Quel degrado morale, sociale ed economico della politica sarda

L’immagine del Pigliaru sorridente di fronte ai pescatori che hanno ricevuto un indennizzo per non pescare è il sintomo dei nostri tempi. Il sintomo del degrado di responsabilità della nostra classe politica, che distribuisce soldi pubblici – come se arrivassero dal cielo – per non lavorare. Le fasce tricolori applaudono, i cretini le seguono. Ma la genesi di questo suicidio arriva da lontano, mentre persino gli indipendentisti appaiono imprigionati nell’estetica di un “popolo operaio” d’altri tempi, incapaci di interpretare i mali fondamentali del territorio. Che sia il caso di varare una nuova politica indipendentista? – Di Adriano Bomboi; con interventi di Marco Bassani, Nino Loi e Andrea Nonne.

L’immagine del Pigliaru sorridente di fronte ai pescatori che hanno ricevuto un indennizzo per non pescare è il sintomo dei nostri tempi. Il sintomo del degrado di responsabilità della nostra classe politica, che distribuisce soldi pubblici – come se arrivassero dal cielo – per non lavorare. I pescatori dell’area di Capo Frasca potranno così assistere felici ai bombardamenti del poligono militare che impedisce loro di produrre. Le fasce tricolori applaudono, i cretini le seguono.

La dignità è un’altra cosa. L’economia pure: quando una comunità consuma ricchezza e cessa di produrne di nuova, non esistono artifici di bilancio che tengano. Come la morte, il fallimento è certo, tranne la data in cui accadrà.

Ma da dove arriva questa follia collettiva? La condotta suicida intrapresa dalla politica regionale ha i suoi esempi in quella statale. Delle sue origini ne offre un arguto ritratto Marco Bassani, storico delle dottrine politiche:

“La Destra (storica) era composta da persone piuttosto responsabili e sane di mente, anche se perseguì su tanti fronti politiche scellerate (la follia stava nell’unificazione, non in Sella, Ricasoli, Minghetti). Il primo punto del programma era il pareggio del bilancio. Appena fu conseguito, e annunciato nel 1876 da Marco Minghetti, costoro furono spazzati via per sempre. Da allora i politici di lingua italiana giurano su un altare di bibbie che mai e poi mai applicheranno un minimo di prudenza per quello che riguarda i conti pubblici. 140 anni di follia fiscale e di bilancio son dovuti anche a una lezione della storia mal interpretata, ma ben appresa”.

Oggi la malapianta di questa politica ha radici ovunque, persino nel sardismo e soprattutto nei suoi derivati: pensiamo alla presunta “Agenzia Sarda delle Entrate” promossa dal Partito dei Sardi. Un ente, ovviamente spesato dai contribuenti, che riscuoterà poco e nulla, sia perché lo Stato continuerà a prelevare i propri tributi senza affidare tale compito alla Regione (presunta Autonoma); sia, soprattutto, perché la sedicente Regione Autonoma non ha il potere di stabilire la natura e il volume dell’imposizione fiscale generale che grava sul territorio amministrato.

Nel frattempo sprechi e bagordi non accennano a placarsi, accade in ogni settore. Ecco un commento del sardista Nino Loi sulla manovra di salvataggio dell’aeroporto di Alghero:

“Due esempi su cento:
1) All’aerostazione ci sono più luci accese che a Milano Linate, di giorno (con il sole che imperversa sulla Riviera del Corallo); e di notte, che non fa differenza tra i due siti;
2) Sempre ad Alghero, per percorrere appena 100 metri dallo scalo dell’aereo all’aerostazione, c’è il pullman.
La giunta regionale, ora è ufficiale, ha predisposto il disegno di legge da portare in consiglio che prevede uno stanziamento di 15 milioni per ricapitalizzare e ripianare le perdite di Sogeaal, società di gestione dell’aeroporto di Alghero, ma non pensiate che sia finita perché ne serviranno almeno altri 15, di milioni, per metterla in linea di galleggiamento”.

Secondo Andrea Nonne, operatore del gruppo Mediobanca, la precaria salute economica dell’isola si agita in un quadro culturale abbastanza deprimente:

“Son sempre più convinto che il male più grave dell’economia sarda risieda nel livello del dibattito relativo alla stessa, sempre più statico, provinciale e scadente. Si continua a dare centralità a concetti che non ne hanno (consumo di prodotti sardi, agenzia delle entrate, aspettative eccessive sulle potenzialità del turismo sardo) e che in qualche caso oltrepassano la soglia del buon senso minimo (ad esempio vedendo come negativo il fatto che imprese sarde vengano acquistate da gruppi esterni). Se non cambia il livello di questo dibattito, sperare in un miglioramento della politica economica di chi ci governa è decisamente fuori luogo”.

E gli indipendentisti? Spaventosamente in ritardo su tutti i fronti ed imprigionati nell’estetica di un “popolo operaio” d’altri tempi, a cavallo tra autarchismo e protezionismo, risultano assenti da un solido progetto economico. Si limitano a riciclare isolate tematiche come quelle appena citate, dove ad approssimate analisi dei problemi che le riguardano non corrispondono adeguate proposte per la soluzione degli stessi.

Che sia il caso di varare una nuova politica indipendentista?

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