Il Veneto oggi: parliamo di indipendentismo con Ilaria Brunelli

Di Adriano Bomboi.

Non si può negare che la schiacciante vittoria di Luca Zaia in Veneto abbia sfiduciato numerosi amici indipendentisti settentrionali, i quali contestano alla Lega Nord di essersi trasformata in un partito nazionalista italiano. Cosa ti ha spinta a dare un contributo al successo leghista nella lista Indipendenza Noi Veneto rispetto alla proposta di Alessio Morosin?

Posto che avrei auspicato un unico partito, ci sono tre motivi essenzialmente che mi hanno portato a scegliere Indipendenza Noi Veneto e derivano tutti da una analisi oggettiva della situazione veneta oggi.
Il primo: parlare ai veneti. L’indipendenza non è una semplice croce su una scheda referendaria, ma un percorso impegnativo seppur chiarissimo nel risultato da ottenere. Questa strada bisogna farla assieme a tutti i cittadini, invitandoli a seguirti senza costringerli ad un salto nel vuoto. Nell’anno 2015 un programma che contiene come unico punto il referendum non è adeguato alle esigenze dei veneti.
Perché il referendum non è l’obiettivo, ma un semplice mezzo nel percorso verso l’indipendenza. E mentre percorri questa strada devi rispondere anche alle necessità quotidiane e di medio periodo. Nella proposta di Morosin mancava quindi la sostanza che soddisfa i bisogni del Veneto di oggi e lo rassicura di aver scelto un buon amministratore.
Il secondo: offrire un’alternativa concreta. I Veneti sono un popolo pacato ed efficiente, che rifugge i toni eccessivi ed è molto pragmatico. Disperdere voti su liste diverse da Zaia significava rischiare di far vincere la Moretti e, all’animo tendenzialmente di centro-destra di questa terra, aggiungiamo una candidata molto poco convincente che spaventava l’elettore medio.
Dare un’opzione indipendentista a chi voleva Zaia vincitore era quindi la scelta più rispettosa per il sentire comune e più intelligente politicamente.
Il terzo: leggere i numeri. Luca Zaia è il governatore che i veneti amano. I numeri dell’indipendentismo oggi dicono che siamo in crescita, ma non al punto da essere una reale alternativa allo scranno di Governatore, tantomeno se sei tra due legislature di un Presidente molto amato e i risultati più che eccellenti della sua lista civica lo confermano chiaramente.
È assieme a Zaia, quindi, che ho scelto di percorrere la strada verso l’indipendenza in questo quinquennio e sono certa che se gli indipendentisti danno un segnale forte e credibile, anche al di fuori del Consiglio regionale, troveranno nel governatore un orecchio attento e un cuore sensibile all’argomento.
Più volte, parlando con i colleghi di altre liste, ho detto che la spinta che viene dal cuore (che accomuna tutti gli indipendentisti, di qualsiasi partito siano) dobbiamo convogliarla attraverso la testa, non attraverso la pancia. L’indipendentismo deve saper affrontare la situazione con meno autoreferenzialità e guardare con maggiore umiltà ai numeri che oggi muove. Che sono in crescita ma che potevano esserlo molto di più se ci fosse stata l’intelligenza di presentarsi uniti, come parte della coalizione vincente.

La situazione veneta presenta analogie con la storica tradizione autonomistica sarda, dove numerosi indipendentisti si sono trovati di fronte al bivio di leggi elettorali regionali capaci di frantumare il voto delle sigle minori. Un bivio rappresentato dal classico interrogativo: è lecito allearsi con forze politiche non indipendentiste, o, in alternativa, è preferibile lavorare ad una maggiore compattezza della galassia indipendentista?

Ad ogni momento storico la sua scelta. Nell’anno 2015 se ci fossimo presentati con un unico partito indipendentista in coalizione con Zaia, sondaggi non di parte ci davano al 7%. Significava eleggere 3 o 4 consiglieri e almeno un assessore. Significava lasciare meno seggi a Forza Italia e Fratelli d’Italia. Sicuramente significava essere una parte rilevante negli equilibri di maggioranza. Ma al posto del comune intento, hanno prevalso logiche diverse o comunque l’incapacità di sedersi attorno ad un unico tavolo e questo ci ha reso più deboli di quello che avremmo potuto essere.
Questo spero ci serva di lezione. Il mio auspicio è che questa tornata elettorale serva e insegni a noi indipendentisti ad abbassare i toni, a portare le proprie visioni con numeri e dati oggettivi e a scegliere con intelligenza la migliore tra le alternative a disposizione. E il mio impegno sarà nel favorire in qualunque maniera la coesione tra i vari gruppi e il dialogo attorno a questi tavoli. La generazione che sta crescendo la sento già pronta a questo passaggio. Perché la prossima tornata elettorale dobbiamo “fare il botto” (e non necessariamente da soli, ma necessariamente uniti!).

Una delle ragioni fondamentali dell’autonomismo sardo, ma anche catalano, risiede nella capacità di abbinare elementi nazionalistici – come la lingua – nel quadro delle più ampie rivendicazioni economiche. Ludwig Von Mises, nel saggio “Liberalismus”, riconobbe l’importanza dei fattori identitari come strumenti di rivendicazione politica. Ritieni che l’indipendentismo veneto possa sviluppare maggiori attenzioni anche attorno a questi temi?

È diversi anni che l’indipendentismo veneto pone le sue basi nella cultura. Lo fa indirettamente attraverso associazioni storiche, come ad esempio Raixe Venete – Veneto nostro, che pur mantenendo le distanze dalla politica ha fornito occasioni, materiali e sensibilizzazione riguardo l’identità veneta; o più direttamente attraverso le serate di divulgazione politica, che vedono accompagnare gli interventi su analisi economiche e futuri scenari, a relazioni su fatti storici o sul funzionamento e caratteristiche della Repubblica Serenissima.
Abbiamo la fortuna di avere una storia che, se ascoltata, fa innamorare qualsiasi veneto e quasi automaticamente lo rende indipendentista. Realizzare di essere stati ingannati dalla scuola italiana e di essere stati tenuti all’oscuro della propria storia è infatti il principale motivo di delusione e reazione nei confronti di uno Stato che ha fondato la sua nascita sulla menzogna (un po’ ovunque, dal plebiscito fasullo in Veneto ai briganti del sud).
Puntare sulla cultura e sulla conoscenza delle proprie radici rende quindi la scelta indipendentista molto più convinta, insensibile a richiami di sirene e forte di fronte a intimidazioni. Se l’indipendenza si basa sulla propria identità anziché su motivi meramente economici è più stabile, non legata ad un momento contingente di crisi e meno soggetta a cambi di direzione. La guerra infatti oggi non si fa con i fucili ma con la comunicazione e la campagna per il referendum sarà sicuramente combattuta da una decisa contro-campagna italiana che utilizzerà qualsiasi mezzo per dissuadere i veneti da questa scelta e indebolire il fronte del si. A questa “guerra” bisogna arrivare preparati e solidi.
Riassumendo: possiamo vedere la politica come un albero e la cultura come le radici. Le radici da sole rimarrebbero nascoste nel terreno, visibili a pochi e non potrebbero offrire frutti. Un albero senza radici verrebbe presto sradicato, trovando la morte. L’uno senza l’altro non hanno senso.
In questo momento in Veneto abbiamo lunghissime radici culturali ma ancora sconosciute ai più e un esile alberello politico. Se vogliamo i frutti, dobbiamo far crescere entrambi.

I residui fiscali del Veneto e della Lombardia, devoluti a favore di Regioni con diffusi fenomeni assistenzialistici, sigillano l’incapacità di riformare uno Stato Italiano dove i tax consumers (consumatori di tasse) hanno segnato un solco profondo rispetto ai ceti produttivi. Ritieni possibile una futura collaborazione tra le forze indipendentiste d’Italia per combattere questo sistema?

Io sono e sarò sempre per la collaborazione tra persone che difendono la libertà e gli indipendentisti sono i principali portabandiera di questo valore. Purtroppo in Italia il numero di “assistiti” è decisamente superiore rispetto ai produttori di ricchezza. Pensiamo banalmente al numero di regioni che godono di un disavanzo fiscale rispetto a quelle che invece lo colmano. Questo fenomeno rende evidente come l’Italia non possa autoriformarsi attraverso sé stessa, in quanto qualsiasi votazione italiana porterebbe a una vittoria di chi desidera mantenere i privilegi rispetto a chi desidera maggiore uguaglianza.
La collaborazione tra indipendentisti, quindi, attraverso reciproco sostegno, partecipazione, realizzazione di eventi, diffusione di informazioni e campagne, aiuterebbe i relativi territori ad avere la forza di proseguire sulla strada della propria affermazione e ad impostare i futuri governi evitando il più possibile gli errori italiani, come il centralismo spinto, l’iper burocrazia, la sovrabbondanza di istituzioni, il soffocamento della libera iniziativa.
Del resto.. tutti noi indipendentisti della penisola italica vogliamo offrire un futuro diverso e migliore dell’Italia ai nostri popoli, no?

PS: ho la fortuna di avere una cognata sarda che mi permette di apprezzare da vicino il vostro popolo e la mia nipotina sta crescendo con entrambe le bandiere appese al muro ed entrambe le lingue nel cuore.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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