Dalla Sanità alle mancette

In Sardegna ogni 5 anni facciamo una “riforma” della Sanità.

Il risultato?

Costi sempre più alti per i contribuenti a fronte di servizi sempre più scadenti.

Apprendo da Daniela Falconi (ANCI) che due giorni fa c’è stato un nuovo incontro regionale sul tema.

L’impressione è che la politica regionale ciurli nel manico aggirando i problemi di fondo.

E i problemi di fondo sono due, comuni a quasi tutta Italia (altro che riformicchie):

1) mancanza di personale, sia nell’assistenza territoriale che ospedaliera (un fallimento della politica, che non ha saputo programmare uscite e ingressi in un paese a prevalente sanità pubblica);

2) costi sempre più alti al sud rispetto alle Regioni del nord. Da noi una degenza ha un ingiustificato costo superiore rispetto a territori dalla performance migliore (altro problema generato dalla politica, cioè da quelli che vorrebbero “risolvere i problemi”).

La Fondazione Gimbe prevede che la situazione peggiorerà. Per esempio, altri medici di famiglia andranno in pensione più rapidamente della capacità del nostro sistema formativo di produrre nuovi professionisti.

Inoltre, spesso e volentieri non si dice che i nuovi medici non intendono affatto lavorare nei piccoli paesi dell’interno.
Chi può, scappa nei centri maggiori.

Come si risolve un problema del genere in un paese privo di una forte sanità privata?

Semplice: bisogna pagare di più i medici e attirarli anche dall’estero.

È l’unico capitolo di spesa pubblica nella sanità che (dovrebbero) affrontare.

Purtroppo il centralismo di Stato, imperniato sul dogma dell’eguaglianza salariale, limita questa possibilità.

Perché in parte, ma solo in parte, si è fatto. Per esempio nei Pronto soccorso sardi sono già all’opera medici sudamericani (e che al momento hanno dimostrato competenza rispetto ai nostri standard).
Ovviamente non è sufficiente.
E certamente, al posto di sperperare denaro pubblico in inutili riforme, sarebbe opportuno orientare gli sforzi su queste maggiori criticità.

Il futuro è inevitabile, per rendere sostenibile il sistema bisognerà iniziare a parlare di “sistema misto”, introducendo polizze assicurative per i redditi che potranno permetterselo. L’alternativa sarebbe fare la fine di Cuba, con un’assistenza da terzo mondo, più formale che sostanziale.

Nel frattempo in Sardegna abbiamo avuto un atto (speriamo non solo) simbolico.

Felice Corda, nuorese DOC, ha denunciato diversi consiglieri regionali per la “legge mancia”.

In pratica, il cittadino-contribuente lamenta il fatto che i soldi delle sue tasse finiscono (per una percentuale) a pagare le mancette dei politici, quelle relative alla suddetta legge.

Ossia, senza bando e senza alcun controllo, il Consiglio Regionale, e in questo caso diversi nomi illustri di centrosinistra, si spartiscono dei soldi pubblici per consegnarli a Comuni, enti e associazioni di fiducia, in modo totalmente discrezionale.

Non sappiamo se la denuncia avrà un qualche seguito giuridico, ma auguriamoci che in una terra devastata dall’assistenzialismo e dall’assenza di trasparenza ciò possa creare qualche dibattito sull’uso dei soldi pubblici.

L’atto di Felice Corda è politicamente più rivoluzionario e liberale di tanti chiacchieroni che sostengono di promuovere il cambiamento, ma nei fatti non fanno assolutamente niente.

Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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