Regionali 2019: Solinas presidente, cresce lista PSD’AZ. E gli altri?
Regionali 2019: Chiamato “uomo invisibile”, ma mica tanto, Solinas ha sbaragliato tutti, moltiplicando i consensi del PSD’AZ. Lista capace di agganciare una Lega che, a differenza di quanto raccontato nei media italiani, non ha esattamente “stravinto”.
Distrutto invece il restante panorama indipendentista, falcidiato da personalismi, incompetenza e idee confusionarie. Un ambiente che necessita di profonde riforme, più di quelle che servirebbero ad un Movimento 5 Stelle in caduta libera.
La lezione è vecchia ma continua ad essere ignorata: chi pensa di isolare i sardisti finisce isolato.
L’intero ambiente sardista e indipendentista, oggi diviso, pesa oltre il 20% dei consensi, quasi il doppio del Partito Democratico e della Lega.
Ecco qualche riflessione.
Di Adriano Bomboi.
L’ultimo regalo del centrosinistra alla Regione si è materializzato ad urne chiuse: il lentissimo spoglio dei risultati elettorali ha espresso la cifra della penosa burocrazia che attanaglia la nostra Pubblica Amministrazione, che nessun vecchio politicante del PD ha avuto il coraggio di affrontare.
Al momento in cui lo scrivente pubblica queste righe, Christian Solinas è stato già riconosciuto come nuovo governatore della Sardegna. Con 1780 sezioni scrutinate su 1840 per l’elezione del presidente; e 1737 sezioni scrutinate su 1840 per l’elezione dei candidati nelle liste annesse.
Nonostante il vasto fervore critico del web, Solinas ha raccolto 352.185 voti, pari al 47,64% dei consensi. Staccando il proprio avversario, Massimo Zedda, di oltre centomila voti (244.263, pari al 33,04%). Ma per comprendere la dimensione di questo successo è bene osservare un dato di rilievo: a queste elezioni il Partito Sardo d’Azione è salito a 67.132 voti, pari al 9,87% dei consensi, senza fondere la propria lista con quella della Lega (proiettata oltre i 77mila voti). Una crescita indiscutibile rispetto alle regionali del 2014, quando il partito sardista si fermò a 31.886 voti (4,68%).
Il PSD’AZ è dunque un partito vivo, dinamico e vincente. E che piaccia o meno, la sua collaborazione con la Lega, di cui siamo critici, ha dimostrato sul campo la capacità di interpretare al meglio il sentimento popolare.
Ma c’è di più. Ciò che la stampa italiana e gli avversari del sardismo non vi raccontano è che l’impatto mediatico di Salvini è stato inferiore del previsto. Complice una scarsa cura delle liste, queste si sono affidate più all’immagine del leader leghista che al lavoro sul territorio operato invece dai candidati sardisti, in grado di avvicinarsi ai numeri del carroccio. La strategia di Solinas è stata uno smacco anche per quella serie di avversari interni, rivelatisi più deboli, che lo ritenevano non idoneo a sfidare la sinistra di Massimo Zedda. Inconsistente infatti anche il peso del voto disgiunto, uno strumento che vari osservatori ritenevano utile per incrinare la vittoria del candidato sardista.
Lo storico ritorno del PSD’AZ alla guida della Regione, come previsto l’anno scorso in questo spazio, parte con un bagaglio di buone premesse. Forte di una base più solida (su cui la “guerra del latte” in corso non ha avuto particolari effetti), potrà affrontare con serenità la difficile fase politica che seguirà alle prossime elezioni europee, quando a Roma la Lega potrebbe capitalizzare il suo rinnovato peso politico nei confronti dei 5 Stelle, corresponsabili del declino economico del Paese, e portatori di una politica economica del tutto dannosa, anche nei confronti dell’isola. A quel punto il Partito Sardo d’Azione dovrà capire se la Lega intenderà insistere con le disastrose politiche economiche realizzate coi 5 Stelle, o se ci saranno migliori margini di autonomia con cui affrontare i problemi reali della Sardegna: tra cui il tracollo della produttività e la conseguente emorragia sociale di tanti giovani che emigrano lontani da una terra senza futuro.
Su chi si può contare?
In parte su sigle come Fortza Paris (10.999 voti), che grazie all’apporto di fuoriusciti dell’area moderata di centrodestra ha trovato una nuova collocazione nel panorama sardista.
Non, purtroppo, sul restante panorama indipendentista, falcidiato da personalismi, incompetenza e idee confusionarie. Da un lato infatti abbiamo il Partito dei Sardi di Paolo Maninchedda, sconfitto dal PSD’AZ a cui contese il potere, e da una disastrosa strategia che l’ha portato a sfilarsi dal centrosinistra che gli consentì di accedere alla spesa pubblica, perdendo così la possibilità di contare su un voto maggiormente strutturato. Una mancanza che non è stata sicuramente compensata dalla retorica manicheddiana (fermatasi a 25.106 voti, pari al 3,39% dei consensi).
Dall’altro lato abbiamo Sardi Liberi, con Mauro Pili, che ha raccolto 17.111 voti, pari al 2,31% dei consensi; e Autodeterminatzione, il cui candidato presidente Andrea Murgia ha raccolto appena 13.409 voti, pari all’1,81%.
Queste tre sigle non hanno convinto neppure l’esercito dell’astensione. I motivi sono vari e ne abbiamo accennato in più occasioni: 1) scarsa collaborazione tra sigle con programmi pressoché identici. L’elettore medio, attento ad un voto di opinione, non nota pluralismo ma frammentazione. Né ha alcun interesse ad approfondire i diversi percorsi politici di un Paolo Maninchedda rispetto ad un Mauro Pili, né troverebbe differenze nelle modalità con cui Autodeterminatzione ha scelto di candidare Andrea Murgia rispetto alle modalità con cui Sardi Liberi ha scelto di candidare Mauro Pili, idem le ragioni del PDS a sostegno di Maninchedda: nessuno dei tre ha realizzato primarie realmente aperte oltre il proprio partito; 2) scarso radicamento territoriale, con liste munite di candidati spesso estemporanei, raccolti all’ultim’ora e poco stimati nelle circoscrizioni di appartenenza; 3) assenza pressoché totale dal mondo del lavoro, delle imprese e dell’associazionismo; 4) confusione e incoerenza in programmi al limite della credibilità. Pensiamo a quei candidati di Sardi Liberi che hanno sostenuto una zona franca integrale, nonostante il Codice doganale europeo vieti zone franche non intercluse. O pensiamo, soprattutto, ai pittoreschi programmi di Autodeterminatzione, a base di spesa pubblica sussidiata con fondi europei, e persino tendenti a proporre una zona franca con cui sussidiare di soldi pubblici le imprese disposte ad insediarsi nell’isola (ma una zona franca ha l’obiettivo di attirare imprese e capitali, non avventurieri propensi a prendere denaro pubblico per poi sparire, così come avviene dai tempi della DC). O ancora, pensiamo al martirologio del Partito dei Sardi sul livello dei salari dell’isola, nonostante per anni abbia governato con l’uscente giunta Pigliaru senza tagliare la spesa pubblica che oggi impedisce alle imprese di accrescere la propria produttività (e magari anche i salari).
Per chi volesse farsi un’opinione più approfondita, consiglio la lettura del nuovo libro: “Problemi economico-finanziari della Sardegna“.
Insomma, la lezione è vecchia ma continua ad essere ignorata: chi pensa di isolare i sardisti finisce isolato. Comodo ma intellettualmente disonesto scaricare la responsabilità del flop sulla forza mediatica della partitocrazia italiana.
E i 5 Stelle?
Con l’11,18% dei consensi al candidato Francesco Desogus, sono stati i veri invisibili di queste elezioni. Poco attendibile la giustificazione per cui il movimento sia solito andare male nel corso di consultazioni amministrative, rispetto alle elezioni politiche. La dissennata politica del governo, in primis del ministro del lavoro Di Maio, costellata più da fiaschi che da successi, ha disintegrato in meno di un anno il vasto consenso politico dei grillini.
Oggi sulle macerie di queste elezioni rimangono altri due interrogativi da approfondire:
1) l’introduzione della doppia preferenza di genere ha aiutato il voto verso le donne?
2) l’intero ambiente sardista e indipendentista pesa per il 20,35% dei consensi. Siamo sicuri che una maggiore collaborazione tra sigle non ci permetterebbe di arrivare a una simile percentuale?
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U.R.N. Sardinnya ONLINE