Il liberalismo kantiano fra le basi della filosofia politica federalista

Quando Bertrand Russell vinse, nel 1950, il Premio Nobel per la letteratura, per il suo capolavoro di sintesi e di chiarezza espositiva, la Storia della filosofia occidentale, questa venne citata come una delle opere che avevano contribuito ad aggiudicare al filosofo il prestigioso premio. I grandi intellettuali contemporanei e posteriori a Russell si divisero fortemente circa la critica di questa favolosa opera, che raccolse sia enormi consensi che grandi disappunti. Uno degli uomini più importanti del XX° secolo, Albert Einstein, accolse il testo abbastanza positivamente, definendolo utile ed estremamente prezioso da un punto di vista educativo e formativo. Fra i vari, le critiche più severe arrivarono da George Steiner, che definì l’opera ”un testo molto volgare”, anche se abbastanza rappresentativo.
Un testo subisce milioni di interpretazioni, queste sono di sicuro molto soggettive, variano dal tipo di inclinazione psicologica dell’interprete e dalla sua formazione, quindi credo che Russell debba essere, prima di tutto, elogiato per il suo enorme impegno e soprattutto compreso. Infatti in una divulgazione di un certo livello si possono commettere degli errori di valutazione e questo può succedere a chiunque, anche al Nobel Russell.
Dal mio punto di vista l’opera è meravigliosa per l’enorme spirito che porta con sé, anche se devo rimproverare all’autore una grossa mancanza, quel passo dove afferma:
«Immanuel Kant (1724-1804), è considerato in genere il più grande dei filosofi moderni. Non posso esser d’accordo con questo apprezzamento, ma sarebbe stolto non riconoscere la sua grande importanza» (Ed. Tea, pag. 675).
Credo che Russell, avendo avuto il coraggio di esprimere tale considerazione nonostante il suo grande acume, non avesse pienamente compreso l’enorme grandezza dello spirito filosofico di Kant e i sistemi moderni derivati dalle sue teorie. I filosofi, molto spesso e purtroppo, vengono considerati anche dai filosofi stessi che li giudicano come delle squadre di calcio, dove l’appartenenza ad un filone di pensiero piuttosto che ad un altro ne stabilisce le simpatie. I giudizi sono sempre molto soggettivi, poiché questi derivano da formazione culturale ed appartenenza, quindi chi li esprime è fortemente condizionato dalla sua storia e dalla sua formazione psicologico-culturale. Valutare un pensatore del calibro di Kant non è certamente facile per chiunque si appresti a farlo, ma di sicuro quando si giudica una mente così ne emerge una verità assoluta: le sue idee hanno rivoluzionato il modo di fare scienza, filosofia e politica.
Un altro passo di Russell in Storia della filosofia occidentale dice: «Kant fondatore dell’Idealismo tedesco, non è politicamente importante, pur avendo scritto qualche saggio importante su argomenti politici».
Credo che questa esternazione di Russell abbia dato sfogo ad una sua libera e grossolana interpretazione, ancora peggiore dell’altra che ho citato sopra. Infatti se si legge con attenzione un testo importantissimo di Kant: «Per la pace perpetua», ci si accorge come questi rientri appieno nella variegata letteratura del liberalismo moderno.

Il liberalismo è un insieme di orientamenti, sicuramente definiti in contesti e tempi molto diversi, ma non vi è dubbio, questo ha come scopo primario far si che il singolo sviluppi la propria autonomia creativa e soprattutto la sua Indipendenza politica.
Kant è il grande filosofo dell’Illuminismo e alla domanda su che cosa fosse, citando il poeta romano Orazio, disse:
«Sapere aude, l’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di altri. Minorità da imputare a se stesso, se la causa di essa non dipende da difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e di coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da altri. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!» (da “Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?”, 1784).
In questo passaggio di Kant troviamo sia uno spirito liberale ma soprattutto un affrancamento intellettuale del singolo dagli altri e contro il paternalismo statale.
Il principio di autodeterminazione dei popoli si basa proprio su questo concetto: «Perché altri devono decidere la mia sorte?». D’altronde, l’autonomia fonda la legittimità di tali rivendicazioni sull’indipendenza di un popolo, quindi dei singoli appartenenti ad esso.
In Per la pace perpetua, la più grande opera politica di Kant scritta nel 1795, e ispirata dal lavoro del diplomatico francese Charles Irénée de Saint-Pierre, il filosofo ci suggerisce di riflettere: 1) sul fondamento della pace; 2) sul fondamento del federalismo; 3) sull’etica della convergenza e del mutuo riconoscimento dei popoli del mondo.

Oggigiorno il principio di autodeterminazione dei popoli si basa sul diritto internazionale e presuppone la distinzione di Stati indipendenti e/o interdipendenti l’uno dall’altro. In Kant troviamo profonde tracce di questa tradizione politico-giuridica. Infatti, laddove per il filosofo la natura impediva all’uomo una forte condizione etica, costoro avrebbero potuto diventare più virtuosi fondando un ordinamento politico-giuridico tale da abolire gli scontri, basato sul mutuo riconoscimento.
Va tuttavia considerato che per Kant il principio di indipendenza individuale è stato contraddistinto da numerose interpretazioni da parte di varie scuole di pensiero.

Ogni popolo, ogni uomo deve gridare a gran voce, seguendo l’insegnamento del grande filosofo, questo diritto naturale inalienabile: «Il diritto ad essere indipendenti su principi federali e condizioni di entità autonome».
Spero che tutti i Sardi possano convincersi che l’indipendenza, il federalismo e l’autonomia non sono un’utopia o una cosa che gli deve essere offerta in cambio di altre, ma bensì il diritto più forte che amalgama il cuore e l’anima di ogni uomo indipendente: la libertà di decidere la propria storia, di essere un soggetto attivo e protagonista, e non un oggetto passivo guidato da altri.
”Sapere aude”.

Dr. Luca Cretì, Filosofia e scienze dell’uomo.

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