Sabino (FIU) denuncia: ‘Servizi italiani mi hanno offerto soldi’
Cristiano Sabino (FIU): “I servizi segreti italiani mi hanno offerto soldi per rinunciare alla politica”. La denuncia dell’indipendentista sardo su Facebook.
Ma perché lo Stato dovrebbe sprecare i soldi dei contribuenti per stipendiare chi non ha voti? Bufala o realtà? Una riflessione giuridica, procedurale e politica per inquadrare il caso – Di Adriano Bomboi.
Suvvia: perché lo Stato dovrebbe usare soldi pubblici per impedire a chi non ha alcun vasto seguito elettorale di fare politica?
Inoltre, pur con il massimo rispetto per l’impegno di Sabino, da cui mi separa un’altra idea di indipendentismo, dobbiamo considerare che il panorama nazionalista offre esponenti più dinamici del portavoce del FIU in questione, perché non pagarli tutti? Questa possibilità, se già posta in essere, potrebbe spiegare l’alto numero di sigle sarde restie ad una reciproca collaborazione politica.
L’opzione è verosimile ma scarsamente convincente. E anche se fosse vera, denoterebbe una sconclusionata gestione dei servizi di intelligence, incapaci di stabilire credibili livelli gerarchici nell’ordine delle priorità.
Dando per scontata l’onestà intellettuale dei nostri indipendentisti (capaci di danneggiarsi da soli senza alcun intervento occulto), non ci rimane che spostare l’argomento su altre considerazioni.
Una di queste presenta caratteri di alto rilievo: quanto affermato da Sabino configurerebbe una grave violazione dei principi democratici sanciti dalla carta costituzionale, che però proclama l’indivisibilità della Repubblica (art. 5). Tradotto in altri termini: la democrazia ci consente di promuovere una politica indipendentista, persino di amministrare in sua vece, ma non di renderne esecutivo l’obiettivo finale (al contrario, il Liechtenstein ha abolito questa contraddizione costituzionalizzando il diritto di secessione).
Ciò premesso, sappiamo che la nostra AISI, l’intelligence interna, ha tra i suoi obiettivi quello di monitorare le minacce all’integrità dello Stato, nonché di prevenirle. Neppure possiamo ignorare che – soprattutto nella gestione degli affari esteri – l’Italia ha largamente fatto uso dei soldi pubblici per questa o quella esigenza riguardante la sicurezza dei singoli e della collettività.
Altro conto però è stabilire se le modalità con cui si prefigurerebbero queste minacce (armate o democratiche) meritino un simile impiego del denaro dei contribuenti, magari finito in un cono d’ombra su cui viene esercitata la discrezionalità dei singoli funzionari di pubblica sicurezza. Quest’ultima possibilità diventa credibile perché trova legittimazione nella contraddizione costituzionale che abbiamo appena richiamato. L’esempio maggiore ci arriva dal settore della giustizia, tramite le periodiche inchieste della magistratura a carico degli indipendentisti (l’ultima ha riguardato gli indipendentisti veneti legati alla vicenda “tanko”). Mentre in Sardegna si è manifestato con un largo ed evidente abuso di pressioni e monitoraggi a carico di esponenti della sinistra indipendentista, tra cui lo stesso Sabino. Un ramo dell’indipendentismo evidentemente considerato più accline ad ipotetiche manovre eversive e dunque destinato ad avere maggiori attenzioni, a prescindere dal suo reale consenso sociale.
Difficile dunque in questo Stato trovare il giusto compromesso tra la necessità di salvaguardare la professionalità degli operatori di pubblica sicurezza, garantendo il loro lavoro (che non riguarda solo l’indipendentismo); e il diritto dei singoli cittadini di non finire vessati dall’accanimento di pochi solerti funzionari pubblici, siano essi agenti dell’AISI, della Digos o magistrati, i quali finiscono per danneggiare pure i contribuenti che spesano il loro protagonismo.
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