Energia: ecco perché la svolta ‘green’ in Sardegna non ci sarà
Starace (AD Enel) smentisce il ministro Cingolani: “la riconversione a gas delle centrali sarde non si farà”. Mentre Terna punta sul Thyrrenian link con la Sicilia per stabilizzare la rete e affrontare l’abbandono del carbone nel 2025, ma che in tale data non sarà ancora ultimato.
Vediamo perché in realtà la svolta “green” dell’isola non ci sarà, e quali sono i quattro orientamenti in campo con cui il presidente Christian Solinas e l’assessore all’industria Anita Pili dovranno confrontarsi. I primi due sono abbastanza noti, mentre gli ultimi due meritano particolare attenzione.
La loro comprensione ci illustra che cosa succederà realmente in Sardegna nei prossimi dieci anni.
Di Adriano Bomboi.
Ancora una volta l’isola si trova di fronte a scelte difficili, con la fondamentale partita energetica su cui giocano separatamente ben quattro correnti di pensiero:
- La prima, sino a pochi giorni fa considerata la più affidabile da tutti (lavoratori inclusi), prevede la conservazione della produzione di energia termica per oltre un decennio (non per pochi anni, notate bene), convertendo le centrali sarde a gas nella prospettiva di superare il carbone nel biennio 2025/2027, e garantendo così un sicuro approvvigionamento del fabbisogno civile e industriale di energia (una tesi sostenuta anche nel mio libro “Problemi economico-finanziari della Sardegna”, Condaghes 2019).
- La seconda rappresenta l’esito della crisi pandemica dovuta al Covid, che ha portato l’UE (e il governo italiano) a varare il classico programma keynesiano di spesa pubblica con cui, teoricamente, si dovrebbe dare seguito a varie esigenze: in primis ad ammodernare le infrastrutture del paese, e poi a sviluppare gli investimenti “green”. Il tutto con l’obiettivo di favorire una ripresa economica all’insegna della sostenibilità. Così si intendono saltare gli investimenti sul gas per puntare direttamente ad una maggiore elettrificazione dell’isola tramite fonti rinnovabili (il 9 luglio l’AD di Enel Starace ha smentito il ministro Cingolani, che parlava di temporanea riconversione delle centrali a carbone col gas).
La letteratura liberale invece ci insegna che, storicamente, dopo una crisi globale, ogni qualvolta gli Stati intervengono massicciamente nell’economia con l’obiettivo di rilanciarla, finiscono pure per generare nuove problematiche di non facile soluzione, di cui a farne le spese saranno imprese e contribuenti. Nel caso di specie, le velleità “green” del governo rischiano di arrecare alla Sardegna numerosi blackout elettrici (come già sta avvenendo in altre località internazionali che hanno tentato un salto poco ponderato verso il futuro, data l’inadeguatezza delle batterie attuali). Generando inoltre chilometri di ferraglia (dovuta ad impianti eolici e solari) che potrebbero rapidamente rivelarsi tecnologicamente inadeguati, e che lo Stato non dismetterà, scaricando sulle comunità locali i costi di bonifica. Nonché flessione occupazionale, mascherata da opportunità occupazionale. E tutto ciò, badate bene, verrebbe promosso dal fatto che il governo ha necessità di giustificare in UE l’uso (o forse lo sperpero) di denaro pubblico, che senza una ferrea tabella di marcia non verrebbe erogato.
- La terza riguarda la pianificazione di Terna, ed è l’obiettivo concreto su cui la nostra Regione, a partire dal presidente Solinas e dall’assessore all’industria Anita Pili, dovrà impegnarsi. Dico Terna perché il suo ruolo di “provider elettrico”, che si occupa di garantire una stabile distribuzione in rete dell’energia elettrica, ne deve fare, sul piano politico, il nostro interlocutore principale. Infatti, a prescindere dalle decisioni del governo o dalla natura degli investimenti di Enel, sarà sempre e solo Terna a dover garantire ai sardi un’adeguata erogazione del fabbisogno elettrico civile ed industriale. E sappiamo che oggi questo ruolo verrà espletato tramite il Thyrrenian link. Un progetto che però, come ricorda Confindustria Sardegna, dovrebbe vedere la luce non prima del 2027. Ed è a questo punto che possiamo azzardare una serie di conclusioni: 1) la svolta “green” sta più nella carta che nella realtà degli eventi. Verosimilmente la stabilità della rete deriverà unicamente dalla miglior connessione della Sardegna alla rete della penisola (tramite gli eletrodotti Thyrrenian + Sapei); 2) l’uso di centrali a carbone sarà prorogato sino al completamento di tale connessione, in modo da evitare dei blackout (ma ciò non ci risparmierebbe comunque dall’invasione di milioni di tonnellate di rotori eolici e pannelli solari); 3) stante l’impossibilità di effettuare o attirare nuovi investimenti per diversificare meglio l’economia sarda, che richiederebbero ingenti e ultradecennali riforme del fisco, della burocrazia e della formazione dei sardi, in ragione del peso demografico e turistico, è presumibile che per il 2030 l’isola continuerà a consumare tra gli 8 e i 10 terawatt di energia; 4) la Sardegna diventerà una piattaforma privilegiata di studio per le fonti rinnovabili, ma non avrà alcun particolare primato, in quanto una totale dipendenza dalle rinnovabili non arriverà comunque prima di un avanzamento tecnologico che finirà per riguardare tutta la penisola. L’unica differenza risiede nel vago sapore coloniale della scelta governativa: la Sardegna è un territorio scarsamente popolato e produttivo, e dunque, come alcune località del terzo mondo, può essere destinabile ad esperimenti di sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’accumulo di energia prodotta, senza arrecare danni al tessuto economico principale del Paese che li ha promossi. Gli effetti collaterali infatti, come dei potenziali blackout, saranno esclusivamente a carico delle piccole imprese e degli abitanti locali; 5) improbabile poi la tesi complottista sostenuta dal quotidiano L’Unione Sarda, secondo cui la nostra produzione di energia da fonti rinnovabili verrebbe destinata al polo siciliano di generazione dell’idrogeno, considerando che ad oggi non esiste una tecnologia per sviluppare in termini apprezzabili tale processo.
- La quarta riguarda la cultura politica ed amministrativa italiana, connotata dall’assenza più totale di certezze, sia nel diritto che nella sostanza. Ossia, l’Italia è un paese che cambia opinione su tutto e tutti anche in tempi molto rapidi, e non è dunque possibile sviluppare in sicurezza alcuna riflessione, né determinati investimenti. Tutte le conclusioni precedenti che abbiamo illustrato potrebbero essere soggette ad ulteriori mutamenti, anche a seconda delle future maggioranze che arriveranno a Palazzo Chigi. E non è dunque dato sapere in quali termini potrebbe svilupparsi la transizione energetica dell’isola. Il metano pare rapidamente uscire di scena, ma potrebbe rientrare dalla finestra (o comunque conservando progetti e investimenti sino ad oggi effettuati). Beninteso: non vogliamo paragonarci alla Germania, prima potenza industriale d’Europa che sta investendo il suo futuro tanto nel metano quanto nelle rinnovabili, ma è altrettanto evidente che il campo su cui si svilupperà la partita energetica rimarrà sempre e solo politico. La Regione dovrà decidere se piegarsi alle sole decisioni romane, sempre mutevoli, oppure se sostenere con coraggio una diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico della Sardegna con l’obiettivo di far crescere in misura non assistenziale la nostra economia. Non so se il PSD’AZ saprà difendere questa linea, o se si sdraierà sulle volontà romane, ma è certo che un PNS, un Partito Nazionale Sardo, a questo dilemma avrebbe scelto una “soluzione tedesca”.
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U.R.N. Sardinnya ONLINE