Violenza inevitabile? Madrid tergiversa e ignora l’invito di Barcellona
Il commento sulla Catalogna: dopo il discorso di Puigdemont, Madrid tiene intatta la strategia Rajoy, quella di scaricare sull’avversario la pressione degli eventi. Il violento boicottaggio del referendum è avvenuto per mostrare la presunta assenza di una maggioranza indipendentista agli occhi del mondo. L’obiettivo? Quello di evitare l’intervento della comunità internazionale, richiesto invece da Puigdemont, che si tradurrebbe a vantaggio di Barcellona. Un terreno su cui Rajoy perderebbe su tutti e cinque gli argomenti tenuti dal presidente indipendentista nel suo discorso. Vediamo quali – Di Adriano Bomboi.
Madrid ha replicato a Barcellona nel più classico stile conservatore, o come diremmo da queste parti, “democristiano”: ripassare la palla all’avversario come strumento per spostare le pressioni dal proprio governo, il quale a posteriori si troverebbe legittimato ad agire con ogni mezzo.
La strategia è la stessa tenuta nel corso del referendum del primo ottobre, dove Madrid ha scelto di far svolgere il referendum ma boicottandolo in alcuni luoghi chiave, i cui disordini sono stati ampiamente documentati dai media: questa strategia, basata sul manganello e sui sequestri delle urne, ha influito sull’esito elettorale, impedendo a tanti la volontà di uscire di casa per esprimere il proprio voto e permettendo così al governo centrale di nascondersi dietro il paravento legale con cui proseguire la “democratica repressione” degli indipendentisti.
Ma perché si è scelta una strategia così rischiosa?
Perché il governo Rajoy sapeva benissimo che il successo o l’insuccesso dei catalani deriva anche dal supporto internazionale che potrebbe proiettarsi all’interno della Spagna. L’assenza di numeri certi, a vantaggio degli indipendentisti, consente alla comunità internazionale di non fare pressioni su Madrid, lasciando quest’ultima a gestire la faccenda come problema interno e non di portata continentale.
Si tratta di una strategia ben nota a quanti conoscono Rajoy, la cui psicologia killer si basa sull’attesa, e l’attesa consiste nello spingere gli oppositori sul baratro piuttosto che imbastire un duello con loro sullo stesso terreno.
D’altronde, quale sarebbe questo terreno?
Chi ha avuto la pazienza di ascoltare il lungo e lungimirante discorso di Puigdemont vi ha trovato alcuni passaggi chiave:
1) la Catalogna ha già osservato tutti i percorsi possibili entro la cornice legale dello Stato: il tribunale costituzionale, che tutti sappiamo essere anche organo politico, ha sanzionato l’intero percorso autonomista, in ordine a temi quali l’economia e la cultura, sino alla scelta di opporsi al referendum dello scorso primo ottobre (dunque chiunque continui a ripetere il mantra della legalità, compresa la Merkel, fa solo retorica);
2) l’indipendenza andrà avanti, con o senza l’applicazione dell’art. 155 più volte richiamato da Madrid come strumento per mettere fuori gioco il governo autonomo catalano;
3) si possono scegliere le modalità con cui gestire questo processo, da ciò il senso dell’offerta di dialogo a Madrid rispetto ad una effettiva secessione unilaterale che potrebbe causare danni ad entrambe le parti in causa: perché se è vero che alcune aziende temono l’instabilità di un ipotetico periodo di transizione, per non parlare di una cesura istantanea, è altrettanto vero che lo Stato spagnolo perderebbe automaticamente il residuo fiscale catalano. Pari a circa 8 miliardi di euro. Una cifra capace di far rotolare via la monarchia, financo l’attuale governo centrale, dai più alti scranni delle istituzioni;
4) inoltre, perché agli scozzesi è stata data l’opportunità democratica di scegliere mentre in Spagna ciò deve essere per forza vietato? Questa posizione di principio, che riguarda due formule indipendentiste europeiste, pone seri interrogativi a Paesi come la Spagna, dotati di Costituzioni rigide, che paradossalmente erano sorte per difendere i cittadini dagli abusi del potere, ma che oggi sono costrette a ricorrere al manganello nel loro presunto “interesse”;
5) si rende necessaria una mediazione internazionale come strumento per risolvere una crisi che rischia di trascinare tutti nell’incertezza (e si tratta anche di uno dei punti fondamentali citati nello scorso articolo di Sa Natzione per la fase che sarebbe seguita al referendum).
E’ chiaro che Rajoy non uscirebbe mai vincitore da un dialogo su questi cinque punti e tenderà ad orientare ancora la linea del proprio governo, previo consenso degli alleati, verso la strategia di cui abbiamo parlato.
La sintesi ci porta di fronte ad un’amara constatazione: a differenza del caso scozzese, stavolta il rischio di veder scorrere il sangue sulle strade di Barcellona diventa più concreto, e non a causa dei catalani. Gli indipendentisti non torneranno mai indietro rispetto alle posizioni che ritengono di aver raggiunto; così come Madrid sa che a Barcellona, anche qualora crollasse l’esecutivo di Puigdemont, verrebbe eletto comunque un altro governo indipendentista.
La crisi rischia di protrarsi nel tempo e con esiti imprevedibili.
L’Europa continuerà a nascondersi dietro il paravento della legalità interna di Madrid non riconoscendo alla Catalogna la capacità e il diritto di interloquire? O preferirà attendere il sangue prima di avviare un processo di dialogo tra le parti?
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