L’insularità in Costituzione? C’era già sino al 2001
L’insularità in Costituzione? C’era già sino al 2001.
La riforma del Titolo V° in materia di diritto regionale ha cancellato il vecchio 3° comma dell’art. 119 che la includeva.
Vediamo il testo e il perché della riforma, alla luce di un confusionario consiglio regionale che ieri ha proposto di istituire una commissione speciale per sostenere l’insularità: primo firmatario Deriu (PD), quello che appena 3 anni fa ha sostenuto la fallita riforma centralista renziana della Costituzione.
Di Adriano Bomboi.
Ben pochi sanno che il concetto di insularità in Costituzione è già esistito.
Prima delle riforme del Titolo V° (1999-2001), ricorda Adriano Sitzia per Sa Natzione, ecco cosa recitava il terzo comma dell’articolo 119:
«Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il mezzogiorno e le isole, lo stato assegna per legge a singole regioni contributi speciali.»
Il testo è cambiato nei seguenti termini:
«La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.»
Ciò è stato inoltre integrato da nuovi commi, come ad esempio il 5°, che recita:
«Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni.»
Nonostante la mole di contenziosi Stato-Regioni affrontato negli anni dalla Corte Costituzionale a causa della complessiva riforma del Titolo V°, il novellato art. 119 rappresenta un evidente miglioramento rispetto alla vecchia versione, per due ragioni principali:
- la prima è che, pur non risolvendo il problema dei divari economici del Paese, è stato cancellato il principio secondo cui esisterebbero precise aree atavicamente considerabili come arretrate in luogo di altre, al punto da meritare una costante elargizione di sussidi (seppur mascherata dall’idea di “valorizzare” e non di “supportare”, come nel vecchio articolo);
- la seconda è che, in ragione del primo motivo, si è scelto di istruire il principio di coesione sociale e territoriale estendendolo indistintamente a tutte le Regioni (e non solo) suscettibili di manifestare periodi di difficoltà. Questo concetto cancella dunque l’ottica assistenziale presente nel vecchio articolo, introducendo un approccio moderno al lavoro di perequazione svolto dallo Stato centrale.
Come segnalato nel nostro precedente articolo sulla materia, la Costituzione italiana emersa nel 1948 non chiariva tali aspetti, pur garantendo analoga tutela giuridica dei territori insulari, e pur essendo meno chiara della Costituzione spagnola, che include il concetto di insularità nella carta.
Pertanto, alla luce di tali argomenti, è lecito domandarsi: c’è stata una tutela maggiore dell’isola da parte dello Stato sino al 2001?
La complessa e articolata vicenda relativa, ad esempio alla vertenza entrate, financo ai programmi di continuità territoriale (anch’essi argomentati nel precedente articolo di Sa Natzione), dimostrano che prima del 2001 non vi era alcuna differenza di trattamento rispetto al presente.
E d’altra parte, solo una certa dose di demagogia e superficialità politica potrebbe pensare che inserire una semplice parola – “isole” – in una carta costituzionale, possa automaticamente cambiare le sorti di queste ultime. Le cui condizioni dipendono da una vasta serie di variabili, non tutte imputabili al dettato costituzionale (semmai riformabile in ben altri articoli del Titolo V°, e non solo, per ottenere istituzioni federali).
Ma l’aspetto singolare di tutta la vicenda relativa ai sostenitori dell’iniziativa di insularità in Costituzione riguarda l’inconsistenza tecnica e giuridica del suo “comitato scientifico”, che avrebbe dovuto vagliare tali aspetti, prima di intraprendere qualsiasi battaglia pubblica al riguardo.
Ad oggi i proponenti vorrebbero addirittura varare una “commissione speciale” che dovrebbe farsi carico di studiare i termini con cui portare avanti l’iniziativa di insularità. Ossia altre poltrone spesate dai contribuenti, a tempo indeterminato, per sostenere una battaglia di scarsa o nulla utilità pratica (giacché, come già spiegato su Sa Natzione, sarebbe sufficiente applicare l’art. 121 della Costituzione, che consente alla Regione di presentare proposte al Parlamento. La commissione potrebbe giungere alle stesse conclusioni).
Dopotutto una commissione non si nega a nessuno. Pensate, ad esempio, a quelle “balneari”, con cui di recente i consiglieri regionali “hanno scoperto l’inquinamento industriale di Ottana”. O a quella di inchiesta sui costi della sanità regionale, finita nel nulla. A conferma di una politica ormai ridottasi a battaglie perlopiù inutili e retoriche, prive di effettivi contenuti spendibili a vantaggio della collettività.
Oggi, paradossalmente, il primo firmatario dell’idea di istituire una commissione speciale sull’insularità è Roberto Deriu (PD), il quale, appena tre anni fa, sostenne la fallita riforma centralista della Costituzione promossa dal governo Renzi. Tali proponenti vorrebbero persino esportare il concetto di insularità, che in questa connotazione ha evidenti caratteri assistenzialistici, a livello europeo.
Un sintomo della classica cultura vittimistica meridionalista, secondo cui più sussidi, cioè più spesa pubblica, porterebbero automaticamente ad una maggiore crescita economica.
Una teoria priva di riscontri storici e scientifici nella moderna letteratura economica.
Alla luce di queste valutazioni concludiamo l’articolo ricordando un altro dettaglio alquanto preoccupante, che non riguarda tanto l’approssimazione politica di cui abbiamo parlato, quanto quella istituzionale. Ossia, nel 2018 l’ufficio regionale del referendum ritenne illegittima la via referendaria per promuovere questa iniziativa (sostenuta dai Riformatori Sardi), in quanto, tra i vari argomenti, disse che “non ha come oggetto una questione controversa, essendo del tutto palese che l’insularità comporti gravi svantaggi alla popolazione” (come se gli inglesi siano poveretti).
In pratica, l’ufficio regionale sul referendum non giustificò lo stop alla proposta sulla base dell’attuale art. 119 della Costituzione, ma sulla base di quello vecchio, come se esistessero territori atavicamente inadeguati alla crescita, per le ragioni sopra esposte.
A rincarare la dose di questa confusione si aggiunse nuovamente la politica. Paolo Maninchedda (PdS), ignaro di tutto ciò, disse: «La sentenza di inammissibilità del referendum sull’insularità è l’ennesima dimostrazione dell’incapacità dell’ordinamento italiano di saper interpretare i nuovi diritti di partecipazione e democrazia.»
Ma non si trattava di un problema di rappresentatività democratica, ma di pertinenza dell’interpretazione giuridica.
A ruota seguito da Roberto Frongia (RS), che disse: «Sapevamo bene che il cammino verso il riconoscimento del principio d’insularità sarebbe stato difficile, come tutte le scelte che rivoluzionano “su connotu”.»
Ignaro che l’idea di insularità in Costituzione è “su connotu”, un ritorno al passato, cioè alla vecchia Costituzione italiana riformata nel 2001.
- Sul tema insularità vedere anche l’articolo: “Come finirà la battaglia per l’insularità in Costituzione?” (Sa Natzione, 23-09-19). Con una comparazione della Costituzione spagnola e l’esempio della continuità territoriale.
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U.R.N. Sardinnya ONLINE
La parola insularità è equivalente alla parola isola … la stessa parola insularità è richiamata nell’art. 174 del Trattato di Lisbona dove si prevede che particolari benefici sono riservati alle regioni insulari e spopolate. Ricordiamo che nell’ordine gerarchico delle fonti del diritto i Trattati sono collocati al di sopra delle leggi dei singoli stati aderenti alla Comunità Europea… la parola insularità è è stata di recente utilizzata nella sentenza n.6/2019 della Corte Costituzionale .