Popper, Feltrinelli e la critica alla religione marxista

Nel 1968 Feltrinelli arrivò in Sardegna per valutare se fosse possibile realizzare una “Cuba del Mediterraneo”. Il capitalismo veniva giudicato “al tramonto” e si riteneva lecito accelerarne i tempi. Una fantasia ancora attuale presso intellettuali e sinistra radicale.

Dopo la morte dell’editore, la sua ricca casa editrice lanciò una sfida alla sinistra, che pure rappresentava, nel tentativo di superare la vulgata più antiquata del marxismo italiano. E lo fece tramite Karl Popper, che pubblicò il saggio “Miseria dello storicismo”, un attacco alla pseudoscienza del materialismo storico.

Nel pieno degli anni di piombo l’audacia della Feltrinelli lanciò un testo liberale che smentiva ogni visione deterministica della storia. E che tanti oggi, soprattutto dopo la crisi economica del 2008, dovrebbero rileggere. Tra cui i confusi ammiratori di Thomas Piketty.

Di Adriano Bomboi.

Nel 1968 Feltrinelli arrivò in Sardegna per valutare se fosse possibile realizzare una “Cuba del Mediterraneo”. Il capitalismo veniva giudicato “al tramonto” e si riteneva lecito accelerarne i tempi.
Le trattative con la malavita locale non andarono in porto, anche grazie all’intelligence italiana, e la faccenda ebbe vita breve.
L’editore morirà nel 1972 presso un traliccio dell’Enel di Segrate, nel corso di un fallito attentato dinamitardo.

Appena tre anni dopo, la sua casa editrice, pur senza abiurare all’ideologia del fondatore, comprese la necessità di far evolvere il dibattito culturale che ai tempi animava la sinistra, colpendo le componenti più refrattarie al cambiamento. Il celebre filosofo Karl Popper fu ben felice di assecondare questo orientamento, tramite la pubblicazione del saggio “Miseria dello storicismo” (risalente al 1957). Soprattutto in una fase storica molto difficile per l’Italia, quella in cui il boom economico era già un ricordo, tristemente soppiantato dal terrorismo degli anni di piombo.

Gli avvenimenti politici ed economici occorsi all’Italia nei decenni successivi dimostrano, purtroppo, che l’esperimento editoriale della Feltrinelli, seppur commercialmente valido, non si tramutò in un successo culturale. Ancora oggi le nozioni del libro, ovvie e persino banali per menti preparate ed aperte al buonsenso, continuano a rimanere oscure a tanti intellettuali.

Popper criticò le filosofie storicistiche, in particolare le filosofie profetiche di matrice idealistica (da Platone ad Hegel) e di matrice materialistica (Marx), denunciandone il carattere irrazionalista. Quest’ultima in particolare offriva una visione della storia in cui si affermava con certezza che il capitalismo sarebbe stato sostituito dal socialismo.
L’incedere degli eventi ha invece dimostrato tutto il fallimento delle economie pianificate nei regimi socialisti, e il successo delle economie di mercato occidentali, capaci di evolversi.
Il futuro era ed è aperto, non esiste alcun precostituito corso della storia umana, e spetta solo alla ragione e all’umiltà dell’uomo rapportarsi di volta in volta con gli eventi, al fine di correggere le ingiustizie.

Si tratta di temi che Popper analizzò in materia più approfondita nei volumi de “La società aperta e i suoi nemici” (pubblicati in Italia da Armando editore), mentre il testo edito da Feltrinelli ne costituisce un breve ma importante contributo argomentativo.
Popper infatti denunciò l’opposizione del marxismo ad ogni confutazione dei suoi postulati, contrariamente al principio di non-contraddizione che dovrebbe guidare la scienza, un’ideologia affine alla religione.

Benché il marxista creda di rappresentare una superlativa novità o scoperta teorica a cui tutti dovrebbero conformarsi, rispecchia invece un antico habitus della storia umana: l’idea che il destino sia già tracciato, e guidato da una qualche mano divina verso un preciso percorso storico. Un percorso che non può essere oggetto di critica ma solo di cieca propaganda, per “evangelizzare chi non ha conosciuto la buona novella”.

Il marxismo non è altro che la versione laica della stessa matrice irrazionalista presente in varie fedi promosse dal genere umano, più accline al conservatorismo che ad un reale cambiamento sociale.

I suoi epigoni intellettuali continuano a propagandare la solita superstizione: il capitalismo sarebbe “al tramonto”. L’hanno sempre sostenuto, tanto nel 1929, con il crollo di Wall Street, quanto nel 2008, con il crollo di Lehman Brothers. Non mancano infatti miriadi di pubblicazioni, con libri e articoli vari, per lo più di autori privi di spessore scientifico, che segnalano “la fine dell’epoca neoliberista impersonata da Thatcher e Reagan” negli anni ’80, a cui bisognerebbe rispondere con un maggiore interventismo statale. Il quale invece ha sempre dato il suo ampio contributo di problemi nell’andamento dell’economia.

Non a caso oggi la vulgata neo-marxista si aggancia a pubblicazioni, anche più o meno autorevoli, che tendono ad enfatizzare il peso delle diseguaglianze come strumento di critica al capitalismo. Senza osservare i vantaggi ottenuti dalla globalizzazione contemporanea, in particolare a vantaggio dell’Asia.

Autori come Thomas Piketty, agli occhi di questa vulgata “intellettuale”, diventano i nuovi paladini postmoderni dell’antica superstizione segnalata da Popper. Selezionano fonti analoghe al solo fine di appagare la propria ideologia, e, nel caso di specie, ignorando ad esempio le critiche mosse a Piketty da accademici del calibro di Daron Acemoglu e James Robinson, effettuate con un noto paper sulla valutazione dei dati relativi alle ineguaglianze. In Italia, Thomas Manfredi dell’OCSE ha dato conto del dibattito scientifico in materia.

In conclusione, come ci ha insegnato Popper, studio, razionalità e umiltà rimangono i migliori antidoti alle favole. Soprattutto a quelle pericolose.

Scarica questo articolo in PDF

U.R.N. Sardinnya ONLINE

Be Sociable, Share!

    Commenta



    Per la pubblicazione i commenti dovranno essere approvati dalla Redazione.