Regionali sarde 2024: per chi votare?

Si avvicina la data del 25 febbraio e dunque il momento delle decisioni irrevocabili: per chi votare?

Bella domanda in un’isola falcidiata da scarsa istruzione, con una mole soffocante di pensioni, con aziende piccole a bassa produttività, che offrono salari tra i più bassi dell’occidente, a loro volta gravate da un fisco aggressivo, che a sua volta regge tanta spesa pubblica improduttiva, a fronte di un tessuto sociale devastato da scarsa natalità ed emigrazione galoppante.

Tutto questo è accompagnato da piccole lobby allergiche a innovazione e concorrenza, che si annidano pure nelle suddette imprese, più o meno sussidiate o lottizzate dalla politica, tanto nelle coste (con alberghi per lo più vecchi e fuori mercato, anche a causa di scarsi investimenti dovuti al vincolismo del PPR); quanto nelle campagne (ipersussidiate), passando per il sistema del credito. Senza scordare che puntare solamente su turismo e agricoltura, amati dalla vulgata nazionalpopolare, sarebbe un suicidio. E che dire dell’ambiente? Non solo l’eccesso di pale eoliche, ma proprio l’eccesso di vincoli ambientali ha incrementato l’abbandono della campagna, il crollo del valore fondiario, il degrado, l’incuria e gli incendi a danno del nostro paesaggio. Per non parlare di una sanità governata dalla politica, sempre più costosa per i contribuenti rispetto a servizi scarsamente tempestivi.

Dopo tutti questi straordinari risultati, in cui l’immobilismo politico ha negli anni incancrenito e accresciuto i problemi, viene proprio da pensare che coloro i quali si candidano a risolverli – quasi sempre le stesse facce – siano in realtà parte integrante del declino in atto.

Intendiamoci, non c’è un solo responsabile, né una sola compagine politica su cui puntare il dito. Da un decennio, a spingere questa corsa verso il baratro si è aggiunta una legge elettorale capace di sfornare coalizioni politiche che in qualsiasi paese civile sarebbero considerate al di fuori della decenza: abbiamo liberali apparentati con sinistre radicali, nazionalisti populisti e socialisti a braccetto con democristiani, e tanti altri orrori, come il voto disgiunto, capaci di rendere vacuo qualsiasi programma elettorale.
Pensate alla confusione dell’elettore medio, fagocitato da propagande elettorali che offrono proposte simili in schieramenti apparentemente opposti, e il cui fine ultimo, da parte della politica, non è quello di affrontare i problemi attraverso delle riforme, ma di conservare il potere. Un potere che si ricicla riproducendo i mali che caratterizzano il territorio: tanta spesa pubblica per tamponare le varie crisi sociali e di settore, ma scarsa produzione di ricchezza dovuta all’assenza di riforme.

L’unico aspetto positivo è che, tra una scopiazzatura reciproca e l’altra, alcuni candidati di destra e sinistra sono riusciti a parlare del nostro nanismo aziendale, della scarsa formazione del nostro capitale umano, come ha ben fatto Alessandra Todde; della necessità di ridurre (ma non di cancellare del tutto) il Piano Paesaggistico Regionale, come ha ben proposto Paolo Truzzu; e, tra i vari temi, anche di ridurre l’inquinamento politico della sanità, o la promozione del plurilinguismo, come ha ben detto Renato Soru.
L’impressione tuttavia è che vengano semplicemente ripetuti degli slogan senza una valida comprensione degli stessi. Basti osservare numerosi candidati consigliere che accompagnano gli aspiranti governatori, 1400 per un Consiglio Regionale di appena 60 posti, denotando una qualità delle candidature sempre più bassa rispetto al passato.

Per esempio, quanti candidati consigliere conoscono o saprebbero argomentare l’art. 8 dello Statuto regionale in materia di fiscalità ed entrate? Quanti hanno compreso che la bassa produttività aziendale viene generata sia dalla scarsa formazione degli imprenditori e dei loro dipendenti, e sia dall’ingombrante presenza del fisco e di altre iatture burocratiche? Quanti hanno compreso che i redditi sempre più bassi, al di sotto dell’andamento dell’inflazione, sono il prodotto di questa scarsa produttività? Non molti temo, tra i pochi si salva il piccolo PLI (Partito Liberale Italiano guidato da Sorcinelli). E non manca quindi l’insana moda, o se preferite “cultura politica”, di rivolgersi ai trasferimenti pubblici per coprire le falle della nostra bassa competitività.

Vi è poi infine il nodo della politica estera.

Alcuni lettori potrebbero obiettare che le Regioni non si occupano di questa materia, spettante allo Stato centrale. Ma bisogna tenere conto che l’isola si trova al centro del Mediterraneo occidentale, che ospita uno dei maggiori stabilimenti petrolchimici dell’area (la Saras, in fase di acquisizione da parte degli olandesi di Vitol), il che ci rende sensibili agli accadimenti geopolitici e di approvvigionamento energetico fondamentali per l’Europa. Inoltre, la Sardegna ospita la più grande presenza di demanio militare, in termini di basi e poligoni, di tutta la Repubblica Italiana, con le relative implicazioni locali ed internazionali conseguenti all’appartenenza alla NATO.
NATO che nel bene e nel male, nonostante la necessità di ridurre l’estensione del nostro demanio militare, garantisce la nostra sicurezza rispetto ad una sponda africana instabile, e ad imperialismi aggressivi dell’est come quelli asiatici. Un posizionamento preciso nell’ordine internazionale che un’isola autonoma, o persino una futura ipotetica Sardegna indipendente, non dovranno mai perdere.

Sotto questo profilo, se osserviamo tutti i candidati governatore: Paolo Truzzu, Alessandra Todde, Renato Soru e Lucia Chessa, notiamo, per esempio, che nessuno di loro si trova libero da influenze ambigue in materia di politica estera. Pensiamo alle posizioni della Lega sulla Russia, oggi alleata di governo coi Fratelli d’Italia di Truzzu; o pensiamo al voto parlamentare dei 5 Stelle contro gli aiuti militari all’Ucraina (di cui Todde è primaria esponente), oppure ancora alla presenza di “Liberu”, movimento indipendentista di sinistra radicale, anti-NATO e filorusso, che accompagna la candidatura di Renato Soru. O pensiamo alla candidatura di Lucia Chessa dei RossoMori, che da un lato auspica uno stop all’invio di armi in Ucraina, ma nulla dice circa l’invio di risorse iraniane ai terroristi di Hamas.
E badate bene, questo ragionamento non riguarda unicamente la tutela dei nostri interessi, sardi e italiani, ma anche la scala di valori (democratici) espressa dai nostri candidati.

Insomma, per ogni liberaldemocratico, riformista ed autonomista sardo, il panorama politico locale appare come un ginepraio difficilmente idoneo ad affrontare problemi cronici di estrema gravità, che richiedono pesanti (e in parte impopolari) riforme.

Dopo queste elezioni, sarà forse il caso di iniziare a ragionare su una seria piattaforma programmatica per spingere nuove proposte?

Buon lavoro a tutti e che vinca il migliore!

Di Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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