento sul meridione e in particolare sulla Sardegna. La destra storica simpaticamente mise la tassa sul macinato, ovvero la tassa sui poveri, perché i soldi rubati al regno delle due sicilie evidentemente non bastavano all’ingordigia piemontese.

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