Attentati ai piccoli amministratori? Prodotto di ignoranza ma anche di clientelismo
L’ultimo attentato intimidatorio a carico del sindaco di Desulo Gigi Littarru è solo l’ennesimo atto di vigliaccheria che porta mani anonime ad identificare nella figura dell’amministratore locale la causa dei problemi di un territorio.
Condivisibili quindi le parole del sindaco di Bortigiadas, Emiliano Deiana, nel momento in cui descrive un clima di paura a carico dei suoi colleghi che, in prospettiva, nei prossimi anni rischia di lasciare vacanti alcune poltrone di località alquanto difficili da amministrare.
Bisogna tuttavia aggiungere che tali fenomeni richiamano all’attenzione due problemi specifici che sembrano caratterizzare le comunità, come quella sarda in generale, afflitte da una insidiosa cultura assistenziale.
Potremmo infatti classificare in due categorie di soggetti gli esecutori o i mandanti di tali attacchi: i mediocri e i “clientelisti”.
I primi si aspettano da sindaci, assessori o singoli consiglieri comunali, rapide risposte a problematiche personali (legate a fattori economici) le cui origini tuttavia non rientrano nelle esclusive responsabilità degli amministratori locali ma nel generale contesto politico-economico di Stato e Regione. In questo caso, la vittima di un attentato paga in prima persona la sua diretta presenza nel territorio, identificato come causa di inefficaci risposte nei confronti delle esigenze dell’aggressore (noto o anonimo che sia). Indipendentemente dal fatto che tale amministratore disponga degli effettivi poteri per sanare le richieste di tutti i suoi stakeholder.
I secondi invece rappresentano un problema più articolato. Bisognerebbe infatti pesare sul piatto della bilancia il ruolo di amministratori la cui elezione è avvenuta tramite il ricorso ad ampie formule del voto di scambio, più banalmente clientelari, che in periodi di crisi accrescono le incapacità di tali amministratori di ripagare i propri fiduciari a cui in campagna elettorale si era promesso un qualche favore.
In questo caso l’aggressore si configura come una sorta di “giustiziere” che si vendica sulla “vittima”, l’amministratore, per non aver ottenuto la sua agognata fetta di torta. Vittima che in realtà ha acquisito un ruolo politico grazie a pratiche eticamente e/o penalmente rilevanti (il ragionamento ovviamente non vuole essere teso a giustificare il ricorso alla violenza come strumento di risoluzione del problema).
Agli inquirenti spetterà poi il compito di appurare le singole responsabilità delle singole fattispecie delittuose, indubbiamente diverse da caso a caso.
Come uscire da tale deriva? In primo luogo evitando ogni tendenza centralista che le forze politiche, in sede statale e regionale, stanno purtroppo portando avanti. Quando invece bisognerebbe riaprire una stagione di dibattiti sull’utilità del decentramento amministrativo.
In secondo luogo sarebbe opportuno avviare un processo riformistico teso a valorizzare un serio mercato non assistenziale, limitando i rubinetti della spesa pubblica, il cui sperpero di risorse non servirà affatto a tamponare anche tali fenomeni, ma al contrario a cronicizzarli. Esattamente alla stregua di un tossico posto di fronte alla tentazione di una sostanza stupefacente.
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