Mafia sarda o maldestro nazionalismo sardo?

In pochi hanno commentato gli arresti eccellenti da parte del ROS effettuati in Sardegna per il reato di “associazione mafiosa” e affini.

Alcuni continuano a ripetere che nell’isola “la mafia non esiste”, ma vorrei ricordare due fatti.

Il primo è che, non troppi anni fa, in diversi comuni sardi iniziarono ad andare a fuoco dei mezzi per la raccolta differenziata dei rifiuti, e cosa si scoprì?

Che si trattava di attentati incendiari organizzati da una banda sarda, la quale intimidiva le ditte esterne all’isola che si presentavano ai bandi di appalto locali con prezzi più bassi di quelli proposti da questi sardi. In tal modo allontanavano i concorrenti e pilotavano gli appalti a proprio favore, anche con la compiacenza di alcuni colletti bianchi. Tutti scoperti e arrestati.

Perché vi ho raccontato questa storia? Perché il sodalizio criminale riteneva che le ditte esterne “rubassero il lavoro ai sardi”. Ma in realtà la banda rubava ai sardi stessi. Come? Facendo indirettamente pagare una TARI più alta ai cittadini dei comuni in cui questi signori ottenevano l’appalto.
Insomma, un fenomeno 100% “made in Sardinia”, e sconnesso dalle note inchieste per riciclaggio nel settore turistico-immobiliare presenti nelle coste, con infiltrazioni di organizzazioni criminali non locali, peraltro già attive anche in altri ambiti, come la prostituzione.

Il secondo fatto da tenere a mente riguarda l’attualità, ossia la scia di sangue che da tempo sta devastando le campagne, e anche i centri storici di alcuni comuni dell’interno sardo. Con una serie di omicidi a danno di allevatori, trasportatori e manovali, apparentemente sconnessi l’uno dall’altro, ma verosimilmente – come suggeriscono alcune inchieste – esito di un unico filo conduttore. Quale?
Quello generato dall’ignoranza della monocultura economica, vale a dire la produzione di notevoli quantità di canapa sativa, legale, ma con un quadro normativo poco chiaro, che ha finito per ingrossare le fila del narcotraffico locale per tutte quelle produzioni considerate eccedenti i limiti imposti dalla legge, e non solo.
In un territorio economicamente depresso come quello sardo, dove il diffuso analfabetismo economico porta tanti a cercare improbabili business di successo nell’ipersussidiato settore primario, la coltivazione di canapa, unita al classico traffico di stupefacenti, è diventata una delle naturali evoluzioni della “cultura della pecora” esistente nel mondo delle campagne. Con annesse bande e regolamento di conti per il loro smercio.

I recenti arresti del ROS aggiungono a questo quadretto altri due ulteriori elementi di cui tenere conto.

Il primo è che gli arrestati, soprattutto quelli eccellenti, paiono avere il classico vizietto sardo di adorare alcuni nomi di spicco della criminalità locale, come se si trattasse di star. Dei divi del cinema con cui accompagnare le proprie serate. Pensiamo alla figura di Mesina, simbolo di un’epoca in cui banditismo e sequestri distrussero notevoli figure imprenditoriali sarde, ma moralmente supportato da tanti sardi anche nel momento in cui ha scelto di non seguire più la retta via e di proseguire in attività criminali. Una maldestra forma di nazionalismo sardo, che porta a simpatizzare (o peggio, in alcuni casi aiutare) la delinquenza. Fenomeno peraltro presente in tutto il mondo con varie sfaccettature.
C’è una famosa pellicola di Brian De Palma in cui si racconta questa dinamica, “Carlito’s way” (1993), interpretata da Al Pacino (nel ruolo di Carlito) e Sean Penn (nel ruolo dell’avvocato Kleinfeld). A un certo punto della trama, Kleinfeld, quasi senza accorgersene, abbandona la legalità e si pone sullo stesso piano di alcuni mafiosi a cui si era avvicinato, coinvolgendo pure l’innocente Carlito, che invece intendeva costruirsi un futuro onesto.

Di converso però, il secondo elemento, non meno importante dei precedenti, è che, nonostante il sistema democratico ci imponga, giustamente, di avere fiducia nella magistratura, ci ricorda pure che l’Italia è un paese in cui esiste un uso politico della giustizia. Con associazioni sindacali, di categoria, e vere e proprie correnti di potere che incrinano la necessaria divisione dei poteri dello Stato.
Ne sono prova anche in Sardegna tutte quelle inchieste che hanno rovinato carriere e vite di amministratori locali, il cui nome e le cui intercettazioni sono state date in pasto alla gogna mediatica, e che dopo anni sono stati dichiarati innocenti “perché il fatto non sussiste”. Per cui una riforma della giustizia è prioritaria.

Dunque qual è il punto di questa vicenda?

Il punto è capire qual è il confine che separa le più nocive manifestazioni del nazionalismo locale dal protagonismo di alcuni ambienti della giustizia.

Perché è proprio sulla raccolta delle prove che si stabilirà la frontiera del nuovo caso giunto alla ribalta delle cronache.

I titolari dell’inchiesta hanno lanciato nel tritacarne mediatico delle persone colpevoli di aver solamente coltivato in modo stupido delle amicizie “improprie”? Oppure queste persone sono andate oltre la semplice amicizia ed hanno chiesto “aiutini”, a degli ambienti criminali, che vanno oltre i limiti imposti dalla legge?

In questo secondo caso Carabinieri e magistratura avranno tutta la nostra ammirazione, perché in un territorio attraversato da vari problemi come il nostro, non abbiamo sicuramente bisogno di veder crescere pure la criminalità organizzata, da stroncare immediatamente.

Sino ad allora tuttavia gli indagati sono e rimarranno presunti innocenti, e in quanto tali vanno rispettati.

- Sul tema si consiglia inoltre la lettura del rapporto, sempre attuale: “La criminalità in Sardegna. Reati, autori e incidenza nel territorio”, a cura di A. Mazzette e AA.VV. (Università di Sassari, 2011).

Di Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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