La verità sui progetti del Parco del Molentargius, Saline, Medau Su Cramu-Is Arenas

Di Antonello Gregorini.

La Regione Sardegna ha stanziato 15 milioni di euro per la valorizzazione ambientale del Parco di Molentargius sostanzialmente articolato in due linee strategiche:

1. il recupero e ripristino dell’originaria configurazione delle ex saline di stato, al fine di garantire una corretta gestione idraulica dei livelli e dei tenori di salinità.
(Per cui sono stati quindi previsti interventi di manutenzione degli argini, vasche e canali dell’area delle ex Saline di Molentargius costituito dallo stagno del Bellarosa Maggiore e dalle vasche del retro litorale.)
2. La riqualificazione dell’area di Is Arenas, interessata da ampi fenomeni di abusivismo edilizio e degrado.
(Per cui si è prevista l’acquisizione di aree private al patrimonio dell’Ente e la riconversione sostenibile agli usi agricoli, di tutela naturalistica e di fruizione pubblica dell’area.)
(http://www.parcomolentargius.it/articolo.php?mid=3&sub=5&sub1=0&art=0)

Nella relazione di progetto sono gli stessi progettisti che, con trasparenza, affermano che “Siamo insomma di fronte ad un sistema naturale (in realtà artificiale – ndA)… che viene artificialmente mantenuto in vita per i valori naturali che esso esprime e che l’uomo gli riconosce in virtù della propria cultura.”
In sostanza dicono che in assenza di iniezioni continue di fondi pubblici per la manutenzione ordinaria e straordinaria il sistema non si auto-manterrà ma andrà a trasformarsi.
Per esempio il solo costo dell’energia elettrica necessaria per il pompaggio delle acque è di € 250.000/anno, senza il quale le aree umide si seccherebbero nei periodi estivi, e la somma di questi costi potrebbe non essere accettabile per la pubblica fiscalità soprattutto in presenza di uno stato di crisi ormai permanente.
I 15 milioni di euro sono stati quindi stanziati per l’implementazione di attività umane e il ripristino delle attività economiche all’interno del territorio del Parco.
Le buone intenzioni della premessa si perdono tuttavia nella concretezza della realtà. Infatti laddove tutti gli interventi sono finanziati al fine della valorizzazione delle saline, mediante il loro recupero produttivo e la sistemazione dell’edificato attualmente in disuso per finalità produttive (termalismo, ricettività diffusa, attività sportive e culturali), non si comprende come dovrebbero realizzarsi, perché è lo stesso progettista che riconosce che la valorizzazione ai fini economici e sociali è rimandata a fase successiva. Dopo i 120 miliardi di lire spesi per la bonifica, i vari milioni di euro spesi per la manutenzione annuale e il mantenimento dei dipendenti, arrivati sino al top di 35 unità, poi in parte licenziati, ora si spenderanno altri 15 milioni per ulteriori opere e monitoraggi senza che si ottengano gli obiettivi di base.
Le opere da realizzare riguardano il ripristino degli argini del Bellarosa Maggiore, delle vasche del retro litorale, la sostituzione delle idrovore. Saranno inoltre espropriati circa 120 ettari di ulteriori terreni, che integrano quelli già espropriati con il progetto della bonifica, destinati prevalentemente a costituire la rete di aree verdi che tutti conosciamo per la realizzazione del cosiddetto “parco agricolo”.
Ciò che a mio avviso è criticabile di tutta l’impostazione che si sta dando alla vicenda del Parco è che dalla sua istituzione, nel 2005, già dopo sei mesi doveva essere redatto e approvato il Piano del Parco e avviato immediatamente il ripristino delle attività produttive delle saline e il rilancio dell’agricoltura.

Ciò che è accaduto tuttavia è che la politica si è impossessata della gestione, ha creato un primo stipendificio, poi ridimensionato, e poi ha proceduto “alla giornata”, a vista, senza avere la capacità di realizzare ciò che da anni evoca come risultato ottimale.
Dato per scontato che il “pubblico” non voglia e non possa gestire lo stabilimento industriale, il tipico buon amministratore, buon padre di famiglia, avendo 15 milioni a disposizione per il rilancio delle saline, a mio avviso li userebbe come leva finanziaria per attrarre i possibili gestori interessati alla concessione secondo lo schema tipico del Partenariato Pubblico Privato. Invece non solo i privati non sono stati ricercati ma sono stati scacciati, quando un consorzio di imprenditori sardi (Lisal srl (Cadelano); Saline di Mare srl; SSC sas) ne ha chiesto la concessione e non ha avuto nemmeno risposta.
Ciò che avviene invece è che vengono fatte le manutenzioni di infrastrutture senza alcuna garanzia del riavvio dell’attività di estrazione del sale, ancora e completamente a carico della pubblica fiscalità. Lo stesso accade per quello che viene definito il “Parco Agricolo”. Si espropriano ancora le terre potenzialmente agricole, a chi forse potrebbe coltivarle, sapendo che l’amministrazione pubblica non potrà mai diventare l’imprenditore capace di creare una filiera di prodotti tipici e con il marchio del Parco. Tanto meno il pubblico potrà gestire i cosiddetti ed evocati orti urbani, se non accollandosene gli oneri di promozione e mantenimento.

Tutto ciò fin qui detto fa chiarezza sul reale futuro del Parco: il pubblico continuerà a mantenere tutto il possesso del territorio, senza avviare nessuna attività realmente funzionale agli indirizzi programmatici, ma continuando a succhiare risorse finanziarie pubbliche.
L’inversione di questa tendenza, dichiarata solo tacitamente, potrà avvenire solo quando si deciderà di affrontare seriamente i nodi del problema e cedere una parte di quella sovranità, indolente e ignava, acquisita nel 2005 con la legge istitutiva.

Forum Civico di Cagliari.

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Redazione SANATZIONE.EU

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