Il mito della ricchezza italiana
Una cosa che agli italiani piace molto sentirsi dire è che “in realtà sono ricchi”, molto più ricchi degli odiati tedeschi che vengono generalmente indicati come i cugini europei virtuosi. Conseguentemente, se sono così ricchi il debito pubblico “non è un problema”.
Ospitiamo un intervento di Costantino De Blasi, consulente finanziario ed esperto di risk management. Tra i vari, ha lavorato per il gruppo Generali e Alliance Broker Spa.
Una cosa che agli italiani piace molto sentirsi dire è che “in realtà sono ricchi”, molto più ricchi degli odiati tedeschi che vengono generalmente indicati come i cugini europei virtuosi. Conseguentemente, se sono così ricchi il debito pubblico “non è un problema”, anzi, se nei sistemi di contabilità nazionale si addizionasse la ricchezza privata, l’Italia sarebbe il Paese più virtuoso d’Europa e forse del mondo, e non dovrebbe praticare le tanto odiate politiche “neoliberiste” di austerità.
Questa cosa l’hanno detta a turni alterni politici di tutti gli schieramenti, degli economisti e persino l’ottuagenario Savona.
Prima di partire con l’analisi occorre però definire due identità: ricchezza e debito pubblico. Una volta definite tutto sarà chiaro.
1) Si definisce ricchezza il totale dei beni tangibili e intangibili che hanno un valore economico.
È ricchezza l’auto che guidate, il bimby con cui fate le torte, lo scolapasta, l’aspirapolvere, il PC e lo smartphone con cui vi collegate ad internet, i depositi bancari, le monete che mettete nel porcellino, le quote di fondi, i libretti postali, le azioni Generali che vi ha fatto acquistare il promotore finanziario, le riserve delle polizze vita che avete contratto per i vostri figli, ecc.; è ricchezza altresì la casa che abitate, la residenza estiva, il terreno coltivato a viti e olivi e quello lasciatovi in eredità da vostro nonno su cui vi crescono sterpaglie.
2) Si definisce debito pubblico il totale dei prestiti contratti dallo Stato per far fronte agli impegni di cassa.
Essendo composto da prestiti (+interessi) esso deve essere garantito da un reddito. E qual è il reddito dello Stato? Sostanzialmente quello derivante da tasse pagate da cittadini e imprese.
Ora i numeri. La ricchezza netta degli italiani (mi concentro solo su quella delle famiglie) ammonta a 9.742 miliardi (Rapporto Banca d’Italia 2019 su dati 2017).
Il debito pubblico lordo cumulato dallo Stato centrale e dalle altre amministrazioni pubbliche ammonta a 2.449 miliardi (Bollettino Banca d’Italia marzo 2020 su dati gennaio 2020).
Siamo davvero ricchi dunque?
No. Poiché il debito pubblico è garantito da flussi di redditi e abbiamo visto che il reddito dello Stato è composto per la quasi totalità dalle tasse e dalle imposte, sostenere che “è una finzione” perché la ricchezza delle famiglie è 4 volte lo stock di debito pubblico accumulato significa che in qualche modo quella ricchezza in una ipotetica partita doppia deve essere messa alla destra del debito; ovvero è tassabile.
Dei 9.724 miliardi, 5.246 sono abitazioni, 1.300 biglietti e depositi, 1.000 azioni, 990 riserve da polizze vita, 550 quote di fondi comuni. Tutti questi beni sono già tassati direttamente o indirettamente in varia misura con aliquote che arrivano al 26%. Le riserve da polizze vita sono tassate in capo alla compagnia; superfluo dire che il costo dell’imposizione viene traslato sui caricamenti.
Resterebbero fuori solo i biglietti conservati in cassaforte privata, nella scatola dei biscotti o sotto il pavimento. Ma ho il serio dubbio che quelle banconote siano frutto di reddito, quindi dopo che hanno già subito la tagliola dell’Irpef.
Cosa si deduce da tutto questo ragionamento? Che quando vi dicono che l’Italia non ha problemi di debito pubblico perché gli italiani sono ricchissimi vi stanno dicendo che alla bisogna vi regaleranno una bella e corposa patrimoniale. E, paradosso dei paradossi, nella narrazione dell’ultimo decennio niente è più “neoliberista e austero” delle tasse.
Voi, cari sovranisti, siete pronti a dare il vostro oro alla patria?
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Redazione SANATZIONE.EU