Mario Melis su insularità, federalismo e indipendenza
Il sardista Mario Melis parlò di insularità, federalismo e indipendenza.
Rileggiamo criticamente le sue parole su questi argomenti, perché offrono interessanti spunti di riflessione per evitare gli errori del passato e per coltivare un sincero riformismo di governo.
Con una premessa.
Di Adriano Bomboi.
Quando si parla di Mario Melis, storico presidente sardista della Regione, e più volte parlamentare, i sardi che lo ricordano con affetto pensano ad una stagione densa di speranze. Speranze di cambiamento, di sviluppo economico e di riscatto sociale.
Sentimenti che non trovarono una concreta applicazione nella realtà, ma che contribuirono a tenere alto il prestigio degli ideali sardisti sino al presente.
Utile ricordare che l’azione amministrativa di Mario Melis si inseriva appieno nelle complesse dinamiche politiche che ebbero il loro epicentro negli anni ’80: apogeo della guerra fredda in un paese, l’Italia, che si confrontava col terrorismo, con l’inflazione, con l’esplosione della spesa pubblica e il cronico sottosviluppo del mezzogiorno, a cui l’isola era (ed è) strutturalmente legata.
Le straordinarie capacità oratorie di Melis convinsero tantissimi sardi a dare fiducia ai suoi programmi, i quali, ad un’attenta analisi, ci manifestano però diversi limiti.
In questa sede ridurremo l’osservazione a pochi ma importanti argomenti.
Oggi si fa un gran parlare di “insularità in Costituzione”, ma pochi ricordano che Melis portò questo tema in Parlamento nel 1984. E non per farlo inserire nella Costituzione (all’epoca esisteva già, precisamente nel vecchio articolo 119, che venne cambiato con la riforma del Titolo V° del 2001).
Melis affermò*:
«Si ricordino i costi aggiuntivi attraverso i quali l’insularità penalizza la nostra economia, rendendola marginale e subalterna. […] Resta il sostanziale silenzio e la mancanza di precisi impegni politici e organizzativi per avviare a soluzione se non a superare nell’immediato una discontinuità territoriale che, prima ancora di ledere gli interessi economici dell’intera comunità regionale, precludendone la sua integrazione nei mercati italiani ed europei, offende i sardi nella loro dignità di cittadini, ridotti ad una subalternità più vicina al colonialismo che non al pur umiliante sottosviluppo […] Le spese aggiuntive dei trasporti marittimi, dell’energia, del denaro; le diseconomie esterne, lo stesso fiscalismo tributario […] Conseguenza necessaria di tutto ciò sono i mancati investimenti, le crisi endemiche dei diversi settori produttivi, la disoccupazione diffusa, l’emigrazione di massa.»
Non sfugge ad una lettura contemporanea di queste parole quanto le idee di Melis fossero distanti sia dalle radici ideologiche del sardismo, e sia vicine alle posizioni assistenziali del presente.
E ciò per due ragioni:
1) il sardismo delle origini aveva tra le sue fonti ispiratrici il movimento indipendentista irlandese, che nel 1922 porterà alla nascita della Repubblica con capitale Dublino. All’epoca nessun indipendentista irlandese si sarebbe sognato di considerare l’insularità come un problema, né avrebbe chiesto supporto a Londra per compensare ipotetiche diseconomie dovute alla distanza da mercati considerati più remunerativi. La stessa Inghilterra del resto costruì un impero di dimensioni globali partendo dalle proprie isole, senza che ciò venisse considerato un gap. Ed anzi, proprio la presenza del mare costituì la base per la creazione di una delle più importanti flotte militari e commerciali della storia;
2) nel 1984 Melis aveva idee analoghe agli amministratori sardi del 2021. Ossia, la Sardegna interpretata non come centro del Mediterraneo occidentale, da cui poter alimentare e rinnovare nuovi traffici tra continenti, ma come area periferica isolata dai più remunerativi commerci continentali. Una condizione parzialmente corrispondente al vero, ma che non dipende dal grado di sussidi che dovrebbero colmare le distanze tra l’isola e la terraferma europea od africana, ma da una molteplicità di fattori. Tra cui la qualità del nostro capitale umano e la sua formazione culturale, indubbiamente deficitaria sotto questo profilo, ben lontana dallo spirito di isole indipendenti come Malta.
Ovviamente questo spazio non intende accusare Melis di aver contribuito ad un’involuzione del pensiero sardista, perché non ignoriamo che parte di questo deficit deriva pure dalle generali mancanze causate dalle istituzioni italiane, aspetti di cui Melis era certamente e in parte a conoscenza. Pensiamo ai problemi della pubblica istruzione, del fisco e dell’inefficiente burocrazia. Tutti fattori che hanno contribuito a cementare nei sardi l’idea che l’insularità sia un’automatica condizione di arretratezza, da risolvere unicamente con una costante iniezione di spesa pubblica da parte di un governo centrale.
L’insularità sarda, in sintesi, non è un problema geografico e neppure prettamente economico, è solamente un problema culturale. Sigillato dalla natura dell’azione delle istituzioni italiane nel nostro territorio. Un’azione che a sua volta produce una classe politica dedita all’estrazione di risorse pubbliche, come avviene in tutto il meridione italiano a spese del settentrione, e sia per conservare il proprio potere, che nell’illusoria speranza di agganciare una crescita socio-economica.
Da ciò ne deduciamo anche il superamento dell’interpretazione gramsciana sui divari del paese, con cui ancora oggi vari intellettuali indipendentisti cercano maldestramente di inquadrare il presente.
La giunta Solinas, su questo argomento, si pone dunque in stretta continuità con l’operato rivendicazionista di Melis, per cui auspichiamo che venga corretta la rotta. Dopotutto, ad aggravare il problema oggi c’è la convinzione, del tutto fantasiosa, secondo cui riscrivere la parola “isole” in una Costituzione, che c’era già ai tempi di Melis, muterebbe “in meglio” le sorti della continuità territoriale.
Ma cosa pensava il celebre sardista in materia di federalismo e indipendenza?
Per avere un’idea esaustiva ho selezionato i passaggi di un intervento chiave rivolto sia ai sardisti che alla Democrazia Cristiana. Si trova negli atti del XXII° congresso nazionale del PSD’AZ tenutosi tra febbraio e marzo del 1986.
Affermò Melis*:
«La vecchia bandiera federalista trova mille mani che la elevano al cielo, ma il federalismo passa per vie obbligate. Il federalismo si realizza tra eguali e la via è l’indipendentismo.
[…] Il nostro indipendentismo è funzionale, costituendone la base essenziale ed irrinunziabile, al federalismo. […] Debbo ricordare che durante il fascismo, i sardisti hanno difeso e concorso a salvaguardare i valori della civiltà democratica italiana?»
Queste parole, lo dico bonariamente, rappresentano un monumento al cerchiobottismo espresso dall’arte oratoria di Melis, con cui cercò di tenersi in equilibrio tra sensibilità politiche opposte: sia tra una platea sardista che aveva al suo interno una decisa componente indipendentista; sia tra un ambiente politico italiano, soprattutto DC, PSI e PCI, sempre teso ad ostacolare o a cavalcare all’occasione le tesi sardiste per piegarle ai propri obiettivi.
Non scordiamoci inoltre che negli anni ’80, come premesso, ferveva un terrorismo di matrice domestica ed internazionale, e il PSD’AZ si trovò obbligato dagli eventi e dalle sue responsabilità istituzionali a giocare in difesa.
In sintesi, da una parte Melis non disse nulla di particolarmente nuovo, ossia che al mondo il federalismo si realizzava essenzialmente tra entità indipendenti, sostanzialmente eguali. Allo stesso tempo, rivolgendosi alla partitocrazia italiana (e indirettamente agli apparati giudiziari e di pubblica sicurezza dello Stato), precisava che il partito non aveva una matrice separatista od eversiva, ma intendeva perseguire una collaborazione della Sardegna, in chiave federale, con l’Italia.
Questo assunto si ritrova anche in altri discorsi tenuti da Melis a Roma presso la Camera dei Deputati.
Che cosa possiamo aggiungere al riguardo nel 2021 in un’ottica autonomista e indipendentista?
Indubbiamente il sardista non chiarì mai una road map vera e propria con cui si sarebbe dovuta realizzare un’indipendenza dell’isola che successivamente avrebbe dovuto federarsi con un rinnovato Stato italiano.
Ad oggi, considerata l’architettura istituzionale italiana, possiamo presupporre che la strada indicata da Melis non sia agilmente perseguibile. Occorrerebbe una linea riformista moderata e soprattutto concreta: per esempio una graduale riforma dell’Autonomia sarda (idea già esistente nel patrimonio politico del PSD’AZ), al fine di conquistare sempre maggiori quote di sovranità. Sovranità con cui cercare di superare i limiti imposti da uno Stato incapace di razionalizzare la spesa pubblica, e di avere fisco, servizi e burocrazia a misura di imprese e cittadini.
Non sarà una passeggiata, ma 100 anni di sardismo sono più che sufficienti per spingere il partito di Melis ad intraprendere soluzioni più coraggiose dell’ordinaria amministrazione a cui, ad ogni legislatura, il PSD’AZ finisce per ridursi, senza occuparsi di alcuna seria riforma istituzionale.
[* Brani tratti dal testo: Mario Melis - “Discorsi” (STEF, Cagliari 1989), pagg. 61 e 135].
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U.R.N. Sardinnya ONLINE
Qualsiasi cosa Melis abbia detto, non operò mai ne’ a favore dell’indipendenza né del federalismo. Un comportamento abituale del PsdAz da sempre.