Catalogna: cosa succederebbe se gli indipendentisti vincessero il referendum?
Catalogna: cosa succederebbe se gli indipendentisti vincessero il referendum? E in caso contrario?
Quale sarà la strategia di Madrid dopo il 1° ottobre? E nella remota ipotesi di un’indipendenza catalana senza ostacoli, quale percorso giuridico potrebbe spingere Barcellona oltre le istituzioni spagnole ma senza rinunciare all’Unione Europea?
Vediamo alcune ipotesi che riguardano i due contendenti, formalmente divisi sulla legittimità del referendum, ma sostanzialmente lontani nella gestione del residuo fiscale – Di Adriano Bomboi.
La singolarità storica di un referendum per l’autodeterminazione nel cuore del vecchio continente, in un Paese come la Spagna, il cui diritto pubblico, a differenza del Regno Unito, vieta espressamente ogni ipotesi indipendentista, apre la porta a differenti e inesplorati scenari ma non del tutto imprevedibili.
Per intenderci, la Spagna non potrà coprire per sempre il suo parassitismo economico nei confronti di Barcellona accusando quest’ultima di “egoismo economico” (i soldi infatti sono l’oggetto sostanziale della contesa iberica); né potrà accusare i catalani di un nazionalismo d’altri tempi, dopotutto la stessa Costituzione spagnola fonda la propria legalità sul mito di un nazionalismo che vieta l’indipendenza dei popoli situati entro i confini dello Stato.
I primi aspetti da considerare saranno l’effettività e le modalità con cui dovrebbe svolgersi il referendum: sia che Madrid riesca a fermarlo, sia che non riesca a fermarlo; e sia che vincano gli indipendentisti o meno, il governo di Spagna, non potendo scavalcare il dettato costituzionale, manterrà la linea della delegittimazione e non riconoscerà l’esito delle urne.
Ciò tuttavia non impedirebbe a Madrid un parziale riconoscimento politico dei risultati ottenuti dal fronte indipendentista, sul modello delle iniziative già adottate per casi analoghi, ad esempio nel Regno Unito (nei riguardi dell’Irlanda del Nord e della Scozia); e in Canada (nei riguardi del Québec). Si tratta di una strategia a tenaglia:
1) Madrid continuerà a proporre a Barcellona un dialogo per incrementare i vantaggi dell’autonomia catalana in seno allo Stato pagnolo, specie quelli relativi al residuo fiscale;
2) Tale dialogo politico, che potrebbe essere accompagnato e influenzato dalla presenza della magistratura, avrà in realtà l’obiettivo di frantumare il fronte indipendentista. In particolare di separare le aree più moderate da quelle più oltranziste come strumento per arrestarne la spinta propulsiva. L’esito finale di un simile scenario non escluderebbe comunque un’estensione dell’autonomia catalana, disinnescando o procrastinando nel tempo l’ipotesi indipendentista.
Tuttavia, questo processo potrebbe essere influenzato dalla comunità internazionale, ossia dal peso delle posizioni che singole istituzioni, ad esempio USA e UE, adotteranno qualora il referendum portasse a galla un chiaro e manifesto interesse di milioni di catalani verso l’indipendenza. Si tratta di un fattore imprevedibile perché porterebbe le diplomazie a non considerare più gli eventi catalani come un fatto interno alla Spagna ma un problema di carattere internazionale, innestando così, nella partita, mediatori politici capaci di influenzarne gli esiti.
In particolare, non è possibile prevedere la posizione dell’Unione Europea per quattro eterogenei ordini di ragioni: 1) perché l’indirizzo politico di riferimento rimarrà quello di rispettare gli ordinamenti costituzionali degli Stati membri, e né il TUE, né il TFUE prospettano soluzioni diverse in materia; 2) perché la Catalogna, tra alti e bassi, rappresenta una delle economie più affidabili dell’Europa occidentale; 3) perché l’indipendentismo catalano è filo-europeista, analogamente a quello scozzese, e non assimilabile ad occasionali movimenti populisti e anti-europeisti; 4) perché oggi la tenuta del progetto europeo si fonda anche su valori democratici che tuttavia, nel caso di specie, permangono sul piano simbolico poiché si scontrano con la legalità di una Costituzione difforme da questi principi.
Da qualsiasi angolazione la si guardi, il diritto all’indipendenza della Catalogna ha ancora tanti ostacoli da attraversare, ragion per cui potremmo considerare il referendum non come punto di approdo ma come punto di partenza verso ulteriori colpi di scena.
Infine, per stare nel campo delle ipotesi, chiediamoci cosa succederebbe se Barcellona, nei prossimi tempi, trovasse campo libero per formare uno Stato indipendente e membro dell’Unione Europea.
Verosimilmente si rivolgerebbe alle due Convenzioni di Vienna che si occuperebbero, qualora “risvegliate” dal torpore politico e giuridico in cui sono state abbandonate, di dirimere il problema:
- la prima, del 1978, sulla “successione degli Stati rispetto ai trattati”;
- la seconda, del 1983, sulla “successione degli Stati rispetto ai beni pubblici, gli archivi e i debiti pubblici”.
Ricordiamoci infatti che la prima è in vigore dal 1996, ma ratificata da ben pochi Paesi. Mentre la seconda non è ancora entrata in vigore.
Entrambe vennero elaborate dalla Commissione del Diritto Internazionale, un organo sussidiario delle Nazioni Unite in materia di codificazione.
E per l’adesione all’UE?
Indubbiamente verrebbe attivato l’iter dei cosiddetti “Maastricht criteria” (relativi alla sfera economica prima che a quelli dell’integrazione politica), né più e né meno così come sono stati già adottati per le adesioni che hanno portato l’UE a 28 Stati membri (di cui la maggior parte in qualità di aderenti all’eurozona).
Alla Catalogna va tutta la nostra solidarietà e i nostri migliori auguri per la conquista della libertà.
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