‘ANAS sarda’ e paradossi: lo Stato difende l’isola dai sovranisti
“ANAS sarda”: lo Stato impugna la legge voluta dal Partito dei Sardi e scopre qualche magagna. Troppa discrezionalità nell’affido dei lavori pubblici, Regione costretta a cambiare diversi articoli.
Ma è stato disinnescato il pericolo di creare l’ennesimo carrozzone a spese dei sardi?
Non proprio.
Parliamo delle norme che rischiavano di proiettare l’isola fuori dal mercato, e dei dubbi rimasti.
Di Adriano Bomboi.
Come noto ai più attenti osservatori, lo scorso 13 marzo 2018, tramite la legge n. 8, la Regione si è dotata di nuove norme in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. L’obiettivo, questo si, condivisibile, è stato quello di snellire le procedure per la realizzazione di opere pubbliche oggi rallentate dal peso della burocrazia italiana. Qualcuno ha definito questa legge l’incipit per la nascita di un’ANAS sarda. Tra le righe però vi era anche la volontà di stimolare la partecipazione delle aziende sarde all’ottenimento degli appalti per eseguire i lavori. Niente su cui obiettare. Tutto bene quindi?
Non esattamente.
Determinate opere pubbliche, per essere effettivamente realizzate, necessitano di due strumenti:
1) società che dispongano di mezzi e risorse adeguate per realizzare opere complesse e infine affidabili e durature nel tempo;
2) società che, oltre al primo punto, sappiano proporre costi accettabili in rapporto ai lavori eventualmente affidati.
Senza questi due strumenti, che – volenti o nolenti – rientrano nelle capacità delle grosse società di costruzioni, oppure di quelle minori ma specializzate, spesso non sarde, si rischia di affidare i lavori, in maniera discrezionale, a società che potrebbero non essere in grado di realizzare, men che meno ultimare, determinate opere.
Società minori che potrebbero anche far incrementare i costi, in corso d’opera, per i lavori, senza efficaci garanzie sull’esito finale delle operazioni.
Insomma, ciò che avrebbe dovuto snellire la creazione di infrastrutture più efficienti rischiava di peggiorare la situazione attuale, a spese dei sardi.
Per queste e altre ragioni, lo scorso 8 maggio il Consiglio dei Ministri n. 82 ha impugnato alla consulta gli articoli 34 (Nomina e requisiti Responsabile del progetto e Responsabile per fasi); 37 (Commissione giudicatrice); 39 (Linee guida e codice regionale di buone pratiche), e 45 (Qualificazione delle stazioni appaltanti), della suddetta legge. Anche perché gli stessi, secondo la delibera, avrebbero ecceduto dalle «competenze attribuite alla Regione dallo Statuto speciale di autonomia, l. cost. n. 3/1948, andando ad invadere la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza e ordinamento civile, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere (e) ed (l), della Costituzione.
Si premette che, ai sensi dell’articolo 3, lettera (e) dello Statuto speciale di autonomia, la Regione Sardegna gode di competenza legislativa di tipo primario in materia di “lavori pubblici di esclusivo interesse della Regione” mentre, nel medesimo Statuto, non si rinviene alcuno specifico riferimento alle forniture ed ai servizi». Inoltre, «la disciplina delle procedure di gara, la regolamentazione della qualificazione e selezione dei concorrenti, delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione, ivi compresi quelli che devono presiedere all’attività di progettazione, mirano a garantire che le medesime si svolgano nel rispetto delle regole concorrenziali e dei principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi, della libertà di stabilimento, nonché dei principi costituzionali di trasparenza e parità di trattamento (sentenze n. 431 e n. 401 del 2007 della Corte Costituzionale) e sono riconducibili all’ambito della tutela della concorrenza, di esclusiva competenza del legislatore statale (sentenze n. 345 del 2004 e n. 401 del 2007)».
La Regione ha così proposto di modificare alcuni articoli e persino abrogare alcuni passaggi della nuova legge, tra cui, notate bene, affermando: «all’art. 11, comma 1, lett. a) viene abrogato l’ultimo periodo del comma 8 dall’articolo 16 della legge regionale n. 8 del 2018, al fine di assicurare pari opportunità di concorrere all’esecuzione delle opere a tutti gli artigiani, prescindendo dalla localizzazione della sede operativa».
Con questa necessaria abrogazione cade l’impianto nazionalista su cui i sovranisti avevano basato la nuova legge, rimuovendo le limitazioni per gli operatori non sardi.
E inoltre: «Con l’art. 11, comma 1, lett. b) si recepiscono le osservazioni sul possibile contrasto del comma 10 dell’art. 25 della legge regionale n. 8 del 2018 con i principi di concorrenza e di parità di trattamento, prevedendone la relativa abrogazione. L’abrogazione comporta il venir meno, nell’ambito della procedura negoziata semplificata di cui all’art. 36, comma 2, lett. b) del Codice dei contratti, della premialità in favore degli operatori economici virtuosi che hanno svolto interventi in funzione preventiva o in situazioni di emergenza. La premialità permane, invece, nell’ambito più circoscritto degli affidamenti diretti, evitandosi, in tal modo, possibili interferenze con le procedure selettive».
Con quest’altra abrogazione cade la restrizione alla libera concorrenza, di matrice discrezionale, con cui si rischiava di favorire determinate società a svantaggio di altre.
In conclusione, la Sardegna ha bisogno di un impianto normativo snello, trasparente ed efficiente, e dunque aperto al mercato.
Viceversa, una normativa a tratti opaca e ostile alla concorrenza, rischiava di duplicare o peggiorare il già grave contesto di mancato sviluppo delle infrastrutture sarde, a tutto detrimento di un tessuto produttivo che invece ha bisogno di poter attirare nuovi investimenti e nuove imprese.
Il Partito dei Sardi, che nella legislatura guidata da Francesco Pigliaru ha gestito l’assessorato ai lavori pubblici, in linea purtroppo con altre pseudoriforme come quella dell’Agenzia sarda delle entrate che non riscuote entrate, mostra una visione vecchia e nociva della pubblica amministrazione.
Una visione nazionalista e paternalista dei rapporti tra pubblico e privato, assimilabile alle logiche della prima repubblica, dove competizione, trasparenza ed efficienza sono elementi secondari e non importanti dell’azione politica.
Per chiunque ambisca allo sviluppo della Sardegna, si tratta di una sottovalutazione assolutamente inaccettabile.
La nuova normativa, peraltro in parte già svuotata dei pilastri normativi per cui era sorta, rischia di non creare alcun effettivo vantaggio al territorio, ma neppure di peggiorare il quadro attuale qualora fosse stata approvata la prima versione della legge.
Il Partito dei Sardi intende portare la Sardegna nel XXI° secolo, rendendola capace di confrontarsi sui mercati? Oppure, in linea con alcune tendenze grilline e stataliste, intende tenerla sotto la stessa tutela politica che ci ha condotti a questa situazione?
Creare un indipendentismo di governo non significa replicare in loco i problemi dello Stato centrale. Pensiamoci.
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