Perché gli Stati del Golfo hanno ritirato gli ambasciatori dal Qatar
Alcuni mesi fa, prima della crisi di Gaza e in pieno conflitto siriano, il Bahrein, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti hanno ritirato i propri ambasciatori da Doha, la capitale del Qatar. I motivi sono molteplici, secondo quanto riportato da Al Arabiya, il Qatar avrebbe infranto gli accordi di non ingerenza negli affari interni dei Paesi della regione stabiliti dal Gulf Cooperation Council (GCC). Ma soprattutto sarebbero nate due grandi violazioni: la prima è che Doha continua a finanziare l’Ikhwan, ovvero – non le storiche – ma le attuali milizie della Fratellanza Musulmana, oggi sparse fra Egitto e Gaza, in particolare la Fratellanza ostacolata al Cairo dal Generale Al Sisi, e quella dei palestinesi di Hamas, ostacolati da Israele. Pilotandone le strategie. Ciò avverrebbe attraverso una serie di concessionarie commerciali riconducibili a tali organizzazioni. La seconda è che Doha avrebbe avviato una struttura di controspionaggio nel Golfo alleandosi con la Turchia. Ankara infatti rappresenta uno dei maggiori baluardi della Fratellanza nella regione. Questa linea di fatto incrina ulteriormente l’equilibrio scaturito dopo la fine della guerra del Golfo, quando gli USA riconsegnarono la sovranità al Kuwait invaso dall’Iraq. Doha diventerebbe così la prima alleata dell’Iran, dei libanesi di Hizb’Allah e del difficoltoso regime siriano di Assad. Mentre secondo quanto riportato dal New York Times, Riyadh avrebbe accusato Doha di essere parte attiva nel processo di destabilizzazione della Siria, così come già avvenuto in Libia, finanziando una feroce opposizione al regime, con il prevedibile consenso di Israele in chiave anti-iraniana. Eppure proprio i sauditi sarebbero i primi sponsor della ribellione verso Assad, ed appare chiaro quanto ormai diverse monarchie del Golfo supportano i gruppi più disparati per estendere la propria influenza nell’area. In questi termini in Siria vi sarebbe una sorta di competizione fra Riyadh e Doha, mentre i sauditi assieme agli iraniani sarebbero maggiormente presenti nell’Iraq smobilitato dagli americani.
Secondo l’analista britannico Michael Stephens, i Paesi del Golfo vedrebbero il piccolo Qatar come un bambino capriccioso, che utilizza la sua ricchezza per intervenire negli equilibri del Medio Oriente. La nuova leadership qatariota infatti avrebbe mutato il vecchio asse di collaborazione con le monarchie saudite, rendendo ancor più difficoltosi gli assetti geopolitici in politica estera, in particolare con gli Stati Uniti. Tutte le monarchie del Golfo avrebbero concorso a fermare le primavere arabe, temendo una avanzata della democrazia e nuove ondate di proteste popolari contro il loro potere, persino nel cuore degli Emirati, dove le capitali del lusso paiono il primo deterrente ad ogni forma di dissenso interno. Il ritiro degli ambasciatori da Doha ha immediatamente creato un crollo del 3% sui mercati azionari del Paese. Seguiremo gli sviluppi della situazione, anche alla luce degli investimenti del Qatar in Sardegna.
Adriano Bomboi.
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