Brazzale: ‘caro sardismo, attento all’assistenzialismo’
La giunta Solinas rischia di finire come quella Pigliaru, con una guerra del latte.
È del tutto comprensibile che il nuovo governatore intenda aprire la legislatura proponendo una “facile” soluzione alla crisi degli allevatori, ma se il sardismo intende proporsi come agente del cambiamento dovrà adottare misure tanto impopolari quanto, però, efficaci. Ad esempio uno stop ai sussidi.
In poche righe, Roberto Brazzale, industriale veneto del settore lattiero-caseario, ci spiega perché i prezzi risaliranno spontamentamente, ma solo se la politica non rallenterà questo processo tramite i soldi pubblici proposti da Salvini, i quali invece alimenterebbero nuova sovrapproduzione di pecorino romano.
Ecco cosa accadrà nelle quotazioni sul mercato e perché.
La crisi di sovrapproduzione del pecorino è già in fase di risoluzione. Sempre che la politica se ne stia alla larga.
A causa dei bassi prezzi del latte conseguenti al calo dei prezzi del prodotto trasformato, infatti, la produzione di latte di pecora è già oggi in sensibile contrazione, premessa indispensabile per una ripresa delle quotazioni. Nel mese di gennaio 2019 le raccolte sono calate di oltre il 20%. Se questa tendenza dovesse proseguire nel corso dell’anno si realizzarebbe lo smaltimento delle scorte e una successiva ripresa delle quotazioni, secondo la ciclicità naturale.
Il rischio per questa prospettiva, ed il pericolo per gli interessi dei pastori, sta nell’interferenza della politica, sta nella proposta avanzata da Matteo Salvini e altri, di intervenire con denaro pubblico per ritirare dal mercato uno stock di 44 mln di euro di pecorino.
Questa manovra, che ricalca pedissequamente quelle che abbiamo visto realizzare dalla famigerata (per Salvini e pure per noi) Commissione Europea per decenni, sortirebbe il risultato di spingere la produzione di latte, mantenere conseguentemente elevata la produzione di pecorino (poco è il latte di pecora che prende altre strade) e deprimere i prezzi del latte di pecora tanto a lungo quanto resteranno pieni i magazzini finanziati dall’operazione salviniana. Quel prodotto stoccato, infatti, non va distrutto, prima o poi deve tornare sul mercato; ecco che la sua giacenza, di cui tutti sono consapevoli, deprimerebbe i prezzi ad oltranza nello stesso momento in cui incentiva la produzione di latte spingendo artificiosamente in alto i prezzi della materia prima.
Quello che nessuno ha detto in questi giorni di tensione è che il latte di pecora prodotto in Sardegna è soggetto a forti variazioni quantitative, molto più marcate di quelle del latte bovino, dovute al fatto che con la modifica dell’alimentazione delle pecore si possono modificare di molto le sue produzioni. Da qui deriva la sua marcata volatilità di prezzi. Ovviamente, l’alimentazione supplementare a mangimi ed integratori del pascolo costa parecchio, perciò è realizzabile solo quando i prezzi del latte lo permettono, Quando non lo permettono, è la stessa contrazione della disponibilità di alimento a far calare la produzione. E non di poco. Basti analizzare l’altalena dei volumi produttivi di latte di pecora, che sono i seguenti: 2013, 240.000 q.li; 2014, 241.000 q.li; 2015, 301.000 q.li; 2016, 356.000 q.li; 2018, 341.000 q.li. Tra il 2017 ed il 2018 la produzione di latte sardo è cresciuta del 22,5%. Spinta dai buoni prezzi del latte della precedente fase di rialzo. Come poteva non calare nella fase attuale il prezzo del pecorino e quindi del latte? Altro che un euro al litro, come promettono gli irresponsabili della politica e della distribuzione, ansiosi di lustrare la propria immagine di fronte ad elettori e consumatori ingenui!
Come si evince facilmente, le crisi dei prezzi dipendono totalmente dai volumi prodotti, stante la perfetta elasticità dei prezzi ai volumi. Dunque, nessuna congiura delle multinazionali o speculazione degli industriali, anche perché oltre la metà del latte di pecora è trasformato da cooperative, i cui prezzi pagati sono specchio fedele del mercato, e nel 2018 le cooperative hanno pagato il latte meno degli industriali: circa 0,70 contro 0,85 cents.
Dunque stop alla peggiore ferramenta ideologica dei partiti statalisti e dirigisti, che promettono la fissazione di prezzi per le materie prime, organizzando ammassi pubblici, e minacciando gli operatori industriali che si rifiutano di sottoscrivere un demagogico accordo con i pastori.
- Scarica questo articolo in PDF
U.R.N. Sardinnya ONLINE