Politica stracciona: dibattiti e riforme inutili mentre il Paese muore di fisco e burocrazia

Di Adriano Bomboi.

La qualità e la struttura delle istituzioni può agevolare l’economia, ma solo nella misura in cui garantiscano la libertà senza ostacolare il mercato. Al contrario, in Italia la corruzione ha toccato livelli record, e né la classe dirigente, né i giovani, i più direttamente interessati dalla crisi, sembrano rendersi conto della natura dei problemi. Il ceto medio è tartassato dal fisco, secondo le stime di Confcommercio nell’ultimo anno si è arrivati al 53,2% di tasse. Tasse che servono a garantire sacche di privilegi, a rendere inefficienti servizi che affondano le loro radici nel clientelismo e nella lottizzazione politica, mentre le piccole partite IVA mandano avanti un Paese disorganizzato e vicino al collasso. Le vere riforme federali non sono mai state avviate, la vecchia e grossolana riforma del Titolo V° della Costituzione è servita unicamente ad aumentare il potere dei partiti centralisti nelle Regioni, perché l’assenza di un federalismo competitivo ha permesso la deresponsabilizzazione nella gestione delle finanze pubbliche, che sono così state predate nei benefit più vari possibili. I giovani si trovano in una posizione controversa rispetto a questa situazione: da una parte non intendono più svolgere determinati lavori manuali in loco (salvo poi emigrare per farne di peggiori altrove, dequalificati), dall’altra non hanno capacità di investire, ma sopratutto sono impediti a farlo dallo Stato, che con la sua burocrazia e la sua pressione fiscale scoraggia in partenza qualsiasi tentativo di mettersi in proprio. Ormai dilaga la moda del pubblico impiego, dove si finge di lavorare e non ci si rende conto di disporre, come parassiti, delle risorse di chi lavora onestamente. A ciò dobbiamo sommare una Pubblica Istruzione che non forma i cittadini al valore aggiunto del proprio territorio, rendendoli così completamente incapaci di identificare ogni minima possibilità di investimento. Pensiamo al caso Sardo, dove storia e lingua Sarda sono i più grandi assenti dell’Istruzione italiana nell’isola. Se un territorio denso di reperti archeologici – in rapporto alla popolazione – ha più avvocati che archeologi o addetti nel settore ricettivo, allora c’è qualcosa che non funziona.
In particolare, la Sardegna sconta un P.I.L. di cui oltre la metà è prodotto dal settore pubblico, in un contesto simile è chiaramente impossibile produrre ricchezza, perché il pubblico consuma più di quanto il privato riesca a creare. Ciò nonostante persino molti indipendentisti non si rendono conto che la ricetta liberale è l’unica auspicabile per spazzare via una classe dirigente che a Roma parla di processi con minorenni, di salvare quotidiani fuori mercato come L’Unità, del numero dei Parlamentari e di altre inutili amenità. E’ chiaro che la Repubblica deve snellire la sua rappresentanza, ma l’aspetto grave è che il tentativo di ridurre la rappresentanza ha l’aria di volersi trasformare in una nuova ondata centralista a scapito degli enti territoriali e quindi della democrazia. Infatti, la ricca classe politica non solo non ha avviato le riforme federali necessarie a rendere più competitivo il Paese, non solo non sta riducendo seriamente le tasse, e non solo non sta tagliando le spese della Pubblica Amministrazione e la burocrazia (e se tagliassimo anche gli ordini professionali?), ma sta tentando nuovamente di accentrare a Roma ogni minima competenza della sovranità, oggi debolmente assegnata al regionalismo.
In Inghilterra il governo Cameron è riuscito a tagliare la spesa licenziando ben 490.000 dipendenti pubblici (e portando la disoccupazione sotto al 7%, senza mandare a casa agenti e insegnanti). In Italia parlare di licenziamenti nel settore pubblico è un tabù. Ma è un tema, come sostiene anche Edward Luttwak, che un Paese con circa duemila miliardi di debito pubblico deve iniziare a considerare. Governo e Quirinale si sono resi ormai ridicoli nel sostenere riforme del tutto inutili per lo sviluppo.

La mediocrità della classe politica romana la osserviamo costantemente in Sardegna, ad esempio l’ultimo provvedimento contrario agli interessi dei Sardi è stato quello che consentirà di incrementare le attività dei poligoni militari (che hanno una presenza di oltre il 65% rispetto a tutta Italia). Lo Stato abusa del nostro territorio lasciando briciole e impedendo la spontanea affermazione di una forte classe imprenditoriale.

Ricordiamolo quando torneremo a votare, e scegliamo l’indipendenza.

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