Chi di eolico ferisce, di autonomia perisce
Il ministro Calderoli ha avviato l’impugnazione della legge sulle aree idonee all’eolico della governatrice Alessandra Todde; l’anno scorso però quest’ultima si è opposta alla riforma Calderoli sull’Autonomia differenziata, promuovendo il ricorso della Sardegna, assieme a Toscana, Puglia e Campania contro il diritto costituzionale delle Regioni del nord ad ampliare i propri poteri.
Sconcerto nel frattempo dal più grande movimento reazionario e NIMBY nella storia della Sardegna, quello contro lo sviluppo di energie rinnovabili, solo in parte sinceramente interessato a preservare l’isola da una poco oculata proliferazione di pale eoliche.
Ma andiamo con ordine sui diversi argomenti, apparentemente slegati l’uno dall’altro, ma che in realtà esprimono la china assunta dall’isola sull’incapacità di invertire la rotta del declino.
Iniziamo con due fatti:
Il primo.
Lo scorso settembre è emerso che la Sardegna avrebbe il record di emissioni di gas serra per abitante (12,11 tonnellate). Di converso, gli ambientalisti del GrIG, financo l’ex sardista Paolo Maninchedda, si sono ingegnati nello spiegarci che, invece, in relazione all’estensione territoriale, una regione come la Lombardia avrebbe emissioni maggiori. Considerando inoltre il fatto che una percentuale dell’energia prodotta in Sardegna finisce esportata verso altre regioni, tra cui la Lombardia.
Il punto però non è che una regione di peso inquini di più di quella sarda, il loro gioco delle tre carte infatti ignora altri dati fattuali: anche la Lombardia e anche altre regioni italiane esportano energia, e pure verso la Sardegna. È sufficiente osservare i dati Terna sullo scambio interno per comprendere l’entità del volume di trasmissioni energetiche tra regioni, sia come scambio fisico che come scambio commerciale (binari non necessariamente coincidenti),
[dati.terna.it/trasmissione#scambio-commerciale-interno].
Fatta questa breve premessa, abbiamo tre ovvie considerazioni, ma del tutto ignorate dalla nostra classe politica di maggioranza e opposizione: A) La Sardegna inquina di più nel dato pro-capite perché possiede centrali obsolete, siamo cioè meno produttivi e meno competitivi di regioni che hanno tessuti aziendali ben maggiori della nostra isola. B) L’isola dovrebbe dunque diversificare le fonti energetiche e aggiornare le proprie capacità produttive ammodernando le proprie centrali. Per esempio investendo sul ciclo produttivo, per esempio limitando il carbone, per esempio accrescendo la quota del gas rispetto a quella petrolifera, per esempio implementando le energie rinnovabili e introducendo persino il nucleare. Una cosa non esclude le altre e viceversa, malgrado appaiano difficili da attuare. C) In Sardegna, a causa di una scarsa cultura liberale ed un diffuso paternalismo socialista, politici e intellettuali non riescono ad uscire dalla tara di non capire che l’energia è una merce come altre. Non può esistere un mercato autarchico dell’energia, né si può consumare il 100% dell’energia prodotta in loco, perché come in qualsiasi libero mercato bisogna esportarne una percentuale. Forse la piccola ma produttiva Svizzera consuma nel proprio mercato interno tutta l’energia nucleare prodotta? Ovviamente no.
Il secondo.
Il prezzo dell’energia è maggiore nei mercati che diversificano meno le proprie fonti produttive e/o che non dispongono di cospicui giacimenti di materie prime a disposizione. Viceversa, un’ampia disponibilità di energia a basso prezzo costituisce uno dei volani per il benessere economico, in quanto rende appetibili gli investimenti delle aziende.
Ecco perché la Cina ha un prezzo dell’energia inferiore alla Germania, e soprattutto all’Italia. Pechino ha investito in tutte le principali fonti energetiche, sia tradizionali che rinnovabili, nucleare incluso. Mentre la Germania ha rinunciato al nucleare puntando sulle rinnovabili, col risultato, per tenere in piedi la propria economia, di dover fare un ricorso massiccio all’inquinante carbone, poiché le rinnovabili (da sole, a tecnologie correnti), non possono compensare il 100% del fabbisogno richiesto per usi civili e industriali. Negli ultimi anni i fatti hanno demolito le idee degli ecologisti più radicali in materia.
L’Italia dal canto suo ha rinunciato al nucleare e non ha sviluppato ancora adeguatamente neppure il settore delle rinnovabili, col risultato di dover importare dall’estero un’ampia fetta dell’energia utile al proprio fabbisogno interno, [corriere.it/economia/consumi/23_dicembre_11/energia-italia-ultima-prezzi-cina-li-abbatte-ma-bomba-ecologica-382e0cbc-97f3-11ee-b6b4-ebf3d7fed83d.shtml].
La Sardegna è una delle aree più arretrate dell’Occidente in questo senso: perché da un lato ha rinunciato al nucleare, mentre dall’altro intende rinunciare, per ragioni populistiche, anche alle rinnovabili, senza considerare che serve un mix equilibrato di varie fonti per poter abbattere il costo dell’elettricità a cittadini e imprese.
Esposte dunque queste ragioni, torniamo al punto di partenza: il ministro Calderoli ha avviato un atto dovuto o voluto in Consiglio dei Ministri contro la legge sarda sulle aree idonee in cui poter installare e non installare pale eoliche?
Nel Diritto italiano i due aspetti tendono spesso a coincidere, secondo il motto per cui ai nemici le leggi si applicano, mentre per gli amici si interpretano.
Per capirlo è bene sgomberare il campo dalla confusione: secondo alcuni osservatori lo Stato ha agito sulla base del vecchio decreto Draghi in materia, che avrebbe la precedenza rispetto agli interessi della Sardegna. Mentre secondo altri osservatori, la nostra isola, semplicemente, non dispone dei poteri statutari per decidere alla pari con lo Stato.
Ci sono verità e falsità in entrambe le proposizioni: bisogna comprendere che anche lo scorso decreto Draghi non corrisponde alle Tavole della Legge ricevute da Mosé, ma tale decreto si inseriva nella più ampia e legittima necessità UE di limitare il ricatto della Russia di Putin, la quale offrì gas a basso prezzo pur di mandare avanti la propria politica imperiale, spingendo infine anche l’Italia verso una inevitabile diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico.
Tecnicamente, l’isola, priva di sovranità, deve sottostare alle direttive UE, recepite e adottate a sua volta dalla Repubblica Italiana, secondo la gerarchia delle fonti statuita dalla Costituzione e dai trattati europei.
E sempre tecnicamente, occorre domandarsi: a Cagliari, quando la presidente Todde ha varato la legge regionale in materia, si è tenuto conto che anche la nuova legge statale che ha consentito alle regioni di legiferare sulle “aree idonee” era traballante? Mi riferisco al D.M. 21/06/2024 (Decreto Aree Idonee), a dicembre scorso finito sotto la lente del Consiglio di Stato.
Inoltre, la “legge Todde” contempla forse il numero minimo di potenza richiesta alle singole regioni in concerto da UE e Stato alle comunità locali per la diversificazione delle fonti?
Se la risposta a questi due quesiti è negativa, allora probabilmente anche la legge regionale sulle aree idonee, al pari di quella sulla mitica Autonomia differenziata, presenta lacune su cui intervenire, senza però dover gettare via il bimbo con l’acqua sporca.
Per altro verso, l’isola, ed è vero, non dispone dei poteri statutari per dibattere alla pari con lo Stato: sul piano giuridico, perché nessuno (indipendentisti compresi) ha mai lavorato per una riforma dello statuto di Autonomia al fine di accrescerne diritti e doveri. E soprattutto, sul piano politico è attraversata da un movimento populistico, oggi alimentato dal gruppo editoriale guidato da Sergio Zuncheddu (L’Unione Sarda e Videolina), che non sta operando per una migliore diversificazione energetica della Sardegna, ma sta semplicemente alimentando malcontento sulle energie rinnovabili al fine di attaccare la giunta Todde. Un fenomeno che ha coinvolto anche larga parte dell’indipendentismo sardo, similmente alla dialettica dei Verdi tedeschi: a parole interessati alla tutela ambientale, ma di fatto protagonisti della tenuta del carbone come fonte fossile privilegiata per la produzione di energia elettrica.
E su quest’ultimo aspetto bisogna aprire una parentesi.
Non sappiamo se l’editore Zuncheddu intenda calarsi direttamente nell’arena politica alle prossime elezioni, ne ha tutto il diritto. Ma sarebbe opportuno incanalare il successo della sua propaganda, collimato con le oltre 200mila firme alla “legge Pratobello” per stoppare gli impianti eolici, verso politiche più costruttive.
Non sarebbe più utile contestare Todde nel merito delle mancanze della legge al posto di alimentare lo spauracchio di un’invasione di pale eoliche che non ci sarà?
Soffiare sul fuoco degli umori NIMBY è sempre un’arma a doppio taglio, perché tali umori potrebbero opporsi nel momento in cui bisognerà intraprendere seriamente un modello diversificato di approvvigionamento energetico dell’isola, senza ritrovarsi bolge urlanti ad ogni angolo.
E bisogna inoltre far in modo che la normativa sulle aree idonee vieti realmente alle aziende di inquinare con tonnellate di ferraglia che non bonificherà mai coi pochi ma specifici progetti già approvati in determinate zone dell’isola. Consentendo allo stesso tempo alle aziende di poter investire, senza ritardi od ostacoli, nelle aree individuate come ottimali per tali progetti.
Inutile poi lanciare articoli sull’idrogeno come alternativa all’eolico senza spiegare che l’idrogeno, per essere ottenuto, a differenza delle altre fonti rinnovabili, richiede ingenti quantità di energia, che attualmente in loco non possiamo produrre (proprio in ragione della mancata differenziazione energetica di cui facevo menzione).
Ha senso poi contrastare progetti come il Thyrrenian Link, potenzialmente utili nel futuro ad una nostra rinnovata industria energetica, solo in ragione di un complottismo locale fine a se stesso, o per la salvaguardia di pochi alberi d’ulivo che si potrebbero benissimo impiantare altrove? Meglio abbandonare il territorio ad incuria, disoccupazione e incendi mentre i colossi globali, affamati di energia, competono per sviluppare la propria tecnologia mentre noi stiamo con la mosca sul naso?
Forse a L’Unione Sarda pensano che il trumpismo chiuderà del tutto le porte alle rinnovabili dando nuova linfa globale alle fonti fossili tradizionali?
Non avverrà, soprattutto in un’epoca in cui, per esempio, l’industria cinese dell’auto sta ottenendo successo nell’elettrificazione della mobilità rispetto agli avversari occidentali.
E dunque Todde, in un contesto generale simile, che dovrebbe fare?
Ormai si è già arrivati allo scontro diretto con lo Stato, senza adeguati strumenti politici e giuridici per gestirlo, e si è scordato che proprio la politica è l’arte del compromesso.
Cosa abbiamo fatto noi sardi per mostrare allo Stato, o ai lombardi per esempio, che intendiamo affrancarci dalla dipendenza dai loro soldi? Perché vogliamo impedire che il settentrione italiano possa trattenere una quota maggiore del proprio positivo residuo fiscale?
E cosa abbiamo fatto per diversificare la nostra piccola industria energetica per favorire, non Mosca, ma le bollette delle nostre imprese e dei nostri cittadini senza ricatti esterni?
Come ci ha ricordato il professor Giuseppe Melis Giordano, la sfida del presente deve tenere conto della multidimensionalità dei problemi. O si uscirà dai veti contrapposti, cercando di fare squadra tra territori con interessi più o meno diversi ma coincidenti, o la battaglia per lo sviluppo sarà già persa in partenza.
Adriano Bomboi.
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