Il Banco di Sardegna e l’ingenuità del colbertismo

Di Adriano Bomboi.

Soffia il vento del dubbio: il Banco di Sardegna verrà definitivamente fagocitato dagli emiliani del gruppo BPER?
Prima di rispondere a questa domanda bisogna rispondere ad altre due fondamentali domande che i nostri politici eviteranno come la peste:
1) perché il Banco di Sardegna si è trovato in questa situazione?
2) Qual è il ruolo del sistema creditizio isolano nei confronti delle nostre imprese?

Come noto, il problema essenziale delle banche italiane risiede nella loro sottocapitalizzazione: non prestano soldi alla piccola e media impresa perché hanno già sperperato i soldi dei risparmiatori in clientele (vedere Monte dei Paschi, cassaforte PD). Il tutto avviene attraverso le Fondazioni Bancarie, gestite da politici trombati e incompetenti (pensiamo alla mancata diversificazione del portafoglio degli investimenti, senza partecipazione diretta negli stessi).

All’estero le fondazioni si occupano seriamente e solamente di filantropia, tengono ben separata la politica dalla composizione dei consigli di amministrazione (che dunque non mira ad eterodirigere le paghette), diversificando il proprio portafoglio per evitare di esporre a fragilità l’intero istituto.

La Fondazione del Banco di Sardegna ha sempre ottemperato alla sua “mission aziendale”?
Di sicuro sappiamo solamente che il gruppo Unipol, dopo aver gettato un bel po’ di soldini nelle coop emiliane, intende fare pulizia affidandosi al gruppo BPER, il quale a sua volta dovrebbe così razionalizzare le proprie controllate accentrando a sé gli istituti satelliti (tra cui, appunto, anche il Banco di Sardegna).

Difficile capire se i sardi – che col grande “partito amico” pensavano di tutelare l’isola – riusciranno a sfuggire alle fauci emiliane, è certo però che si appelleranno ad una serie di dubbie argomentazioni: ad esempio proprio quella di tutelare la “sardità del marchio”, in linea con l’ideologia colbertista che in Italia ha fatto strage di soldi pubblici (pensate ad Alitalia).

Parleranno della “nostra” banca. Ma forse sarebbe opportuno parlare della “loro”: perché ai sardi non deve interessare la proprietà degli sportelli ma la loro effettiva utilità economica nel territorio. Ecco perché dovremmo prima chiederci qual è il ruolo del credito nel nostro disastrato tessuto aziendale, e la risposta la osserviamo tutti i giorni nelle imprese che chiudono e nei giovani che continuano ad emigrare.

Un’altra argomentazione a cui potrebbero appellarsi riguarderebbe la “necessità” di evitare la serrata degli sportelli in zone già interessate dal fenomeno dello spopolamento interno, perché questi politici interpretano la banca alla stregua di un ufficio postale (utile solo ad elargire sussidi e pensioni) e non come un pilastro finanziario per le imprese. Salvare realmente la banca significherebbe aggredire le ragioni della nostra scarsa competitività.

In conclusione, non aspettiamoci nulla di buono, anche qualora si riesca a preservare il marchio. La fragilità del nostro sistema creditizio è lo specchio del malcostume italico a danno di cittadini e imprese.
E sfortunatamente, a giudicare dal numero di imbecilli che accusano “il neoliberismo” per la situazione che invece i politici hanno contribuito a creare, non sembrano esserci all’orizzonte nuovi e competenti nomi su cui riporre fiducia.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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