Gruppi stranieri acquistano imprese sarde? I benefici non mancano
Sbagliato ritenere che tra i principali malanni della nostra economia vi sia l’acquisto di imprese sarde da parte di gruppi stranieri. Un esempio? La birra Ichnusa acquisita dal gruppo Heineken. Vediamo quali sono i vantaggi di questi investimenti e in quale modo generano ricchezza per il territorio – Di Andrea Nonne.
All’inizio degli anni novanta Michael Crichton pubblicò un avvincente thriller dal titolo “Sol Levante”, da cui fu tratto l’omonimo film con Sean Connery. La trama raccontava in maniera molto fedele le paure che in quegli anni l’America viveva rispetto al futuro della sua economia, minacciata dall’espansionismo dei capitali giapponesi, ben supportati da una politica economica ben più interventista e protezionista di quella statunitense.
Oggi non sono d’accordo con coloro i quali indicano tra i principali malanni dell’economia sarda l’acquisto di imprese sarde da parte di gruppi stranieri. Innanzitutto andiamo a vedere in che modo un’ impresa genera ricchezza in un territorio. Semplificando al massimo la questione possiamo elencare i seguenti benefici:
- le retribuzioni dei lavoratori assunti;
- l’indotto creato rispetto ai fornitori di beni e servizi;
- il gettito fiscale generato (anche se il sistema fiscale italiano rende questo fenomeno piuttosto indistinto e indiretto);
- gli utili reinvestiti nell’impresa;
- l’insieme di competenze e relazioni derivanti dall’attività di impresa;
- i dividendi distribuiti agli azionisti.
Quando un’impresa sarda passa in mani straniere l’unica di queste forme di ricchezza che subisce una significativa variazione è quella descritta all’ultimo punto. I dividendi non finiscono più nelle tasche di imprenditori sardi ma nelle tasche di imprenditori non sardi. Per quanto riguarda la ricaduta sociale non mi sembra che questo punto rivesta una grande importanza; è invece più importante ciò che succede riguardo agli altri cinque aspetti elencati. Da questo punto di vista, a mio parere, vale per gli imprenditori lo stesso principio che vale per i cittadini: sardo è chi sceglie di esserlo e la portata delle azioni si valuta per i benefici apportati alla società piuttosto che per la nazionalità di chi ne è autore. Se un’impresa sarda viene acquistata da un gruppo che ha la capacità e la volontà di far crescere i volumi e la qualità, di instaurare rapporti corretti con i collaboratori, di innovare, di trasferire competenze e di diffondere le produzioni sarde in giro per il mondo, in questo caso l’impatto sociale dell’investimento può essere molto positivo. Pensiamo ad esempio al caso Campari-Zedda Piras. Grazie all’acquisizione, per il più celebre liquore sardo si sono spalancate le porte dell’immensa rete commerciale del colosso milanese. In più Zedda Piras ha fatto da apripista per tutti i produttori di mirto in diversi mercati prima preclusi. O ancora pensiamo al recente accordo tra Granarolo e Ferruccio Podda; non ho ancora avuto modo di valutare i bilanci ma, da semplice consumatore, ho notato sensibili miglioramenti nel packaging e nel posizionamento a scaffale; se questa sinergia dovesse effettivamente aumentare la competitività delle produzioni potrebbe portare la 3A di Arborea a migliorare ulteriormente la sua offerta, accrescendone la forza commerciale anche nei mercati esteri. Oppure qualcuno è pronto a giurare che senza il potenziale di marketing del gruppo Heineken, Ichnusa sarebbe diventato il brand immortale che è oggi?
Ben vengano quindi i capitali stranieri se la volontà è quella di crescere nel mercato e non di mungere soldi pubblici dalle tasche dei contribuenti. Il fatto stesso che in Sardegna ci siano mercati e produzioni interessanti per gli investitori, è un ottimo segnale di salute per i comparti interessati. Mi preoccupano semmai le tante zone industriali fantasma della Sardegna, dove i lavoratori cassaintegrati vivono con grande e comprensibile preoccupazione le difficoltà che queste aziende trovano ad essere rilevate; essendo nate nella pericolosa illusione che una politica dirigista potesse impiantare lo sviluppo industriale, per decenni, pompate da massicce iniezioni di soldi pubblici, hanno navigato ignorando le correnti del mercato per arenarsi inevitabilmente nelle secche della crisi una volta lasciate in balia della tempesta. Quello che insomma dobbiamo pretendere dai nostri politici non è un maggiore intervento in aiuto delle nostre imprese, ma di sgombrare il campo dall’insostenibile peso della burocrazia e del fisco che loro stessi hanno generato. A quel punto, son sicuro, le imprese sarde saprebbero provvedere benissimo alla loro crescita.
A proposito, come andò a finire la disputa America-Giappone dopo la pubblicazione di “Sol Levante”? L’America, superate le paure di inizio decade, diede vita ai ruggenti anni novanta proprio mentre l’economia giapponese si incanalava in una lunga fase di stallo. Sarà un caso?
Grande Ovest, 20-08-13.
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