Sauditi accusano il Qatar: ‘sostiene il terrorismo’. Ma cosa c’è dietro?
In occidente si tende a credere che il terrorismo sia un prodotto della contesa tra sciiti e sunniti, alimentato, in particolare, dalle monarchie del Golfo, col supporto USA. Ma oggi le ragioni vanno cercate anche nella contesa tra la dinastia qatarina degli Al Thani, sunniti aperti al mondo sciita, e la tradizionale alleanza sunnita che ha la sua pietra angolare in Arabia Saudita. Uno scenario in cui è possibile rinvenire torti e ragioni da entrambe le parti – Di Adriano Bomboi.
Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Yemen ed Egitto tagliano i rapporti col Qatar, in quanto accusato di sostenere il terrorismo, tra cui quello dell’ISIS. La misura non avrebbe solo ripercussioni in ambito diplomatico ma tenderebbe a tagliare fuori da questi Paesi anche la rete di trasporti di Doha.
La mossa rientra nella classica contesa tra la famiglia reale saudita e quella qatarina per la gestione del potere nell’area del vicino oriente, e oltre. Ma siamo sicuri che il piccolo emirato sia l’epicentro di tutti i mali? Per comprendere la forza del Qatar occorre ricordare le sue principali iniziative avviate nel corso degli anni:
1) nel 1996 viene lanciata Al Jazeera, è il primo canale del Golfo ad utilizzare una comunicazione “liberale”, dando spazio anche alle problematiche sociali dell’area, con critiche alle vicine monarchie. A Dubai, nel 2003, emiratini, sauditi, kuwaitiani e anche americani risponderanno con il lancio di Al Arabiya. 2) Il Qatar ospita la più grande base militare americana dell’area. 3) Il Qatar sviluppa importanti accordi commerciali globali, in particolare statunitensi. 4) Il Qatar, a guida sunnita, non pone divieti al suffragio femminile e avvia rapporti col mondo sciita, che ha il suo epicentro in Iran.
L’insieme di questi fattori, supportati dalla ricchezza derivante dai giacimenti di gas del Paese, consente alla dinastia Al Thani di proteggersi dall’egemonia saudita nella regione e di sviluppare inedite alleanze capaci di intaccare la sfera di influenza di Riyad.
Il Qatar sostiene così gli Hizb’Allah libanesi; le primavere arabe in alcuni Stati del nord Africa, tra cui la Libia; i ribelli dello Yemen; la Fratellanza Musulmana che in Egitto si oppone alla giunta militare di Al Sisi; i palestinesi di Hamas; l’ISIS siro-iracheno nelle sue varie declinazioni (ma che avrebbe anche sponsor sauditi ed emiratini), e le rivolte sciite in Bahrein.
Qual è la posta in gioco nella regione? Non solo dunque la classica contesa tra sciiti e sunniti, ma la lotta per il potere tra un’alleanza sunnita capitanata dalle vecchie dinastie del Golfo contro la piccola ma potente e dinamica dinastia degli Al Thani del Qatar. I quali ritengono opportuno smembrare gli equilibri di potere su cui per decenni i sauditi hanno fondato l’architrave del loro successo, basato sullo status quo e sulla tradizionale ostilità alla corrente sciita dell’Islam.
In questo sanguinoso scenario appare dunque difficile comprendere il ruolo degli Stati Uniti, sia nell’ottica di perseguire la linea qatarina (assecondata durante l’era Obama); sia nell’ottica di rinsaldare quella saudita, che pare assecondare il nuovo inquilino della Casa Bianca come strumento per tornare ad una “normalizzazione” delle dinamiche mediorientali.
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