I signori del vento e i Saccargia boys

Venti di tempesta in Sardegna sulla vicenda dell’invasione di pale eoliche, o presunta tale.

Come al solito, il rumore delle polemiche ha finito per sovrastare ogni serio ragionamento sulla transizione energetica nell’isola, lasciando campo libero ad una polarizzazione delle posizioni sulla linea da portare avanti.

E per capire quale linea portare avanti bisogna prima comprendere qual è il terreno di gioco e quali sono i principali contendenti in campo.

Osserviamo tre elementi essenziali di cui tenere conto.

1) La motivazione: la Sardegna, volente o nolente, è chiamata ad offrire il suo contributo all’adozione di politiche e infrastrutture più green. Ciò in quanto da un lato si intendono sviluppare le rinnovabili per ridurre le emissioni nocive globali, dall’altro si intende abbattere la dipendenza energetica da potenze internazionali ostili, come la Russia (traguardo in parte già raggiunto con terze soluzioni). Questi due elementi motivarono l’allora esecutivo Draghi, in linea con i programmi UE, ad intraprendere il famoso decreto che oggi sta producendo sia conseguenze positive che negative nell’isola nell’ambito della transizione energetica.

2) La realtà: A differenza di quanto affermato da vari ecopaesaggisti, giornalisti e indipendentisti sardi, gli investimenti in eolico sul mercato nel corso degli ultimi anni sono notevolmente calati. Il rapporto Annual financing and investment trends evidenzia che il volume di liquidità dedicato al settore è stato addirittura dimezzato a cavallo tra 2021 e 2022. Si è passati da 41 a 17 miliardi di euro l’anno. Mentre appare ben lontana la possibilità che l’UE soddisfi i suoi piani supportando la costruzione di almeno 31 GW di turbine eoliche ogni anno. Ricordiamoci inoltre che il piano RePowerEU, che ha come traguardo il 2027, nel suo impegno di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico, ha in prima istanza puntato sul gas più che sulle sole energie rinnovabili. Mentre al contempo l’impegno dei sussidi pubblici al settore, notevolmente ridotto, appare meno orientato del passato ad alimentare spregiudicate speculazioni come quelle osservate in Sardegna circa dieci anni fa (si pensi, tra le varie, al caso del fotovoltaico di Narbolia).
Non è dunque in solitaria il “malvagio mercato” ad alimentare le centinaia di richieste di turbine eoliche in Sardegna, ma un mix di fattori, soprattutto politici e burocratici, che hanno determinato una convergenza di interesse verso vaste aree dell’isola.
A fine 2023 la Sardegna è solamente al quinto posto in Italia per potenza eolica installata, pari a 1.186 MW, ben lontana dal podio occupato dalla Puglia, con ben 3.107 MW di potenza installati (Fonte: QualEnergia su dati Gaudi-Terna, 02-02-2024).

3) La necessità: Come ben riassunto dal giornalista Vito Biolchini, i sardi hanno necessità di discutere seriamente sugli aspetti della nostra transizione energetica. Perché se da un lato è ovviamente improprio impiantare pale eoliche nello skyline del complesso della basilica di Saccargia, monumento di interesse culturale prima che religioso; dall’altro non ci sono serie ragioni per impedire investimenti eolici in aree più idonee, tra cui al largo delle coste marittime. O in tutti quei terreni in cui dei privati devono poter esercitare il diritto di decidere come investire nella loro proprietà.
Come già noto a tutti, la battaglia dei prossimi mesi e anni verterà tutta sull’ubicazione delle torri eoliche, e in questo l’attivismo indipendentista potrebbe dare un contributo importante ma più costruttivo del presente. Perché? Perché per quanto si possa criticare Biolchini per il suo legittimo supporto alla giunta Todde, ha assolutamente ragione quando afferma che l’ingenuità folk-ribellista degli indipendentisti si sta facendo dettare l’agenda dalla linea populista intrapresa in materia dal quotidiano L’Unione Sarda.
Bisogna inoltre ammettere che la manifestazione di Saccargia contro la speculazione energetica è stata un discreto flop, per di più egemonizzata dai soliti groppuscoli di sinistra radicale, ormai con più capelli bianchi che giovani.
Lo dico con stima di tanti amici indipendentisti che vi hanno partecipato e invito anche Renato Soru, che vi ha preso parte, a non marginalizzare la propria proposta politica in tali termini.

Ciò premesso, è del tutto legittimo che L’Unione Sarda, o meglio, l’editore Sergio Zuncheddu, tuteli i propri interessi e conduca la sua opposizione al potere della giunta Todde, i cui provvedimenti sul tema appaiono blandi e retorici. Ma non mi ritrovo nelle modalità utilizzate da Zuncheddu per portare avanti le sue battaglie, come ad esempio quella di espandere il populismo giornalistico di Mauro Pili come strumento per aizzare lo sdegno collettivo.
Ho condiviso Pili al periodo del progetto Galsi, metanodotto Algeria-Sardegna mai realizzato, poiché pensare di sostituire repentinamente e integralmente le fonti fossili con sole rinnovabili è un’idea che appartiene più al mondo della fantascienza che della realtà. Ma non trovo per nulla utile polarizzare gli animi sul tema della transizione energetica, perché rischiamo di accumulare ritardi al riguardo rispetto ad altre regioni italiane ed europee.

Ricordo infine altri tre aspetti, più volte riportati in questo spazio:

A) I movimenti indipendentisti, benché non ostili alle rinnovabili come strumento di tutela ambientale, sono stati anche in prima fila nel promuovere e proteggere una rigida normativa urbanistico-paesaggistica, che ha contribuito (tra i vari motivi, attenzione) allo spopolamento di vaste aree dell’isola, rese totalmente estranee alla capacità di attirare investimenti. Circostanza che ha consentito al governo centrale di lasciare campo libero alla speculazione in materia di rinnovabili nel territorio. E che ha di fatto obbligato i proprietari di vari terreni ad orientarsi nell’accettare investimenti in energie rinnovabili come unico strumento per monetizzare fondi rurali altrimenti abbandonati ad incuria e incendi.
B) I movimenti indipendentisti si lamentano della scarsa reattività delle giunte regionali sul tema, ma non hanno mai lavorato per una riforma dello Statuto regionale, i cui contenuti avrebbero anche potuto riguardare questa materia.
Talvolta si parla di “riforma dello Statuto”, ma poi non si hanno chiari né il perché né il come si dovrebbe fare. La sovranità tuttavia non si conquista con gli slogan, ma con i contenuti.
C) Bisogna smetterla di ripetere la fesseria secondo cui la Sardegna “produce già più energia di quella che utilizza”.
Qualsiasi paese dotato di infrastrutture energetiche esporta energia, che nel mercato è semplicemente una “merce”. La Svizzera produce ed esporta più energia di quella che consuma, idem la Francia, la Russia, gli USA, ecc.
Una maggiore disponibilità di energia serve sia a garantire la crescita del tessuto produttivo locale, sia, appunto, all’export, a vantaggio dei produttori.
Ma è chiaro che ad un maggior peso in termini di servitù, sopportato dalle comunità locali, dovrebbe corrispondere un adeguato ritorno economico.

Riflettere per deliberare.

Di Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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