Export Sardegna: crescono prodotti ad alto valore aggiunto, giù gli altri

Arriva il nuovo bollettino dell’export sardo: crescono i prodotti ad alto valore aggiunto e crollano gli altri. Soprattutto il settore lattiero-caseario, falcidiato dalla riduzione dell’import USA e dalla crescita di Irlanda, Francia e altre Regioni italiane nel settore.

No, non siamo i più bravi, né gli unici a fare formaggio. E la politica continua ad ignorare i segnali del mercato, da cui in pochi anni rischiamo di sparire.

Commentiamo un po’ i dati che la stampa regionale non ha approfondito, e scopriamo la follia di alcuni programmi politici.

Di Adriano Bomboi.

Qualche settimana fa ho scritto: “Al mondo, un territorio è competitivo se: 1) fabbrica le tue stesse cose ad un costo più basso; 2) fabbrica cose che gli altri non sanno fare”.

Il nuovo bollettino della CNA Sarda, relativo agli ultimi dati dell’export sardo, conferma questa linea.

Ho evidenziato in rosso alcuni settori per comprenderne il trend:

In un mondo sempre più competitivo, il mercato premia i settori ad alta conoscenza. Ossia quelli ad alta specializzazione, notiamo infatti la poderosa crescita del nostro settore chimico-farmaceutico (peraltro contenuta rispetto ad altre Regioni italiane), e il crollo del settore lattiero-caseario. Un ambito in cui, stando agli ultimi dati, siamo stati penalizzati dalla crescita della concorrenza irlandese (+13,2%), francese (+ 10,3%) ed altre Regioni italiane (+11%). Per non parlare della riduzione dell’import da parte degli USA, nostro principale mercato di sbocco. Ad esempio, per il 2017, dei 180,1 mln di euro di export di agroalimentare, ben 101 mln sono finiti nei soli USA. Un import oggi ridottosi al 3%.

Interessante inoltre notare la performance dell’industria metallurgica, che nonostante il periodo di crisi fa segnare un’importante ripresa. Smentendo la tesi – tutta ideologica e poco aderente alla realtà – di quanti considerano già morto questo settore, che offre anche un buon ritorno occupazionale.

In buona sostanza, da ciò che tutti gli esperti vanno ripetendo da tempo non si scappa: studiare e innovare sono gli unici sistemi per far crescere la competitività di un territorio.

Puntare invece solo su settori a basso valore aggiunto, su cui purtroppo scommette quasi tutta la classe politica sarda, indipendentisti compresi, è un suicidio. Soprattutto se questi settori, come l’agroalimentare, su cui si sprecano fiumi di romantiche parole, vengono rallentati da una tutela dell’inefficienza (perpetuata mediante una costante elargizione di sussidi verso piccole imprese, sottocapitalizzate e prive di skills); e da una serie di costi, anche questi già ampiamente documentati.
Ad esempio quelli illustrati dall’indagine conoscitiva della filiera da parte dell’AGCM, su base ISMEA, di qualche anno fa:

In conclusione, che altro aggiungere? Mentre la Cina sviluppa addirittura dei “pig hotels” per far crescere la produzione di suini con cui inondare il mercato (vedere Reuters), da noi si fantastica su improbabili e improduttive realtà agroalimentari a carattere estensivo, con cui si pretende di conquistare i mercati, senza abbattere i costi, né diversificare i prodotti.

Il nostro settore primario necessita invece di profonde riforme strutturali, senza abbandonare il settore secondario, mentre abbiamo un disperato bisogno di formarci ancor meglio sul terziario (avanzato). Viceversa, non comprendere l’aria che tira finirà unicamente per farci colare a picco nel giro di pochi anni.

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Per chi volesse approfondire questi e altri temi, si consiglia il libro Problemi economico-finanziari della Sardegna (A. Bomboi, Condaghes, Cagliari 2019).

U.R.N. Sardinnya ONLINE

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