Qualcosa di sinistro e malvagio

Di Adriano Bomboi.

Oggi mi è capitato tra le mani un vecchio giornale, tra le pagine il titolo: “94 anni, ha sempre votato. Esempio di dovere civico”.

Lì per lì ho pensato a Socrate, l’illustre filosofo ucciso dalla democrazia per la “colpa” di aver pensato troppo.
Eh si, gli antichi greci, che di governo del popolo se ne intendevano, guardavano con sospetto alle scelte della collettività. Qualcuno ebbe a dire che si trattava di una bestia feroce da domare. Aristofane ne trasse una commedia per denunciare la demagogia di Cleone, salito al potere ingannando moltitudini di menti semplici.

“Costruisci sulla gente e costruirai sul fango”, così diversi secoli dopo disse uno smagliante Al Pacino, alias John Milton, al suo ingenuo collaboratore ne “L’avvocato del diavolo”.

Per Tocqueville l’unico sistema per arginare la mediocrità popolare consisteva nell’avvicinarla alla responsabilità del governo, annacquando la forza di quello centrale. Infatti, lui che studiò le differenze tra la rivoluzione americana e quella francese ritrovò l’antica belva a Parigi, che “in nome del popolo”, eretto a patibolo, faceva sgorgare ampi rigagnoli di sangue.

Oggi l’immonda bestia si aggira per internet, trasuda conformismo, seduce e inietta passioni sulla base di presunte cause votate al “bene comune”. Ma ogni causa è una lama a doppio taglio, il fendente penetra, l’estrazione lacera. Ed il realismo machiavellico si scontra in circostanze dove la frontiera tra il bene e il male assume connotazioni relative.
In fondo cos’era il dovere civico nella Germania del 1933? Forse quello di votare contro le ingiuste condizioni del vecchio Trattato di Versailles.

Nel secondo dopoguerra abbiamo esteso il concetto di “costituzioni rigide”. L’idea era quella di impedire a qualcuno di trasformare nuovamente delle costituzioni flessibili in anticamere di regimi autoritari. Per nostra cattiva sorte, la rigidità costituzionale ha tagliato le gambe anche al principio di autodeterminazione dei popoli. Popoli che ne inglobano altri, ridotti ad essere colonizzati in nome del “bene comune”. Mai in nome dei singoli che lo subiscono.

Nel ’53 Robert Dahl separò la pratica dall’ideale democratico, introducendo il termine di “poliarchia”. Ancor oggi brancoliamo nel buio della sfiducia. Una sfiducia che nasce dalla consapevolezza per cui non esistono uomini dotati di “onniscienza” di governo.

Eh no caro giornalista. Votare non è sempre un dovere civico. C’è causa e causa. Esiste anche il momento dell’astensione. Esiste la sospensione del giudizio perché esistono battaglie che non si devono necessariamente combattere.
E per fortuna, i giornali hanno anche una doppia vita.

Io con quella carta ci ho avvolto una teiera riposta in soffitta.

Ma per quanto possa sembrarvi bizzarro, il mio pensiero è rimasto con quell’utensile da cucina, circondato da carta intrisa di demagogia, quel magnetico potere di cui tanti si sono avvalsi, dal corrotto Cleone al presente.

Qualcosa di sinistro & malvagio.

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