Quella passione degli indipendentisti sardi per la storia

L’indipendentismo sardo in questi giorni è occupato in un dibattito piuttosto singolare, e che ha per oggetto non un governo Draghi, ma i resti archeologici di Monte Prama.

Il nazionalismo infatti si manifesta anche nella necessità di impadronirsi della storia passata del proprio territorio, ed i suoi esponenti cadono dritti in questa trappola culturale che li porta a dividersi tra loro: secondo alcuni Cagliari sarebbe l’epicentro di una sottrazione degli idoli nazionalistici (le statue destinate al restauro), secondo altri invece, tra cui Alessandro Mongili (Filosofia de logu), la polemica trasuda l’immaturità politica di vari indipendentisti e il protagonismo di alcune amministrazioni locali. Mentre Roberto Bolognesi ci ricorda la condizione coloniale delle vecchie élite locali, impegnate a presidiare un luogo primordiale da cui manifestare il proprio sentimento nazionale.

Ecco un mio commento al riguardo, con un ragionamento sulla frattura “centro-periferia” richiamata dal politologo Carlo Pala.

Di Adriano Bomboi.

Carlo Pala, nel 2008 su Sa Natzione e nel 2014 nel libro “L’indipendentismo sardo. Le ragioni, la storia, i protagonisti”, argomentò per primo a questo stesso ambiente politico la dicotomia “centro-periferia”.
Il concetto, poi approfondito in un suo libro, partiva dall’analisi di Stein Rokkan e Seymour Martin Lipset, a loro volta ispirati dai lavori di Albert Hirschman e Talcott Parsons, e verte sull’esistenza di fratture sociali, avvenute in determinati momenti storici, che avrebbero poi finito per portare alla nascita e al consolidamento di determinate politiche ed istituzioni.

Per spostare questo concetto in scala, Alessandro Mongili (Filosofia de logu), ritiene, non a torto, che una parte dell’indipendentismo sardo sia vittima di una frattura analoga al modello di Rokkan, a sua volta ispirata dalle idee di “paesitudine” e Sardegna rurale promosse in passato da intellettuali come Eliseo Spiga.
Ciò che sopravvive di quest’ideologia interpreta i grossi centri urbani sardi come esponenti di una politica italiana ostile agli interessi sardi, e legata ad interessi economici peninsulari. Mentre viceversa i piccoli paesi sardi dell’interno sarebbero portatori di “istanze genuine” degli interessi della Sardegna, e soggiogati dal potere dei grossi centri urbani.

Nel mio ultimo libro (Condaghes 2019), dati alla mano, ho argomentato come invece anche i centri minori siano destinatari di cospicui trasferimenti di spesa pubblica da parte dei centri maggiori, che si sostanziano per lo più in spesa corrente (destinata a politiche assistenziali e volte ad accrescere il consenso dei committenti, locali e non locali), in luogo di spese in conto capitale (destinate, come invece dovrebbe essere, a potenziare le infrastrutture materiali e immateriali con cui agganciare una crescita di lungo periodo).

Tutto questo dibattito ha però per epicentro il destino dei giganti di Monte Prama, delle statue, ossia reperti archeologici che testimoniano un importante passato storico dell’isola, e per tale ragione assurti a idoli di un ambiente politico, l’indipendentismo sardo, che non ha ancora saputo far evolvere in termini costruttivi le proprie istanze nazionaliste. Ci si divide infatti sull’opportunità di spostarli o meno da Cabras a Cagliari per un semplice restauro, mentre la loro ubicazione finale, come ricordato da Vito Biolchini, non sarebbe mai stata messa in discussione.

Ebbene, autori come Walker Connor (1994), Benedict Anderson (1983) ed Anthony D. Smith (1971, 1987 e 2009), ci hanno spiegato a più riprese come i nazionalisti tendano ad agganciare la manifestazione politica del proprio dissenso ad elementi storici (sia reali che immaginari). Numerosi nazionalisti sardi hanno così finito per ergersi a difensori del passato storico del proprio territorio, al punto da inquadrare il temporaneo trasferimento dei “giganti” verso Cagliari come un affronto a questa etnosimbologia. Ed una sottrazione di risorse a vantaggio del maggior centro politico-economico dell’isola. Una evidente narrazione tesa a rispolverare una visione “coloniale” dei rapporti tra centro e periferia e perciò, a detta dei suoi sostenitori, meritevole di attenzioni e proteste. Roberto Bolognesi, provocatoriamente, ci ha ricordato che questa tutela del “piccolo paesello” rispecchia pure la condizione culturale delle vecchie élite di successo nelle realtà coloniali, che ottennero riconoscimento sociale, non nel valorizzare le aree più evolute del proprio territorio per estenderne a tutti i vantaggi, ma nel beatificare quelle più arretrate in chiave vittimistica.

Nel quadro di questa protesta è stato pure ricordato che l’area archeologica di Tharros-Cabras avrebbe più visitatori del museo cagliaritano, una contrapposizione che non fa bene a nessuno: sia perché non si può paragonare un’area archeologica ad un museo (poiché presenta connotazioni organizzative, collezioni e contesti ricettivi e culturali diversi); sia perché immaginare una tutela complessiva del territorio isolano e della valorizzazione della sua rete culturale deve costituire un piano organico e coordinato. Ed al momento, come noto, il museo di Cabras non è attrezzato per tutelare l’esposizione di Monte Prama.
In altri termini, non basta esporre qualcosa, bisogna anche poterla restaurare, promuovere, etc. E questo discorso, badate bene, non mette in discussione l’opportunità che Cabras rimanga, come suo diritto, centro di riferimento espositivo dei reperti di Monte Prama.

Queste polemiche insomma nascono a causa di una visione etnonazionalista di svariati indipendentisti, ancorati ad una lettura desueta dei rapporti politici ed economici interni alla Sardegna.
Una bolla a sua volta cavalcata dal protagonismo di alcuni amministratori locali che solleticano il timore popolare di perdere la statuaria di Monte Prama, ma che non serve né all’opinione pubblica sarda, che in questo momento si confronta con problemi più dirimenti, come la nascita di un governo Draghi. Né agli indipendentisti stessi, che dovrebbero maturare una visione più sinergica dei rapporti centro-periferia, ed una maggiore attenzione a temi di attualità, in particolare di natura economica, che investono le quotidiane preoccupazioni dei sardi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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